È l’ideologia del mercato, dell’utile immediato e del privilegio
dell’azione a basso costo che rende difficile svolgere interventi
di tutela dell’Ambiente. Se il problema è reagire agli stimoli del
mercato, le valutazioni a medio e lungo termine si limitano a fattori
ad alto valore di mercato o capaci di attirare capitali nel lungo periodo,
e la tutela dell’Ambiente non sembra appartenere a questa sfera di valori.
La teoria economica propone il “fallimento del mercato” per gli interventi impossibili da attuare attraverso lo scambio di mercato, chiusi in tre categorie: difficoltà di trovare un accordo tra le parti potenzialmente vantaggioso per entrambe; mancanza di controllo pieno sui beni e sulle risorse e sui modi di utilizzarle; mancanza, incompletezza o eccessivo costo delle informazioni necessarie allo scambio. In ciascun caso troveremmo delle difficoltà di intervento dello Stato poiché, nel tempo, le posizioni di proprietà sono mobili tra privati e Stato e gli interessi di tutela dell’Ambiente si spostano non solo tra gruppi sociali dello stesso settore produttivo ma tra i diversi settori produttivi ed i vari gruppi sociali in essi operanti.
L’analisi degli eventi riconducibili al cambiamento climatico ha permesso di individuare deficienze istituzionali a livello complessivo del sistema “capitalistico di mercato” esistente, tanto da far dire a Franzini già nel 2009: “Questo nostro sistema è singolarmente privo di istituzioni in grado di affrontare il problema della decisione razionale in presenza di potenziali eventi catastrofici ….; esso, inoltre, manca sia di istituzioni che affrontino sistematicamente il problema dell’equità intergenerazionale sia di istituzioni in grado di concepire e assicurare un’equa ripartizione dei costi e benefici globali, un problema con cui dovremo sempre più misurarci e che non ha rilevanza soltanto sotto il profilo dell’equità.”[1]
Non si ha solo la necessità di trovare strumenti “tecnici” adeguati o sistemi di comunicazione ed informazione tempestivi e capillari, ma vi è la necessità di inserire le azioni relative all’Ambiente nell’intervento di tutte le amministrazioni (pubbliche o private, centrali o decentrate) che agisca secondo una logica meno angusta di quella conseguente al “fallimento di mercato” ed offra delle soluzioni meno limitate di quelle da essa derivate.
Un caso emblematico può essere quello relativo al pagamento di diritti per l’uso di determinata area o per possedere i cosiddetti “diritti d’inquinamento”, la cui insufficienza ed inadeguatezza è stata riscontrata in pressoché tutti i casi di grandi inquinamenti sino ad ora verificatisi.
Una diversa teoria dei fallimenti del mercato può derivare solo da una diversa teoria del mercato e da un sistema di valori che prescinda da quello attuale in cui il mercato è sempre e comunque il centro indipendente della vita sociale di una comunità o di uno Stato.
Nel 1992, in una situazione meno degradata di quella attuale, l’allora Capo del corpo forestale scriveva: “Abbiamo vissuto le alluvioni del Polesine, di Firenze, della Calabria, della Valtellina, della Liguria, abbiamo seguito la legge 183 ed abbiamo capito che, quella del suolo, è una questione che si affronta per liberare la coscienza delle responsabilità. Non c’è un impegno costante, non c’è la vera cultura della difesa del suolo in termini preventivi. C’è la cultura della riparazione dei danni.” [2]
E il gruppo responsabile della ricerca aggiungeva: “Altro è prevenire, altro è ripristinare, altro è ricostruire. ……. Dalla ricerca effettuata, il patrimonio di opere realizzate in passato nei bacini montani si presenta, a conferma della bontà di esecuzione, in uno stato di conservazione, abbastanza soddisfacente, ma per garantire l’efficienza anche in futuro è necessario attuare, con urgenza, un’attenta e continua azione manutentoria, allo scopo di ottenere, nelle aree oggetto di intervento, anche i massimi effetti ambientali attraverso una oculata opera di recupero naturalistico.”[3]
Questi risultati si sarebbero potuti utilizzare per impostare un lavoro anche minimo di tutela ma non è avvenuto. Perché? Le considerazioni inducono a ritenere che non si tratti necessariamente o solamente di cattiva volontà o malaffare, ma di un modo di pensare che è incapace di privilegiare nell’azione i problemi di medio e lungo termine.
