Se le guerre di questo secolo sono state combattute
per il petrolio, quelle del prossimo secolo verranno combattute
per l’acqua; a meno che non cambiamo approccio nel gestire
questa risorsa preziosa e vitale.
Parliamo di conflitti armati ma anche di water grabbing
Il 22 marzo è il giorno in cui si celebra la Giornata mondiale dell’Acqua istituita dalle Nazioni Unite nel 1992. Quest’anno il World Water Day coincide con l’inizio della Conferenza ONU sull’Acqua 2023 (22-24 marzo, New York) che ha come obiettivo il rapporto tra crisi idrica e igienico-sanitaria e i cambiamenti climatici e di cui vi daremo conto in una prossima occasione. Oggi vogliamo sottolineare come, nonostante siano passati 31 anni dalla istituzione del WWD, il monito lanciato nel 1995 dall’allora vicepresidente della Banca Mondiale, Ismail Serageldin, sia rimasto totalmente inascoltato: “Se le guerre di questo secolo sono state combattute per il petrolio, quelle del prossimo secolo verranno combattute per l’acqua; a meno che non cambiamo approccio nel gestire questa risorsa preziosa e vitale”. Nei giorni scorsi abbiamo pubblicato vari contributi che dimostrano proprio come il nostro approccio nella gestione delle risorse idriche è stato decisamente sbagliato, anche in Italia, mentre sono sempre più numerose le regioni del mondo nelle quali il livello delle riserve d’acqua si è significativamente assottigliato, scatenando sempre più conflitti per il dominio sull’oro blu.
Conflitti armati, vere e proprie guerre: l’UNESCO ne ha contate oltre 260, nell’ultimo ventennio, praticamente il doppio di quelle segnalate nel decennio precedente. Territori colpiti da una siccità acuta, produzioni di grano crollate, raccolti persi a ripetizione, gran parte del bestiame perduto, questi eventi hanno creato milioni di persone, specialmente donne e bambini, che non hanno più mezzi di sostentamento. Che combattono, che vengono sopraffatti, che muoiono, che affrontano il mare sulle carrette dei trafficanti nella speranza di un futuro e ai quali non sappiamo dare risposte efficaci.
Per questo appare come ancora più odioso quel fenomeno noto come water grabbing, ovvero furto o accaparramento dell’acqua che viene così descritto da Marirosa Iannelli (presidente del Water Grabbing Observator -sito web in calce alla pagina-, che ha come obiettivo quello di rilevare, analizzare, comunicare fenomeni sociali, ambientali ed economici legati ad acqua e clima, in Italia e nel mondo): “Parliamo di furto dell’acqua quando uno o più attori pubblici o privati come aziende o multinazionali si accaparrano letteralmente la risorsa idrica a discapito di comunità ed ecosistemi attraverso forme di privatizzazione o l’appropriazione di terre, impianti e infrastrutture idrici o anche mediante l’esercizio di un potere economico e finanziario e il controllo delle risorse idriche. Questo da un punto di vista generale delle definizioni. Water grabbing è quindi privatizzazione dell’acqua oppure costruzione di mega impianti idroelettrici o ancora sfruttamento dell’acqua in maniera impropria – penso alla pratica del fracking [una particolare tecnica estrattiva basata sulla pressione di un fluido, in genere acqua -nda] che impiega tantissima acqua che viene rilasciata inquinata nei terreni. Quindi anche la depauperazione dei terreni e dell’ambiente circostante è anch’esso una forma di water grabbing. È stato definito in accademia per la prima volta dal Transnational Istitute di Amsterdam, istituto di ricerca indipendente e anche organizzazione non governativa dei Paesi Bassi. È un fenomeno che è stato studiato in relazione al “land grabbing”, ovvero l’accaparramento delle terre.” In Italia, secondo gli attivisti del Water Grabbing Observator, è quanto si è registrato, dopo il referendum del 12 giugno 2011 quando 26 milioni di cittadini sono andati al voto per chiedere che l’acqua fosse riconosciuta come bene pubblico e comune, ma il cui risultato è stato completamente disatteso. Dopo 12 anni, la gestione dell’acqua non è ancora pubblica bensì ha vari esempi di privatizzazione. “La privatizzazione dell’acqua qui a casa nostra” -ricorda Iannelli- “è una forma di accaparramento idrico, in cui si parla proprio di gestione della risorsa. In Italia rischiamo che ci si possano accaparrare anche le fonti dell’acqua, ovvero i luoghi in cui essa sgorga, fonti montane e sotterranee che attualmente sono di proprietà statale, ma rischiano di essere vendute a enti, multinazionali e gestori privati. Questo rappresenta un grande rischio di water grabbing che abbiamo nel nostro paese”. E continua: “Un’altra forma collegata a questo episodio è quello dell’acqua in bottiglia. Multinazionali dell’acqua in bottiglia pagano attraverso un canone di concessione regionale l’acqua alla fonte per poi imbottigliarla e rivenderla a un prezzo ben più caro nei nostri supermercati – parliamo di circa mille volte il costo rispetto all’acqua del rubinetto. Questo è un altro rischio che stiamo cercando di scongiurare attraverso la giurisprudenza, la sensibilizzazione, l’informazione e ovviamente la politica”.
