Nella conferenza stampa di inizio d’anno della premier
italiana, sono totalmente mancate le domande sulle
politiche per il clima e per il contrasto ai suoi mutamenti,
sulle politiche di adattamento e mitigazione, sulle prospettive
future per l’Italia e il mondo. Tutto questo a pochi giorni dal
varo di importanti novità normative e all’indomani dell’intervento
della stessa premier alla Cop28. Quando è la stampa a mettersi il bavaglio
“Vi siete mai chiesti perché i media diffondono determinate notizie e non altre? Non tutto quello che accade, infatti, diventa una notizia. Perché lo diventi, devono essere soddisfatti i cosiddetti criteri di notiziabilità” scrive Fabio Brocceri, un giornalista che ha lavorato per anni come addetto stampa in numerose istituzioni. Questa affermazione mi ha molto sollecitato, dopo aver ascoltato con tutta l’attenzione del caso, il 4 gennaio scorso, la conferenza stampa della presidente del consiglio italiana e dopo aver seguito e letto nei giorni successivi, con altrettanta attenzione, i commenti, le reazioni, le critiche e gli apprezzamenti dalle più varie fonti. E in me si è fatta strada una profonda delusione.
Tre ore dedicate a un paio di centinaia (stimati ad occhio, conoscendo la location) di giornalisti di testate nazionali e locali, televisive, cartacee e online, che hanno sciorinato ben 45 domande, ma non una, dico una, ha avuto ad oggetto il tema delle politiche italiane sul Clima. E allora io mi sono posto la domanda: il Clima non fa notizia? Non soddisfa i criteri di notiziabilità? Hanno avuto spazio domande sulla politica nazionale ed estera, domande puntute e altre elogiative, domande francamente inutili formulate solo per giustificare una presenza e altre che contenevano già la risposta (non ammissibile! si direbbe in un’aula di tribunale) e tanti piccoli editoriali per approfittare della visibilità offerta dall’eccezionale platea. Ma la politica sul Clima? Non pervenuta, né nelle domande, neppure indirettamente nelle risposte e neanche nei successivi commenti di quei leaders che ripetutamente si richiamano ai valori della tutela ambientale e della salvaguardia climatica.
Quali criteri di notiziabilità non rispettano le ultime news sul Clima?
L’attualità? Vorrei ricordare che il 2023 è stato “L’anno orribile del clima” (titolo di prima pagina de “La Stampa” del 31 dicembre) e l’anno più caldo del pianeta nella storia registrata. Nel 2023, secondo Legambiente, si sono contati 378 eventi meteorologici estremi, +22% rispetto al 2022, con 31 vittime. Il Nord, con 210 eventi meteorologici estremi, si conferma l’area più colpita, seguito dal Centro (98) e dal Sud (70). In aumento soprattutto le alluvioni e le esondazioni fluviali (+170% rispetto al 2022); le temperature record registrate nelle aree urbane (+150% rispetto ai casi del 2022); le frane da piogge intense (+64%); le mareggiate (+44%); i danni da grandinate (+34,5%); gli allagamenti (+12,4%). Tradotti in numeri significa: 118 casi di allagamenti da piogge intense, 82 casi di danni da trombe d’aria e raffiche di vento, 39 di danni da grandinate, 35 esondazioni fluviali che hanno causato danni, 26 danni da mareggiate, 21 danni da siccità prolungata, 20 casi di temperature estreme in città, 18 casi di frane causate da piogge intense, 16 eventi con danni alle infrastrutture e 3 eventi con impatti sul patrimonio storico.
L’interesse pubblico? A parte gli eventi appena citati, non sono forse di interesse pubblico le alluvioni in Emilia-Romagna e in Toscana e i provvedimenti che attendiamo per riparare i danni ed evitare il loro ripetersi? E la siccità primaverile che ha influenzato pesantemente la produzione agricola nazionale. E il progressivo aumento dello scioglimento dei nostri ghiacciai alpini perenni (la tragedia della Marmolada è già dimenticata?); e l’innalzamento dei mari che porterà alla sparizione di interi nostri territori costieri a partire da Venezia (uno studio pubblicato dalle Università del Salento e Ca’ Foscari di Venezia sulla rivista Natural Hazards and Earth System Sciences, ipotizza un aumento del livello del mare nella laguna veneta di 1,2 metri entro i prossimi 50-70 anni). Per non parlare dei 7.423 comuni italiani (il 93,9%) che secondo l’Ispra sono a rischio per frane, alluvioni e/o erosione costiera anche a causa del consumo di suolo che, sempre l’Ispra, valuta in 2,5 metri quadrati al secondo. E, sempre a proposito di interesse pubblico, invito a rileggere il Rapporto Censis 2023, secondo cui l’84% degli italiani si dichiara impaurito dal clima impazzito che provoca l’aumento della frequenza e dell’intensità di eventi meteorologici estremi, come alluvioni, siccità, ondate di calore e incendi.
Le novità? Cito almeno quattro domande attualissime non fatte: a partire dal chiedere quale piano si prevede in Italia per triplicare le fonti rinnovabili (dichiarazione del governo nel corso della Cop28 di novembre), quando a tutti è nota la lentezza nell’autorizzazione di tali fonti energetiche. Andando proprio alle ore antecedenti la conferenza stampa: infatti all’inizio dell’anno è arrivata l’approvazione del Pnac, il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. È una buona notizia, ma solo per metà. Prima di tutto perché era un atto dovuto, approvato a 6 anni dalla prima bozza, quando eravamo rimasti gli ultimi tra i grandi Paesi europei a restare disarmati di fronte alla minaccia climatica.
Ma la domanda da fare era con quali risorse si pensa di realizzare gli obiettivi del Piano quando per la gran parte delle 361 azioni individuate non è indicato un budget di spesa. E la legge di bilancio 2024 non contiene alcuno stanziamento per la lotta alla crisi climatica. Così come andava chiesto quanto fosse compatibile con la dichiarata vocazione europeista la costante opposizione ai provvedimenti del Green Deal: dalla mobilità elettrica, alla riduzione degli imballaggi, all’efficientamento degli edifici. E ciò avrebbe consentito di introdurre un’altra domanda proiettata nei mesi a venire: la presidenza italiana del G7, che inizia del 2024, come si caratterizzerà a livello globale promuovendo iniziative per il contrasto ai mutamenti climatici, per la riduzione delle emissioni climalteranti, per l’abbandono delle fonti fossili?
C’erano quindi tutti i requisiti di notiziabilità che avrebbero giustificato non una ma cento domande sul Clima e sulle politiche ad esse connesse a condizione di non considerare i temi ambientali come una politica di serie B. La conclusione che ricavo da questa occasione persa è che, qualche volta, è proprio la stampa ad imporsi (non so dire se consapevolmente o per ignavia) quel bavaglio contro cui, giustamente, insorge.
Giuseppe d’Ippolito