La crisi del turismo di massa si fonda in Italia sull’abbandono del mercato interno avvenuto con la politica dei bassi salari. Il ripensamento però non potrà avvenire con il ritorno al passato attraverso trasporti ultraveloci e prenotazioni on-line, ma ripensando al senso della vacanza e del viaggio: la curiosità di visitare luoghi e conoscere altre persone, portandosi dietro il proprio fardello e cercando nella cooperazione con gli altri e la natura le possibili soluzioni
Commettono un errore i giornali che si affidano ai comunicati governativi per valutare meglio i fenomeni di massa come il turismo, che coinvolgono ampie fette di popolazione e reddito. Affidandosi a studi di settore (e a un minimo di buonsenso) sarebbero stati più cauti qualche settimana fa nel cantare le lodi di una stagione turistica da tutto esaurito.
Oggi si alzano grida di dolore constatando che non solo non siamo al tutto esaurito (per fortuna dei consumatori, che subiscono le peggiori vessazioni in quelle condizioni), ma all’appello mancano proprio i consumatori italiani, che dovrebbero essere il sostegno dell’economia di casa nostra. Gli ingrati non spendono perché si scopre, sempre con grande stupore dei commentatori, che non hanno danaro. Niente danaro, niente vacanze, al massimo una gita, una due giorni in un B&B (possibilmente tra quelli esistenti in modo anonimo in grandi condomini), per i più abbienti un soggiorno in un agriturismo (ma avrebbero dovuto programmarlo per tempo).
In questo Ferragosto che segue il mese più caldo di tutti i tempi, i cantori dell’Italia da vetrina e del libero mercato (che evidentemente non si aggirano con i bus a Roma, tra caldo e rifiuti, come fanno i turisti di tutto il mondo) scoprono alcune verità dell’economia dei servizi, un settore in perenne conflitto con il libero mercato, che i difensori del profitto vorrebbero mettere all’asta al migliore offerente, come avviene con i beni di cui non si sa bene cosa fare. Elenco queste “verità”:
⇒ Il turismo che privilegia ai consumatori locali l’arrivo degli stranieri rientra nella logica del favorire le esportazioni (il turista “straniero” è come un’esportazione, ma “fatta in casa”). Una economia fondata sulle esportazioni, quindi sul turismo “straniero” di alto livello (giapponesi, tedeschi, statunitensi) o anche di basso livello (polacchi, cechi), è un’economia fallimentare, esposta agli andamenti del mercato e alle necessità di Paesi terzi. Questo turismo, privilegiato nei Paesi poveri, non aiuta le popolazioni ad uscire dalla loro condizione di basso reddito, al contrario, ne mantiene le condizioni di vita mediocri, legando il reddito dei lavoratori del settore e dell’indotto alla costante offerta al ribasso per reggere il confronto con la concorrenza. Ditemi un Paese industrializzato che non si regga innanzitutto sul turismo interno.
⇒ Il settore dei servizi (trasporti, sanità, tutela dell’ambiente) rappresenta la parte essenziale, lo scheletro dell’offerta turistica (ricordo i commenti di francesi amici di famiglia che negli anni ’70 sognavano di avere un sistema di autostrade come quello italiano). In Italia i servizi, un tempo più adeguati di ora ed in grado di servire anche masse di turisti in gran parte italiani, sono in grave crisi e non sarà l’offerta privata a risollevare il settore. Il discorso economico sarebbe lungo ma, in sintesi, quello che un tempo era la svalutazione, volano dell’economia in periodi di crisi, oggi dovrebbe essere l’offerta di servizi di buona qualità a costi contenuti. Sviluppare il mercato interno (aumento dei salari e contenimento del costo dei servizi) è essenziale per superare la crisi e dare stabilità al sistema economico.
⇒ Ci si dovrebbe porre una domanda più che legittima: in un futuro prossimo (molto prossimo) potrà esistere ancora un turismo di massa? Un turismo come quello degli anni ‘70/’80, che ancora oggi il governo sogna di nascosto, per non sollevare le giuste ire degli ambientalisti. Certo, per poterlo garantire in una Italia attraversata da inondazioni, incendi, frane e valanghe saranno necessari fondi ed opere a spron battuto per garantire che i turisti in arrivo non siano ricacciati in altri lidi, in una ricerca del luogo di vacanza tranquillo (vedi Grecia, Hawaii, California) che ora nel mondo sembra difficile da raggiungere, più del Sacro Graal da parte dei cavalieri della Tavola Rotonda.
⇒ In realtà sembra venir meno la stessa idea di andare in massa in qualche luogo, dovendo trovare soluzioni per figli, animali di famiglia, parenti vari (anche malati), vivendo per alcuni giorni in una bolla di serenità apparente per poi ripiombare nello stress quotidiano. E parlo per chi può permettersi tutto ciò, figuriamoci per i “poveri mortali” in lotta perenne per arrivare col salario a fine mese. Come negli anni ’90 si rispose alla crisi per le vacanza “tutto compreso” delle grandi strutture alberghiere con la creazione degli agriturismi, strutture che ridavano il contatto con una realtà agricola, mantenendo una discreta efficienza di servizio, oggi andrebbero favorite e sviluppate le fattorie sociali, in grado di rispondere in futuro non solo alle esigenze di persone particolarmente disabili o al deficit di contatto con la natura di larghe fasce di giovanissimi, ma al bisogno di senso di sé che la pandemia ci ha tolto e di cui soffre la maggioranza degli abitanti del pianeta.
La crisi del turismo di massa si fonda in Italia sull’abbandono del mercato interno avvenuto con la politica dei bassi salari. Una politica miope che priva le imprese di quel consumo costante e necessario. Il ripensamento però non potrà avvenire con il ritorno al passato attraverso trasporti ultraveloci e prenotazioni on-line, ma ripensando al senso della vacanza e del viaggio: la curiosità di visitare luoghi e conoscere altre persone, portandosi dietro il proprio fardello e cercando nella cooperazione con gli altri e la natura le possibili soluzioni.
Gianfranco Laccone, agronomo, presidenza nazionale ACU Associazione Consumatori Utenti