Ma la crisi idrica è anche un problema sanitario e, allo stesso tempo, sociale. È stata la pandemia ad evidenziare le disparità sociali ed economiche che ci sono in tutto il mondo legate alla carenza d’acqua. Per combattere le malattie l’acqua è prioritaria: le prassi sanitarie consigliano sempre di lavare le mani per combattere infezioni e malattie; ne consegue che dove l’acqua scarseggia è lo stesso diritto alla salute ad esser leso. L’ultimo rapporto UNICEF-OMS riporta che quasi 1/3 delle scuole nel mondo sono prive di acqua e igiene, essenziali tanto per l’apprendimento che per la salute infantile: 546 milioni di scolari non hanno accesso all’acqua potabile, 539 milioni a servizi igienico-sanitari e 802 milioni all’igiene di base. Gli effetti del cambiamento climatico non faranno che aumentare la minaccia per la qualità dell’acqua, in particolare dove l’acqua scarseggia o nelle regioni soggette a disastri naturali.
Eppure, anche questo 22 marzo, abbiamo sentito il solito ritornello celebrativo: l’acqua deve essere un bene comune, pubblico e garantito a tutti. Ma quanto siamo lontani, in Italia e nel mondo, dal poter dire che questo diritto è stato effettivamente realizzato e raggiunto? Neanche le sollecitazioni che provengono da Papa Francesco, sembrano sortire effetti. Francesco continuamente ripete che l’acqua è una risorsa fondamentale che richiede “una coscienza universale”, non una “mentalità utilitaristica”.
Quest’anno, l’UNICEF ha descritto in 10 punti la situazione attuale, diffondendoli nelle scuole:
- Eventi meteorologici estremi e cambiamenti nei modelli del ciclo dell’acqua stanno rendendo più difficile l’accesso all’acqua potabile, soprattutto per i bambini più vulnerabili.
- Circa il 74% dei disastri naturali tra il 2001 e il 2018 sono stati legati all’acqua, comprese siccità e inondazioni. Si prevede che la frequenza e l’intensità di tali eventi aumenteranno a causa del cambiamento climatico.
- Circa 450 milioni di bambini vivono in aree ad alta o altissima vulnerabilità idrica. Ciò significa che non hanno abbastanza acqua per soddisfare i loro bisogni quotidiani.
- Quando i disastri colpiscono, possono distruggere o contaminare intere riserve idriche, aumentando il rischio di malattie come il colera e il tifo a cui i bambini sono particolarmente vulnerabili.
- L’aumento delle temperature può portare a patogeni mortali nelle fonti di acqua dolce, rendendo l’acqua pericolosa da bere per le persone.
- L’acqua contaminata rappresenta un’enorme minaccia per la vita dei bambini. Le malattie legate all’acqua e ai servizi igienico-sanitari sono una delle principali cause di morte nei bambini sotto i 5 anni.
- Ogni giorno, più di 700 bambini sotto i 5 anni muoiono di diarrea veicolata dall’acqua e servizi igienici inadeguati.
- Il cambiamento climatico aggrava lo stress idrico -aree con risorse idriche estremamente limitate- portando a una maggiore concorrenza per l’acqua, persino a conflitti.
- Entro il 2040, quasi 1 bambino su 4 vivrà in aree con stress idrico estremamente elevato.
- L’innalzamento del livello del mare sta facendo diventare salata l’acqua dolce, compromettendo le risorse idriche su cui fanno affidamento milioni di persone.
Facciamone tesoro ma, soprattutto, utilizziamo questi temi per sensibilizzare, informare e costruire una comune strategia di intervento volta ad affrontare le sfide idriche globali e superare queste problematiche. Le azioni volontarie, gli impegni e le attività da mettere in atto possono essere pensati per agire su piccola scala, agendo su scuole, comunità, individui; o con un raggio d’azione su larga scala, mobilitando governi, società civile, settore privato, mondo accademico.
Giuseppe d’Ippolito, Website Founder