Si può far causa allo Stato italiano per i mancati adeguamenti agli accordi internazionali sui mutamenti climatici? Sono in oltre 203, e noi tra loro, a pensarla così. 24 associazioni, 17 minori (rappresentati dai genitori) e 162 adulti. In testa Luca Mercalli, presidente della Società Metereologica italiana, l’Associazione A Sud, l’ISDE, Medicina Democratica, Fridays For Future Italia, Cittadini per l’Aria, Terra!, Coordinamento No TRIVCDCA – Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali e decine di altri comitati ecologisti attivi in tutta Italia..  La causa è già iniziata, davanti al tribunale civile di Roma, il 5 giugno 2021, nell’ambito della campagna di sensibilizzazione “Giudizio Universale”. La seconda udienza si è tenuta il 21 giugno 2022, dopo la costituzione in giudizio dello Stato e adesso si attendono i provvedimenti del giudice. La causa italiana percorre la stessa strada già intrapresa in Olanda, Francia, Germania e tanti altri paesi dell’Unione Europea e non solo.

LE TESI IN CAMPO

Oggetto della causa è chiamare lo Stato a rispondere per inadempienza climatica, ovvero per l’inadeguatezza delle politiche di riduzione delle emissioni clima-alteranti, cui consegue la violazione di numerosi diritti fondamentali riconosciuti dallo Stato italiano. L’emergenza ambientale globale -sostengono i ricorrenti- minaccia il godimento dei diritti umani fondamentali quali, tra gli altri, il diritto alla vita, alla salute, all’alimentazione, all’acqua, all’alloggio, alla vita familiare e, nel complesso, il diritto umano ad un clima stabile e sicuro. Dal momento che le condizioni climatiche influenzano la tutela degli altri diritti, il riconoscimento di un diritto specifico alla stabilità climatica fornisce ulteriore livello di protezione a tutti i diritti condizionati dal clima. La premessa su cui si basa “Giudizio Universale” è che le acquisizioni scientifiche condivise, proprio perché non controverse, vincolano gli Stati e costituiscono un parametro di verifica della loro condotta, sia a livello internazionale che nazionale. 
Le principali obbligazioni climatiche che lo Stato è tenuto ad osservare derivano da fonti internazionali, regionali e nazionali, tra cui spiccano per rilevanza: 

– Accordi internazionali sul clima (tra cui UNFCCC – Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici del 1992 e Accordo di Parigi del 2015)
– Fonti internazionali e regionali sui diritti umani (tra cui CEDU, Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, artt. 2 e 8)
– Fonti dell’Unione Europea (tra cui TFUE art.191 e Regolamento UE n.2018/1999)
– Costituzione italiana (tra cui artt. 2 e 32)
–  Altre fonti di rango nazionale (tra cui Codice Civile, artt. 2043 e 2051).

La difesa dello Stato, affidata ovviamente all’Avvocatura generale, punterebbe tutto sulla rivendicazione del difetto assoluto di giurisdizione civile e sull’immunità giurisdizionale dello Stato nella “materia” climatica ovvero l’impossibilità di giudicarne le condotte. In pratica, un tentativo di sottrarsi al giudizio. Per Michele Carducci, avvocato e docente di Diritto Costituzionale Comparato e Diritto Climatico dell’Università del Salento, tra i patrocinanti della causa: “Lo Stato ritiene che il ricorso alla migliore scienza, utilizzata dai ricorrenti, implichi addirittura una sovversione dei poteri democratici, quando lo stesso Stato in altri giudizi ha rivendicato la centralità dell’uso della scienza per limitare i propri poteri e garantire trasparenza nelle proprie azioni”. Di fatto, lo Stato non ha prodotto alcuna evidenza scientificamente verificabile sull’efficacia delle proprie azioni, né si sono confutate le evidenze presentate dai promotori dell’azione legale.
La politica dello struzzo non può essere perseguita, in uno Stato di diritto, a danno dei propri cittadini.

Giuseppe d’Ippolito, Website Founder

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