Giovedì 30 sono iniziati i lavori della COP28 di Dubai. I governi pronti
a confermare i loro obiettivi prioritari. I diplomatici si seduti con i loro ministri
per concordare i loro parametri negoziali e le linee invalicabili. I leader mondiali
avranno dato gli ultimi ritocchi ai loro discorsi. E mentre i negoziatori avranno
scommesso su come il vertice finirà davvero, noi cosa dobbiamo aspettarci?
Iniziata la 28sima Conferenza delle Nazioni Unite sul clima, alla presenza dei leader di quasi 200 paesi, di 70.000 delegati e di qualche migliaio di lobbisti ma con assenze assai significative. Annullato per motivi di salute il viaggio di Papa Francesco di cui ricordiamo l’Enciclica Laudato Si e la più recente Esortazione Apostolica Te Deum, altra assenza di peso è quella del presidente USA Joe Biden, pur presente nelle precedenti COP in Egitto e a Glasgow, dove si è scusato per il fatto che gli Stati Uniti si sono ritirati brevemente dal patto globale sul clima sotto il presidente Donald J. Trump, che notoriamente deride la scienza del clima. Sarà per gli impegni connessi al tentativo di ottenere una pausa duratura nella guerra tra Israele e Hamas e il rilascio degli ostaggi detenuti da Hamas, per non parlare degli impegni finanziari con la guerra in Ucraina.
Non è una novità, invece, l’assenza di Xi Jinping, presidente della Repubblica Popolare Cinese, che ha partecipato unicamente alla Conferenza delle Parti del 2015 a Parigi. In quell’occasione, la Cina si è impegnata a ridurre le emissioni di anidride carbonica entro il 2030 ma, secondo i dati di Our World in Data, la Cina ha emesso 10,171.5 milioni di tonnellate di anidride carbonica nel 2019, cioè il 28% delle emissioni globali. Nel 2020, la Cina ha emesso 10,162.5 milioni di tonnellate di anidride carbonica.
Confermata invece la presenza di re Carlo III del Regno Unito, presente anche nelle ultime COP, noto per il suo impegno ambientale da verificare e confermare anche nel suo nuovo status di sovrano di un paese che fa parte del G7 e del G20.
Resterà da vedere se la sola presenza di re Carlo riuscirà a riequilibrare le assenze che indubbiamente indeboliranno i risultati della Conferenza mondiale, proprio nel momento in cui, invece, era ed è indispensabile rafforzarli.
Al centro della 28sima COP c’è, infatti, la dimostrazione della volontà dei paesi partecipanti di concordare una risposta efficace al Global Stocktake (GST) che ha mostrato chiaramente, ancora una volta, che il mondo non è sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo dell’Accordo di Parigi di rallentare gli aumenti della temperatura media globale entro il limite di 1,5°C., più volte superato nel corrente anno. La COP28 deve mostrare come i paesi intendono imboccare la strada giusta. Ma questo richiederà un’attenta e accurata opera della diplomazia e le assenze che dicevo si faranno sentire.
Gli annunci di nuove direzioni politiche e di impegni finanziari saranno più o meno pomposamente disseminati nel corso delle prossime due settimane, ma difficilmente avremo un’idea dei progressi che i governi saranno riusciti effettivamente a realizzare fino a quando non si arriverà alle ultime ore di confronto (o, più probabilmente, di scontro).
Ci si aspetta che i paesi partecipanti prendano atto di quanto affermano gli scienziati secondo cui il mondo deve ridurre le emissioni del 43% rispetto ai livelli del 2019, entro il 2030 per evitare impatti catastrofici dovuti al cambiamento climatico, mentre gli attuali piani nazionali per il clima prevedono solo una riduzione del 7%. A Dubai, le nazioni non avranno scuse per non discutere dei modi per aumentare l’azione per il clima e di discutere se accettare l’inevitabilità di un’eliminazione graduale dei combustibili fossili. L’UE ha già ribadito il suo desiderio di sostenere gli obiettivi di triplicare le energie rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030, oltre a perseguire l’eliminazione graduale dei combustibili fossili “unabated”.
Temi difficili, specie negli Emirati Arabi Uniti, fortemente dipendenti dalla produzione ed esportazione di petrolio. E specie quando a presiedere la COP c’è il sultano Ahmed Al Jaber che è l’amministratore delegato della compagnia petrolifera degli Emirati Arabi Uniti Adnoc (Abu Dhabi National Oil Company), colosso mondiale delle fossili. Circolano alcune indiscrezioni giornalistiche secondo cui gli arabi intendono utilizzare gli incontri della COP per definire succulenti accordi proprio legati alla commercializzazione dei combustibili fossili. Si vedrà pure questo o, forse, non lo sapremo mai. E nella seconda metà della seconda settimana, tutti gli occhi saranno puntati proprio sulla presidenza degli Emirati Arabi Uniti per vedere come lavoreranno con i ministri per raggiungere un accordo. Paradossalmente, però, l’estremo interesse per lo sfruttamento delle risorse petrolifere da parte dei paesi arabi, potrebbe giocare a favore per decretare se non uno stop, almeno una ragguardevole limitazione all’uso del carbone.
Altro delicato tema è quello del finanziamento del Fondo per risarcire i paesi con le economie più deboli e meno inquinanti, per i danni causati dai cambiamenti climatici; fondo istituito a Sharm el-Sheikh nel corso della COP27 ma ancora non sufficientemente riempito di risorse finanziarie. Alcuni paesi, come l’UE, la Germania e la Danimarca, hanno già lasciato intendere che è in arrivo un impegno in tal senso. L’entità dei finanziamenti necessari, secondo i paesi in via di sviluppo, è di almeno 100 miliardi di dollari all’anno. Il minimo indispensabile per attivare il conto bancario è di 200 milioni di dollari da almeno 3 donatori. Queste cifre saranno in primo piano quando si giudicherà la generosità dei contributi al Fondo. I paesi “donatori” che non hanno ancora annunciato il loro impegno per la ricostituzione del Fondo verde per il clima (Australia, Italia, Svezia, Svizzera, Portogallo, Grecia e, naturalmente, gli Stati Uniti) dovrebbero farlo.
Senza una sfera di cristallo, nessuno sa se i sostenitori di un ambizioso pacchetto COP28 avranno successo. La COP27 si è conclusa con una drammatica lotta in plenaria, con le parti che hanno cercato di annacquare l’accordo finale all’ultimo momento, mentre le ultime ore della COP26 sono state avvolte nel mistero poiché la presidenza ha mantenuto uno stretto controllo sulle bozze dei testi. La diplomazia, dietro le quinte, è sempre un’incognita. La forza delle coalizioni ambiziose sarà messa alla prova.
In conclusione, se avete colto un po’ di scetticismo in quanto ho sin qui scritto, avete perfettamente ragione. Ho abbastanza esperienza per sapere che in questo tipo di eventi tutto avviene in parallelo con gli appuntamenti ufficiali: i negoziati, gli eventi multilaterali, gli incontri tra i leader si susseguono in un alveare di attività, ma in gran parte retorica piuttosto che d’azione.
Giuseppe d’Ippolito