I cambiamenti climatici in corso stanno rendendo ordinari
alcune manifestazioni atmosferiche con le quali non eravamo abituati a
dover fare i conti, perlomeno non così di frequente. Episodi che,
a memoria d’uomo, un tempo potevano davvero apparire inconsueti,
ma oggi non sono più tali.
Solo poche settimane fa, scrivevamo di crisi idrica e di danni per l’agricoltura a causa della siccità. Oggi, a primavera inoltrata, ci troviamo a scrivere delle alluvioni, degli allagamenti, dei danni, delle centinaia di sfollati e anche dei morti di sole poche ore fa in Emilia-Romagna. Tutti eventi meteorologici estremi. E parliamo solo dell’Italia. Perché se apriamo lo sguardo al mondo, ricordiamo le alluvioni catastrofiche della scorsa estate, causate dalle piogge monsoniche e dallo scioglimento dei ghiacciai nelle regioni montuose del Pakistan, che hanno causato la morte di oltre 1.400 persone, con altri milioni colpiti da carenza di cibo e acqua pulita. E ancora, potremmo ricordare, a inizio 2023, l‘eccezionale ondata di gelo che ha colpito gli Stati Uniti con tempeste di neve e temperature record fino a -57°C. Qualcuno se la sente ancora di dubitare che questi fenomeni estremi sono da addebitare alla crisi climatica?
Eppure si sente ancora dire che il ripetersi di questi eventi meteorologici, benché estremi, fa parte di un ordinario ciclo naturale e si elencano i casi di medesime situazioni ripetutesi anni e secoli prima. In realtà, sembriamo non accorgerci che ad essere divenuti ordinari sono proprio i fenomeni eccezionali. E se continuiamo a meravigliarci che la siccità duri da lunghi mesi o che l’Emilia-Romagna venga inondata da svariati metri d’acqua e fango, finiremo per sostenere l’alibi di quanti, imprecando alla natura matrigna, nulla fanno per mitigare gli effetti di quei fenomeni che, ormai si è capito fin troppo bene, colpiranno sempre con maggiore frequenza soprattutto i luoghi più esposti e vulnerabili. Episodi che, a memoria d’uomo, un tempo potevano davvero apparire inconsueti, ma oggi non sono più tali. I cambiamenti climatici in corso stanno rendendo ordinari alcune manifestazioni atmosferiche con le quali non eravamo abituati a dover fare i conti, perlomeno non così di frequente. Si sono amplificati gli eventi meteo estremi in tutto il mondo, infrangendo i record di temperatura, abbassando i livelli dei fiumi ai minimi storici e aumentando le precipitazioni a livelli devastanti. La siccità ha preparato il terreno per gli incendi boschivi e ha peggiorato l’insicurezza alimentare.
Ma intervenire in prevenzione si può e si deve. E i decisori politici se proprio non vogliono prestare orecchio alla scienza, almeno guardino alla statistica. Gli effetti di un riscaldamento globale, accelerato dalle attività antropiche, sono costantemente monitorati e misurati nel globo terraqueo. Ad esempio, The Cross Dependency Initiative XDI, svolge in tempo reale le analisi previsionali globali dei rischi e dei danni climatici per il patrimonio mobiliare e immobiliare dell’intero pianeta (trovate il collegamento alla loro pagina web in calce a questa pagina, nella categoria IL MEGLIO DAL WEB). I ricercatori di XDI valutano i profili di rischio climatico interno lordo che si riflettono sul rischio per l’ambiente edificato dai rischi dei cambiamenti climatici: inondazioni fluviali e superficiali, inondazioni costiere, caldo estremo, incendi boschivi, cedimenti del suolo (in caso di siccità), vento estremo (cicloni sinottici e tropicali) e gelo.
Ovviamente occorre poi considerare gli effetti sociali, ambientali ed economici dei cambiamenti climatici, come la scarsità d’acqua o gli impatti sulla produzione agricola, sulla biodiversità o sul benessere umano. A leggere tali dati, si sarebbe scoperto che l’Emilia Romagna risulta tra le dieci regioni europee più esposte agli eventi meteorologici estremi, e al cambiamento climatico in generale, dal 1990 al 2050. E che l’Italia ha ben tre regioni nella classifica redatta per le previsioni di rischio di eventi climatici estremi: oltre all’Emilia-Romagna, il Veneto e la Lombardia.
Agire con atti concreti per contrastare il cambiamento climatico è, quindi, divenuto essenziale, non ci scorderemo mai di ripeterlo. E, se ancora, registriamo danni e piangiamo i morti è dovuto a quella buona dose di negligenza, di chi li nega e non fa nulla per limitarne le conseguenze.
L’Italia è infatti ancora l’unico tra i grandi paesi europei a mancare di un Piano di Adattamento ai Cambiamenti Climatici. Un documento essenziale, tanto più nel contesto attuale, del quale se ne sta riparlando solo ora, troppo tardi. E se questo non bastasse, non solo non si è fatto nulla per favorire l’adattamento a delle conseguenze inevitabili e ampiamente denunciate dalla scienza e dalla nuova statistica, ma ci si è persino mossi nel senso opposto, rendendo il territorio più fragile e vulnerabile, cementificando a più non posso. Non è un caso che la regione colpita in questi giorni è infatti la prima in Italia per cementificazione in aree alluvionali: nel 2021, +78,6 ettari nelle aree ad elevata pericolosità idraulica e +501,9 ettari in quelle a media pericolosità. Sommando una tale condizione di vulnerabilità ad un restante suolo libero ormai secco, sempre a causa del cambiamento climatico, il risultato è un territorio incapace di assorbire acqua. La pessima condizione degli argini dei fiumi poi di certo non ha aiutato. Leggiamo dal Rapporto “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici” (qui) prodotto dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA), che assicura le attività di monitoraggio del territorio e del consumo di suolo, che l’Emilia-Romagna, tra il 2020 e il 2021, è stata la terza Regione italiana per consumo di suolo, più 658 ettari cementificati in un solo anno, pari al 10,4% di tutto il consumo di suolo nazionale. Consumo nazionale che, comunque, è tra i più elevati a livello europeo. In Emilia-Romagna, la superficie impermeabile si è così attestata all’8,9% contro una media nazionale del 7,1%. Il troppo cemento, come ormai dovrebbe essere noto, riduce l’infiltrazione dell’acqua, la quale scorre su di esso più velocemente, accumulando energia e, di conseguenza, facendo più danni. Anche il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, in un rapporto del 2020 (qui), è stato molto chiaro: “i dati disponibili sull’Italia in merito alle precipitazioni suggeriscono che le condizioni di rischio geologico, idrologico e idraulico risultino esacerbate in conseguenza di un aumento del numero degli eventi di precipitazione estrema (caratteristica attesa dagli studi di cambiamento climatico) e una crescente urbanizzazione del territorio che ha portato, da un lato, a un incremento dei deflussi e ad una riduzione della capacità di smaltimento da parte degli alvei (tombamenti, riduzione dell’estensione delle aree golenali, ecc.), dall’altro lato, a un aumento dell’esposizione al rischio”.
La frana ad Ischia, l’alluvione nelle Marche di qualche mese fa ed ora quella in Emilia-Romagna confermano la tesi. Dobbiamo aspettare ancora?
Giuseppe d’Ippolito, Website Founder