È l’ideologia del mercato, dell’utile immediato e del privilegio dell’azione a basso costo che rende difficile svolgere interventi di tutela dell’Ambiente; questa rimozione è più facile se non si è direttamente coinvolti e se la responsabilità di interventi è dispersa tra diverse istituzioni se non addirittura demandata all’iniziativa dei privati, come nel caso di ripristino e tutela delle piccole opere interpoderali.
Se il problema è reagire agli stimoli del mercato, valutazioni a medio e lungo termine si limitano a fattori ad alto valore di mercato o capaci di attirare capitali nel lungo periodo, e la tutela dell’Ambiente non sembra appartenere a questa sfera di valori.
D’altronde non è il primo caso in cui l’evidenza delle indagini scientifiche viene sistematicamente sottovalutata o addirittura ignorata. È avvenuto con il caso della “mucca pazza”, la cui diffusione del morbo, avvenuta per cause tutt’altro che naturali, è stata favorita dalla deliberata messa a rischio delle tecniche di allevamento, di quelle di selezione dei mangimi o di trasformazione industriale, ed infine della riduzione delle risorse (soprattutto umane) destinate al sistema di controllo in tutte le fasi.
Che non sia un problema d’informazione lo dimostrano alcune vicende connesse con l’economia ed il mercato. Le crisi di mercato si dice siano generate da scarsa informazione e da forti asimmetrie, ma già nel lontano ottobre 1987 nella crisi della borsa di New York detta crisi del “Black Monday”, si dovette (in seguito) constatare che le autorità di politica monetaria interessate avevano in qualche modo previsto ed anticipato la crisi.
L’esempio relativo ai mercati finanziari, benché distante dai problemi della difesa dell’Ambiente, assieme ai casi precedenti, mostra il divario tra le scelte concrete degli operatori ed i risultati a cui giungono le indagini scientifiche; meglio degli altri, quest’ultimo caso mostra anche la distanza tra i casi concreti e quelli teoricamente previsti, mettendo in evidenza la necessità di passare ad analizzare le categorie che guidano i nostri comportamenti nelle attività sociali ed economiche, comportamenti che si mostrano tutt’altro che razionali a dispetto delle enunciazioni di principio.
Se è vero che l’economia guida i nostri comportamenti anche in settori lontani dal suo campo, essa mostra alcuni evidenti scompensi, specie per quelle valutazioni che a medio e lungo termine dovrebbero indirizzare i comportamenti. Occorre allora trovare altrove categorie, parametri, valori in grado di agire efficacemente laddove “il mercato e la sua mano invisibile” oggi hanno fallito e dove non necessariamente o esclusivamente lo Stato può agire.
Come riuscire ad attuare questo intervento e con quali mezzi è compito di una rinnovata teoria del “fatto economico”, non indipendente dal “fatto sociale”, ma funzionale ad esso e collegato ad un sistema di relazioni adeguato alle necessità dei tempi.
Gianfranco Laccone, agronomo, presidenza nazionale ACU Associazione Consumatori Utenti
[1]M. Franzini (2009), La crisi economica, l’economia “verde” e il cambiamento climatico. Riflessioni sulle istituzioni del capitalismo, «Quaderni di rassegna sindacale», 10, p.161
[2] Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali, Fondazione sir Walter Becker (1992), Indagine sulle opere di sistemazione idraulico-forestale, p.9
[3] Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali, (1992), op. cit., p.16
Aggiornamento
sugli organismi modificati geneticamente nelle produzioni vegetali
La proposta europea sui nuovi OGM non è compatibile con il principio di precauzione
37 organizzazioni contadine, ambientaliste e del mondo del biologico denunciano il tentativo di esentare i prodotti delle New Genomic Techniques dalle regole in vigore per gli organismi geneticamente modificati
ROMA, 5 LUGLIO 2023 – La Coalizione Italia Libera da OGM ritiene pericolosa la proposta presentata oggi dalla Commissione Europea per esentare buona parte dei nuovi OGM dalle regole oggi in vigore, che obbligano a tracciabilità, etichettatura e valutazione del rischio i prodotti dell’ingegneria genetica.
