Il settore alimentare risulta il più sensibile all’aumento
dei prezzi per l’impatto che ha: si acquistano alimenti a
buon mercato a scapito della qualità e si compensa la
frustrazione con alimenti che saziano, ricchi di zuccheri
e grassi. Il risultato è l’aumento l’incidenza delle malattie

È di questi giorni il lancio della campagna “trimestre anti-inflazione” che mira al controllo (addirittura alla fissazione) del prezzo di una serie di prodotti al consumo (in buona parte alimenti) venduti attraverso le maggiori catene della Grande Distribuzione Organizzata (GDO), per il trimestre in corso. I prodotti inseriti nella campagna vengono individuati dal logo del “carrello tricolore”, che dovremmo trovare in bella mostra sugli scaffali dei punti vendita dal 1° ottobre al 31 dicembre. Teoricamente, perché ad oggi sono ancora pochi i punti vendita organizzati e, per la maggior parte, partiranno con la promozione dalla settimana prossima.

Annunciata con roboante clamore, la campagna parte con molte incognite: quali prodotti, quali confezioni, quali punti vendita? La lotta contro l’inflazione, condotta sinora in modo un po’ arrangiato e senza molta convinzione da tutti i partecipanti, evoca immagini ironiche, peccato però che ci sia poco da ridere e che gli aspetti legati all’alimentazione, siano i più delicati e dagli effetti prolungati.
L’alimentazione, fattore primario per prevenire le malattie dell’apparato digerente, di quello cardiovascolare e, in generale, gli squilibri nutrizionali, spesso risulta sbilanciata nei ceti medio bassi a causa delle difficoltà economiche. Per la popolazione a basso reddito, il costo della spesa alimentare incide ben oltre il 20% del reddito, che è l’incidenza media in Italia e che, a sua volta, nell’Unione Europea rappresenta il livello più alto di incidenza.

Il settore alimentare risulta il più sensibile all’aumento dei prezzi per l’impatto che ha: si acquistano alimenti a buon mercato a scapito della qualità e si compensa la frustrazione con alimenti che saziano, ricchi di zuccheri e grassi. Il risultato è l’aumento l’incidenza delle malattie che ne derivano a partire dalla tenera età. Ci sarebbe modo di ottenere prodotti di buona qualità a prezzi bassi, ma si dovrebbero trasformare le filiere in cicli di consumo a corto raggio e ridurre, tra gli agricoltori, i consumi di concimi e fertilizzanti, distribuiti con l’uso di mezzi meccanici alimentati a petrolio. Ma anche in questo caso non si vuole affrontare la necessaria trasformazione, puntando ad un controllo dei prezzi che prescinde dal parallelo controllo e sviluppo della qualità.  Quindi si lanciano campagne e bonus a disposizione dei ceti meno abbienti, da utilizzare in modo indiscriminato.

Scindere la campagna di controllo dei prezzi con un parallelo sviluppo del controllo qualità (sia nel prodotto, sia nella dieta) ci sembra un grave errore ed un’occasione persa, perché migliorare la qualità dell’alimentazione e lo stile di vita delle classi medio basse, è un investimento in sicurezza necessario per un efficace Piano sanitario.
Questo obiettivo nei fatti che viene sviato: il maggiore controllo del prezzo dovrebbe essere su verdure e frutta, molto carenti nella dieta (rilevazioni dell’Oec/Hes) e dovrebbe essere disincentivato il consumo dei dolciumi; ma nella campagna anti-inflazione non è chiaro il controllo nutrizionale che sarà esercitato.

Non aiutano nemmeno talune pubblicità istituzionali. Ad esempio, la martellante campagna pubblica su “la pasta, integratore di felicità” fatta dai campioni del volley lascia molto perplessi. Perché, se è necessario a degli atleti la presenza di una quantità di carboidrati (forniti dalla pasta) che si trasformano in energia per le prestazioni in modo più lento ed efficiente dello zucchero, questa prevalenza nei diversi strati sociali, nei vari mestieri e nelle diverse età è pericolosa.

È vero, oggi il consumo di carne è raddoppiato, quello di formaggi, latte e dolci aumentato in modo impressionante, mentre si è dimezzato quello di patate, cereali e legumi; ma non è lanciando generiche campagne in controtendenza che si potrà riportare ad avere un’alimentazione equilibrata.
Uno dei danni accertati dalla campagna del grano di memoria fascista, è stato proprio l’aumento della presenza di pasta nella dieta italiana, evidente sostituto a buon mercato di altre componenti più nobili e più costose. Questo rese la popolazione più esposta alle aggressioni dei patogeni che non mancarono di arrivare nella fase successiva.

Più che “integratore di felicità”, un forte aumento di consumo della pasta mi sembra sia un “surrogato di felicità”, perché sazia a buon mercato e rende così più contenti. Ma si tratta della breve ed effimera gioia dei poveri, come manifestò danzando la famiglia di Felice Sciosciammocca (interpretato da Totò) nella famosa scena degli spaghetti nel film “Miseria e nobiltà”.

Gianfranco Laccone, agronomo, presidenza nazionale ACU Associazione Consumatori Utenti

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