Dopo 28 anni, il tema del ruolo nefasto giocato dalle fossili nel climate change
è stato per la prima volta al centro di una COP grazie al movimento d’opinione
che si è formato in questi anni nel mondo la cui spinta non poteva essere ignorata.
La posizione di maggiore disponibilità di Usa e Cina è importante e ancora più
rilevante di fronte al perdurante ostracismo della Russia. Ma l’accordo che è stato
trovato ha poche luci e molte ombre. Ci sarà da fidarsi?
Non è una questione di parole: la traduzione delle due espressioni è talmente simile da non cogliersene appieno le differenze, se non se ne approfondiscono le implicazioni. È l’obiettivo finale a dover essere chiaro, lo si coglie nella dichiarazione del segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, poco dopo l’approvazione del documento finale della Cop28 redatto nei tempi supplementari successivi alla sua conclusione, “L’era dei combustibili fossili deve finire, e deve finire con giustizia ed equità. Voglio dire che l’uscita dai combustibili fossili è inevitabile, che lo vogliano o no. Speriamo che non arrivi troppo tardi“. Insomma, chiamatela come volete, “uscita” o “transizione” ma, basta combustibili fossili! Saranno i comportamenti futuri di ciascuno dei 198 paesi firmatari a riempire di contenuti concreti le affermazioni per ora scritte solo sulla carta, anche se i precedenti non inducono all’ottimismo.
E, se anche le parole hanno un significato (“le lacrime non sono più lacrime ma parole e le parole sono pietre” scriveva Carlo Levi) non posso fare a meno di rilevare che, in questo caso, esse smentiscono i contenuti e non presuppongono comportamenti conseguenti. Affermare, riferendola ai fossili, la necessità della loro “eliminazione”, corrisponde ad un comportamento imperativo e non derogabile, ma dire “transizione verso l’eliminazione”, descrive un percorso da compiere in un determinato tempo e con determinate modalità. Quello che potrei definire come un “cronoprogramma” verso l’uscita dall’impiego dei fossili. E questo è proprio quello che manca nel documento finale approvato nella Cop28 (che trovate in forma integrale in inglese, qui). È l’esatto contrario del motto “non rimandare a domani quello che puoi fare oggi”, attribuito a Benjamin Franklin, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti d’America, che lo scrisse nel suo almanacco Poor Richard’s Almanack nel 1746.
E se si fosse voluto veramente seguire la Scienza, come affermato dal Sultan Ahmed Al Jaber, presidente di Cop28 (ma anche amministratore delegato della compagnia petrolifera degli Emirati Arabi Uniti Adnoc – Abu Dhabi National Oil Company), nel discorso celebrativo dell’accordo raggiunto, le indicazioni, anche temporali, non mancavano. Ad esempio, è stato totalmente ignorato il rapporto dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) sulla mitigazione del cambiamento climatico, pubblicato il 4 aprile 2022. Il rapporto sostiene che per contenere il riscaldamento globale entro 1,5°C, le emissioni globali di gas serra devono diminuire del 43% entro il 2030, rispetto ai valori del 2019, mentre gli attuali piani nazionali per il clima prevedono solo una riduzione del 7%. Il rapporto è stato scritto da un gruppo di esperti internazionali, coordinati da tre copresidenti: Jim Skea (Regno Unito), Priyadarshi Shukla (India) e Jochen Harnisch (Germania). Il rapporto è stato approvato da 195 governi, che hanno partecipato al processo di revisione e di adozione del riassunto per i responsabili politici. Per questo indicare l’obiettivo al 2050, senza fasi di valutazione e corrispondenti impegni intermedi, ci espone al rischio di arrivare al 31 dicembre 2049 per scoprire che l’obiettivo non è stato raggiunto, la CO2 è ulteriormente aumentata insieme alla temperatura globale (per non parlare degli eventi climatici estremi e delle loro conseguenze, che si saranno malauguratamente nel frattempo verificati).
Ed è la preoccupazione che leggo in diverse dichiarazioni critiche, successive all’accordo, di alcuni delegati. Quelle celebrative e inneggianti al risultato “storico” le avrete già lette ovunque.
Madeleine Diouf Sarr, responsabile del cambiamento climatico presso il ministero dell’ambiente del Senegal e presidente del gruppo dei paesi meno sviluppati, ha dichiarato in una nota:
“Questo risultato non è perfetto, ci aspettavamo di più. Riflette l’ambizione più bassa possibile da accettare piuttosto che ciò che sappiamo, secondo la migliore scienza disponibile, essere necessario per affrontare urgentemente la crisi climatica”.