Il nuovo regolamento ipotizza una scorciatoia per le cosiddette New Genomic Techniques (NGT), ribattezzate in Italia come Tecniche di Evoluzione Assistita (TEA). La Commissione Europea propone di considerare piante NGT di “categoria 1” quelle che “potrebbero anche essere presenti in natura o prodotte tramite riproduzione convenzionale”, dimostrando un approccio approssimativo e incoerente. Verranno considerate “equivalenti” tutte le piante NGT ottenute con massimo 20 diverse modifiche genetiche, con quella che la Coalizione Italia Libera da OGM ritiene una scelta arbitraria e priva di qualunque base scientifica.
Per queste piante sarà necessario soltanto notificare la messa in commercio alle autorità competenti, con il rischio che molte informazioni siano indisponibili ai cittadini e all’attenzione dei portatori di interessi, alla faccia della trasparenza. Nessuna solida valutazione del rischio, tracciabilità o etichettatura sarà richiesta.
Le piante di “categoria 2”, cioè quelle che non avranno queste caratteristiche, saranno regolamentate in modo simile agli attuali OGM, ma comunque godranno di una procedura autorizzativa semplificata. Il tutto, in spregio al principio di precauzione – citato tra gli obiettivi ma contraddetto dai fatti – e per il beneficio esclusivo di poche grandi imprese agrochimiche che già oggi dominano il mercato sementiero globale.
La possibilità di brevettare le piante NGT aumenterà quindi l’influenza dei colossi dell’agribusiness sulle filiere alimentari, a scapito dei diritti degli agricoltori a conservare, replicare, vendere e scambiare le proprie sementi. Spacciate come strumento di un’agricoltura sostenibile, le NGT si candidano ad essere invece il cavallo di Troia dell’agricoltura industrializzata, che ha contribuito a portare al collasso ecologico i sistemi naturali. La contaminazione dei campi non OGM sarà difficile da evitare, perché non esistono misure di salvaguardia realistiche per un paese come l’Italia. Il nostro paese non potrà nemmeno più esercitare l’opt out che ci ha tenuti al sicuro in tutti questi anni: restrizioni nazionali alla coltivazione sono infatti espressamente vietate dalla nuova proposta. I danni ambientali ed economici per l’agricoltura biologica e per chi coltiva senza ricorrere ai prodotti dell’ingegneria genetica sono quindi assicurati, perché sarà impossibile garantire filiere libere dalla contaminazione. La richiesta agli Stati membri di adottare misure di coesistenza è irrealistica, specialmente in un territorio come il nostro.
Per questo, la Coalizione chiede agli Europarlamentari italiani e al governo di schierarsi contro questa proposta in tutte le sedi, anche in ossequio alle due sentenze già emesse dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea e alle posizioni contrarie già dichiarate da Austria e Germania. Le NGT sono equivalenti agli OGM, pertanto devono essere regolamentate come OGM. I produttori devono essere tenuti a valutare il rischio, garantire la tracciabilità lungo tutta la filiera e indicare le modifiche genetiche in etichetta, a salvaguardia delle persone e dell’ambiente.
La Coalizione Italia Libera da OGM: Acu, Agorà, AltragricolturaBio, ASCI, Assobio, Associazione rurale italiana Ari, AIAB, Associazione per l’agricoltura biodinamica, Centro internazionale Crocevia, Coltivare Condividendo, Coordinamento ZeroOgm, Custodi di semi, Deafal, Demeter Italia, Equivita, European Consumers Aps, Fairwatch, Federazione Nazionale Pro Natura, Federbio, FIRAB, Fondazione Seminare il Futuro, Greenpeace, ISDE, Legambiente, Lipu, Navdanya International, RIES – Rete Italiana Economia Solidale, Ress, Seedvicious, Slow food Italia, Associazione Terra!, Terra Nuova, Transform!, Usb, Verdi Ambiente e Società, WWF