Respiriamo, viviamo, combattiamo inquinamento, dissesti e aumenti di calore, grazie agli alberi. Ma non abbiamo sufficiente consapevolezza di questa realtà. Non si progetta efficacemente il verde pubblico in città, gli interventi di manutenzione sull’esistente sono, spesso, vere e proprie mutilazioni. Anche a livello globale la deforestazione ha raggiunto livelli di criticità e il recente fallimento delle trattative per la salvaguardia della foresta pluviale dell’Amazzonia deve preoccuparci seriamente. Tutti, ovunque nel mondo.
Passeggiando per la città non li notiamo, non ci facciamo particolarmente caso ma, in realtà, non potremmo vivere in questo piccolo pianeta, se non ci fossero gli alberi. L’equiparazione: alberi uguale a vita, non è affatto esagerata.
Respiriamo grazie all’ossigeno che forniscono le specie vegetali; combattiamo la crisi climatica grazie ai loro processi vitali che consentono l’assorbimento dell’anidrite carbonica e l’eliminazione degli inquinanti dell’aria (ozono, zolfo, ossidi di nitrogeno); viviamo in un ambiente termoregolato dalla presenza di alberi, specie in città; contrastiamo il dissesto idrogeologico di argini e terreni grazie alla funzione ancorante dell’apparato radicale delle piante. Almeno così dovrebbe essere!
Sono solo piccoli (ma significativi) esempi di quanto l’umanità intera sia debitrice verso gli alberi e tutte le specie vegetali.
Un bell’articolo sugli alberi, pubblicato sul sito della Lipu, ci racconta che “Nel suo recente saggio uscito per Garzanti, La saggezza degli alberi, Peter Wohlleben racconta tutto il fascino di questi esseri viventi apparentemente immobili e invece capaci di forme di comunicazione e sensibilità sorprendenti, perfino di qualità come prudenza o solidarietà verso vicini più deboli e malati. Comprendere la loro comunicazione segreta è un compito solo in apparenza arduo: quando si sa come e dove guardare, queste piante giganti sono come un libro aperto. Ed è attraverso il loro linguaggio che possiamo aiutarli a trovare la giusta collocazione nei nostri giardini, a capire tempestivamente se sono in pericolo e come prendercene cura”.
Capiamo benissimo, allora, il moto d’indignazione che ha spinto, due settimane fa, un nostro lettore a raccontarci degli interventi di mutilazione che subiscono gli alberi in varie città, che finiscono per decretarne il loro crollo e la loro morte (“Mail: Divento un soldato a difesa degli alberi” qui). E proprio quell’intervento, che invitiamo a rileggere, dovrebbe indurci a riflettere sulla scarsa considerazione che si ha per gli alberi e il verde in generale, nella progettazione e nella manutenzione di una città.
L’ecologia urbana è essenziale e ogni amministrazione comunale, di città piccole o grandi, dovrebbe tenerne conto. Per aiutarle la Lipu ha pubblicato un documento dal titolo “Il verde urbano e gli alberi in città” che offre indicazioni fondamentali per la corretta progettazione e la gestione ecologica del verde urbano (lo trovate cliccando sull’immagine).
E, per saperne di più sugli alberi, andate in fondo a questa pagina e consultate il Glossario degli Alberi ne IL MEGLIO DAL WEB.
Ora facciamo un salto ideale di ca. 10mila chilometri, attraversando l’Oceano Atlantico settentrionale, per finire nella foresta amazzonica, estesa sei milioni di chilometri quadrati nei territori di Brasile, Perù, Colombia, Venezuela, Ecuador, Bolivia, Guyana, Suriname e Guyana francese. Badiamo bene di non commettere l’errore di sentirci distanti e, quindi, estranei alle dinamiche di quell’ecosistema.
La foresta amazzonica (foresta pluviale) è ritenuta il Polmone verde della Terra per la sua estensione e importanza, costituisce più della metà delle foreste tropicali rimaste al mondo e ospita una biodiversità maggiore di qualsiasi altra foresta tropicale. Ospita il parco nazionale di foresta pluviale più grande al mondo, dichiarato Patrimonio dell’umanità dall’UNESCO e inserita al primo posto delle Nuove sette meraviglie del mondo naturale. Si stima che nella regione vivano circa 100mila specie di invertebrati tra cui 2,5 milioni specie di insetti, 3mila specie di pesci, 1,3mila specie di uccelli (si pensa che un quinto di tutti gli uccelli del mondo viva nella foresta amazzonica), 427 specie di mammiferi, 400 specie di anfibi e 378 specie di rettili e sono state classificate almeno 60mila specie di piante e ogni anno vengono scoperte centinaia di nuove specie.
Oggi la sopravvivenza a lungo termine della foresta pluviale amazzonica è minacciata dagli interessi dell’industria mineraria e dell’agricoltura industriale, nonché dal commercio illegale di specie protette. La foresta pluviale brasiliana si è ridotta di ben 7,9mila chilometri quadrati a causa della deforestazione, una superficie corrispondente a oltre un milione di campi da calcio, solamente tra l’agosto 2017 e il luglio 2018. Nel 2019 e 2020 si sono verificati oltre 75mila incendi (quasi tutti dolosi) che hanno devastato il Polmone della Terra, con un aumento dell’83% rispetto al 2018, devastando oltre 9mila chilometri quadrati.
La settimana scorsa si è conclusa a Belém la Cúpula da Amazônia, il vertice amazzonico fortemente voluto del presidente del Brasile Luiz Inácio Lula da Silva per definire una politica comune di contrasto alla deforestazione determinata dall’esplorazione petrolifera.
Purtroppo, il documento conclusivo, la Declaração de Belém, una lettera di intenti per la cooperazione regionale firmata dai capi degli Stati amazzonici, non contiene nessuna linea-guida operativa e vincolante e non menziona nemmeno il termine combustibili fossili. Una grande contraddizione, considerando che il documento – pubblicato un giorno prima della fine del Summit – affronta le azioni per frenare il cambiamento climatico a livello globale.
Contraddittoria ma prevedibile, perché un recente rapporto dell’Observatório do Clima (qui) ha denunciato che molti Paesi latinoamericani continuano a investire nell’industria dei combustibili fossili: lo stesso Brasile vuole passare dalla nona alla quarta posizione come produttore mondiale di petrolio; la Guyana vuole entrare nella classifica dei grandi produttori di greggio grazie alle grandi riserve petrolifere scoperte di recente; la Bolivia, che ha riserve di gas in via di esaurimento, ha avviato nuovi progetti di esplorazione che includono la ricerca di petrolio in Amazzonia; anche Perù, Ecuador e Venezuela hanno loro piani attivi.
Per questo la pressione dell’opinione pubblica mondiale deve essere insistente e risoluta e, soprattutto, coinvolta, perché, come è noto, i cambiamenti climatici non hanno confini geografici: nell’ambiente naturale terrestre, l’introduzione di una specie o la scomparsa di una di queste in modo violento, sia vegetale che animale, getta nel caos i delicati equilibri, con conseguenze non sempre immaginabili.
Questo ci fa capire come tutto quanto in natura sia concatenato e che i comportamenti individuali di ciascuno di noi incidono sull’ambiente che ci circonda, a volte in modo anche drammatico.
il battito delle ali di una farfalla in una parte del mondo può portare alla nascita di un ciclone nell’altra parte (teoria del Caos).