Il ministro dell’Ambiente colombiano Susana Muhamad ha dichiarato in plenaria:
“Le scappatoie nel testo finale comportano rischi e i rischi possono minare la volontà politica. I combustibili di transizione potrebbero finire per colonizzare lo spazio della decarbonizzazione. In questo momento, nella parte finanziaria del testo, non disponiamo ancora della struttura economica necessaria per questa transizione profonda, che non è solo una transizione energetica ma è fondamentalmente una transizione economica dell’intera società”.
Per il capo negoziatore boliviano Diego Pacheco:
“Non possiamo sostenere risultati che significhino che il mondo entrerà in una nuova era di attuazione dell’Accordo di Parigi senza equità, senza responsabilità comuni ma differenziate, senza una differenziazione tra paesi sviluppati e in via di sviluppo e senza mezzi di attuazione e finanziamenti concreti per i paesi in via di sviluppo. I paesi sviluppati non hanno deciso di prendere l’iniziativa di guidare la lotta contro la crisi climatica e questo sta mettendo a repentaglio la vita delle persone nella nostra parte del mondo. Parliamo molto di 1,5°C e di scienza, ma i paesi sviluppati che hanno in programma di espandere i propri combustibili fossili fino al 2050 vanno contro la scienza stessa, la stessa scienza di cui parlano”.
Il dottor Arunabha Ghosh, amministratore delegato del Council on Energy, Environment and Water con sede a Delhi, ha dichiarato:
“Questa Cop ha ampiamente deluso su tutti i fronti. Non ha sufficientemente innalzato le ambizioni climatiche, non ha ritenuto responsabili gli inquinatori storici, né stabilito meccanismi efficaci per finanziare la resilienza climatica e una giusta transizione a basse emissioni di carbonio per il sud del mondo. Mentre l’operatività del fondo per perdite e danni il primo giorno ha segnato un notevole successo, gli sviluppi successivi hanno rivelato una traiettoria discordante. Il testo finale del bilancio globale mancava del sincero riconoscimento dei problemi e della forza necessaria per combatterli”.
Per Bill Hare, scienziato del clima e CEO di Climate Analytics:
“Il settore energetico è debole e semplicemente non ha impegni abbastanza concreti per portare il limite di riscaldamento di 1,5°C entro questo decennio, e non c’è alcun impegno per raggiungere il picco delle emissioni entro il 2025. L’obiettivo di triplicare le energie rinnovabili e raddoppiare l’efficienza è molto gradito, ma richiederà un duro lavoro per essere implementato. L’accordo apre le porte a false soluzioni come la cattura e lo stoccaggio del carbonio su larga scala, e il riferimento ai combustibili di transizione è un codice per il gas, che non è assolutamente un combustibile di transizione. Ciò è stato promosso dagli esportatori di GNL e di gas fossile”.
Cosa resterà, allora in concreto e in positivo, da questa Cop28? Innanzitutto, il fatto che, dopo 28 anni, il tema del ruolo nefasto giocato dalle fossili nel climate change, è stato per la prima volta al centro di una COP. Questo è sicuramente un successo da ascrivere al movimento d’opinione che si è formato in questi anni nel mondo la cui spinta non poteva essere ignorata. Così come va salutata positivamente la presa di coscienza della gravità della situazione attuale da parte di Usa e Cina, ancora più rilevante di fronte al perdurante ostracismo della Russia (tanto per citare i tre paesi più inquinanti al mondo). E così anche per l’annunciata volontà di 120 paesi di triplicare le fonti rinnovabili. Ci sarebbe anche da dire che l’accordo è stato trovato nel corso di un evento mondiale organizzato da un paese leader globale nella produzione, commercializzazione e utilizzo di fonti fossili e sotto la presidenza (proponente del documento finale) di un amministratore delegato di una delle più grandi compagnie petrolifere del mondo.
Ci sarà da fidarsi? Mi sembra appropriato, allora, rispondere con quello che nell’Eneide, Publio Virgilio Marone, fece dire a Laocoonte ai Troiani per convincerli a non introdurre il famoso cavallo di Troia all’interno delle mura della città: “Timeo Danaos et dona ferentes” (trad. “Temo i Greci anche se portano doni”).
A buon intenditor …
Giuseppe d’Ippolito
P.S. La prossima settimana tornerò ancora su alcuni dettagli dell’accordo