Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne
Il prossimo sabato, 25 novembre, è la “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne”. Sono trascorsi solo pochi giorni dal rinvenimento del corpo di Giulia Cecchettin, 22 anni, uccisa con decine di coltellate infertele dal suo ex fidanzato, coetaneo e compagno di studi all’università. E anche le donne e gli uomini che lavorano per questo sito volevano sottolineare la necessità di intervenire per riuscire a fermare questo fenomeno grave e diffuso. Si tratta di una odiosa forma estrema di violenza di genere che si basa sulla disuguaglianza e sulla discriminazione tra uomini e donne. Una visione arcaica e patriarcale del rapporto di genere, in cui la donna è vista come un oggetto, una proprietà o una minaccia da parte dell’uomo. Numerosi sono i fattori che possono scatenare il femminicidio, ma nessuno lo può giustificare o attenuarne la gravità. L’amore non è mai violenza e sopraffazione. Il femminicidio è un crimine contro l’umanità che va contrastato con la prevenzione, l’educazione, la sensibilizzazione, la denuncia, la protezione e la giustizia.
Per la nostra testimonianza, in coerenza con la nostra mission divulgativa, abbiamo deciso di ri-pubblicare un articolo del 16 febbraio scorso della nostra Federica Rochira. Non vi appaiano fuori luogo il collegare la discriminazione di genere ai cambiamenti climatici, né il racconto della Rochira sulle donne in Asia e in Africa. I suoi riferimenti alle “disuguaglianze già esistenti, inclusa quella di genere” e alla “lotta contro la disparità di genere” sono, purtroppo, uguali in tutto il mondo e in tutti i contesti.
ClimateAid Network
Essere donne nell’era dei cambiamenti climatici
16 febbraio 2023
Una questione di genere nella questione climatica.
Lo certificano le ricerche. Lo conferma la realtà
Il cambiamento climatico sembrerebbe colpire tutti, senza fare distinzioni di sesso, razza o religioni, ma in realtà non è così. Questa crisi, invece, sta rendendo sempre più nette le disuguaglianze economiche e sociali, colpendo soprattutto quelle fasce di popolazione che dipendono, per la sussistenza loro e per quella delle loro famiglie, da risorse e cicli naturali legati a loro volta proprio al clima.
Le ricerche più recenti, incluse quelle dell’IPCC, il Panel intergovernativo sul clima, e della London School of Economics mostrano come i disastri dovuti al cambiamento climatico colpiscono donne e bambini con una probabilità quattro volte superiore rispetto agli uomini. Allora l’emergenza climatica non colpisce tutti allo stesso modo. Le donne, ad esempio, sono più esposte degli uomini, perché? Un po’ perché è dovuto ai ruoli sociali tradizionali e un po’ è dovuto al fatto di essere i soggetti economicamente più deboli. Basti pensare che le donne in Asia e Africa sono quelle che procurano legna e acqua nelle società rurali. Siccità e deforestazione le costringono a procacciare acqua e carburanti sempre più lontano dai villaggi, esponendole a numerosi rischi, dalle violenze sessuali, ai femminicidi.
Il cambiamento climatico è dunque anche un problema di genere. Donne, bambine e ragazze soffrono di più per gli impatti della crisi climatica, soprattutto quando sono costrette a migrare, non è un puro caso che donne e ragazze ad oggi sono in prima linea nella lotta al cambiamento climatico.
Da Greta Thunberg alle molte indigene che si sono fatte avanti per raccontare cosa succede nelle loro comunità, fino alla francese Lucie Pinson detta la “killer del carbone”. In India, ad esempio, Rashida Bee, Premio Goldman nel 2004 (l’equivalente del Nobel per l’Ambiente), è una coraggiosissima attivista sopravvissuta alla tragedia di Bophal. Nella notte del 2 dicembre 1984, una nube di gas tossici fuoriuscì dall’impianto di pesticidi della Union Carbide Corporation, provocando 30mila vittime e il più grande disastro chimico della storia. Cinque anni dopo, Rashida, insieme all’attivista Champa Devi Shukla, si mise a capo di una straordinaria marcia di protesta, dando il via di fatto al primo sindacato femminile indiano, un organismo costituito da donne poverissime, sfruttate e sottopagate. Wangari Maathai, biologa keniota scomparsa nel 2011, la prima donna africana ad aver ricevuto il Premio Nobel per la Pace nel 2004 grazie “al suo contributo per la causa dello sviluppo sostenibile”. Nel 1976, Wangari diede vita al Green Belt Movement, organizzazione che combatte il consumo di suolo forestale, proponendosi di coinvolgere le donne africane in progetti di piantumazione degli alberi.
Ecco perché durante la Cop26 a Glasgow l’agenzia dell’Onu, UN Women ha rilasciato un comunicato su questo tema insieme al governo scozzese: “Il cambiamento climatico amplifica le disuguaglianze già esistenti, inclusa quella di genere. Crediamo che la lotta al cambiamento climatico debba essere connessa alla lotta contro la disparità di genere e crediamo che assicurare maggiore potere e leadership a donne e ragazze sia una strategia vitale affinché gli sforzi globali contro la crisi climatica siano efficaci. Donne e ragazze sono colpite in modo sproporzionato dalle conseguenze degli eventi climatici e affrontano rischi e carichi maggiori, soprattutto se si trovano in situazioni di povertà”.
Secondo il Groundswell Report 2021 della Banca Mondiale saranno 216 milioni i migranti forzati che si sposteranno a causa del cambiamento climatico entro il 2050, molti dei quali saranno, appunto, donne e ragazze. “Al momento circa 20 milioni di persone si spostano ogni anno a causa di eventi meteorologici improvvisi e disastrosi come allagamenti e uragani. Molti altri lo fanno a causa di problematiche che si sviluppano più lentamente, come la siccità. Il cambiamento climatico si combina sempre con altri fattori come causa di migrazione, di solito povertà, sistemi di oppressione, conflitti armati e abusi di diritti umani. La grande maggioranza delle persone tende a muoversi all’interno del proprio Paese o a percorrere distanze più brevi possibili per trovare una condizione di sicurezza e un lavoro alternativo. Ma gli impatti climatici si fanno sempre più estremi e potremmo vedere sempre più migranti attraversare i confini nazionali. I governi devono investire per gestire gli impatti e le conseguenze del cambiamento climatico, ma non possiamo aspettarci che le persone smettano completamente di migrare. Alcuni si sposteranno sempre e abbiamo bisogno di politiche che rendano questi spostamenti sicuri e legali”.
Oggi, grazie a un sapiente uso dei social, una pattuglia di attrici, modelle, scrittrici e giornaliste, potenti influencer dei tempi moderni riescono ad amplificare i loro messaggi in chiave ambientale. Diventa, quindi, estremamente essenziale che, nelle conferenze sul clima, si programmino politiche di migrazione e di prospettiva di genere; lo dobbiamo al pianeta ma soprattutto a noi stessi.
Come è estremamente essenziale che la tutela dell’ambiente si tinga anche di rosa.
Federica Rochira