Il Parlamento europeo ha approvato mercoledì 17 gennaio 2024
la direttiva contro il greenwashing e le informazioni ingannevoli.
Essa mira a proteggere i consumatori e ad aiutarli a compiere
scelte di acquisto più informate, migliorando l’etichettatura dei
prodotti e vietando l’uso di dichiarazioni ambientali fuorvianti.
La direttiva deve ora essere approvata dal Consiglio dell’Unione
europea e pubblicata nella Gazzetta ufficiale. Gli Stati membri
avranno 24 mesi di tempo per recepirla nel diritto nazionale
Un’ottima notizia per consumatori e, indirettamente, per l’ambiente. Il Parlamento europeo ha approvato mercoledì 17 gennaio 2024 la direttiva contro il greenwashing e le informazioni ambientali ingannevoli. Ci sono stati 593 voti favorevoli, 21 contrari e 14 astensioni. Hanno votato contro i partiti di estrema destra, come il Rassemblement National francese, il Partito della Libertà austriaco, il Partito Popolare danese, il Movimento per l’Ungheria.
Tra gli italiani, il Partito Democratico, Italia Viva e +Europa, hanno votato a favore della direttiva. Forza Italia e Fratelli d’Italia, hanno votato contro la direttiva, mentre la Lega ha votato in maggioranza contro la direttiva, ma alcuni dei suoi esponenti hanno espresso un voto favorevole o si sono astenuti, evidenziando una possibile spaccatura interna al partito. Il Movimento 5 Stelle ha votato in modo diviso, con alcuni europarlamentari favorevoli e altri contrari alla direttiva, mostrando una certa ambiguità sul tema.
La direttiva mira a proteggere i consumatori e ad aiutarli a compiere scelte di acquisto più informate, migliorando l’etichettatura dei prodotti e vietando l’uso di dichiarazioni ambientali fuorvianti. La direttiva deve ora essere approvata dal Consiglio e pubblicata nella Gazzetta ufficiale europea. Gli Stati membri avranno 24 mesi di tempo per recepirla nel diritto nazionale.
La direttiva europea sul greenwashing è una norma che mira a contrastare le pratiche commerciali sleali e le informazioni ingannevoli che possono indurre i consumatori a credere che un prodotto o un servizio sia più ecologico di quanto non sia in realtà. La direttiva si pone l’obiettivo di:
– vietare l’uso di indicazioni ambientali generiche come “rispettoso dell’ambiente“, “naturale“, “biodegradabile“, “a impatto climatico zero” o “eco” se non sono supportate da prove scientifiche.
– Migliorare l’etichettatura dei prodotti per fornire ai consumatori informazioni chiare e affidabili sulle prestazioni ambientali dei prodotti, in particolare sulla loro durabilità, riparabilità, riciclabilità e contenuto di materiali riciclati.
– Rafforzare i diritti dei consumatori in caso di acquisto di prodotti con difetti o non conformi alle informazioni ambientali fornite dal venditore.
– Promuovere un consumo più sostenibile e una maggiore partecipazione dei consumatori all’economia circolare, in linea con il Green Deal europeo e il piano d’azione per l’economia circolare.
La direttiva è quindi importante perché: protegge i consumatori da informazioni ingannevoli che possono influenzare le loro scelte di acquisto e il loro impatto ambientale e, allo stesso tempo, promuove un mercato più sostenibile e trasparente, in cui le aziende sono incoraggiate a offrire prodotti più durevoli, riparabili e riciclabili, e a dimostrare le loro prestazioni ambientali con prove scientifiche. Inoltre, contribuisce agli obiettivi del Green Deal europeo e del piano d’azione per l’economia circolare, che mirano a rendere l’Europa il primo continente climaticamente neutro entro il 2050 e a ridurre l’uso delle risorse e la produzione di rifiuti.
Sarà bene ricordare che il greenwashing è un fenomeno assai diffuso in Europa, dove molte aziende usano dichiarazioni ambientali ingannevoli per promuovere i loro prodotti o servizi, senza avere prove scientifiche a sostegno. Secondo uno studio di InfluenceMap, il 93% delle aziende della classifica Forbes2000 usa termini come “net zero” o “climaticamente neutro” nelle proprie pagine web, ma sono pochissime quelle che adottano azioni concrete per ridurre il loro impatto ambientale. Inoltre, secondo un sondaggio di BEUC (Bureau Européen des Unions de Consommateurs composto da 45 organizzazioni indipendenti di consumatori provenienti da 31 paesi), il 42% dei consumatori europei ha incontrato almeno una volta una pubblicità ingannevole o fuorviante su prodotti ecologici.
Il greenwashing è un problema anche in Italia, dove molte aziende usano dichiarazioni ambientali ingannevoli per promuovere i loro prodotti o servizi, senza avere prove scientifiche a sostegno. In Italia, il greenwashing è considerato come pubblicità ingannevole e sanzionato dall’ AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato). Alcuni esempi di casi di greenwashing sanzionati in Italia hanno riguardato: la Volkswagen, che nel 2015 è stata scoperta a manipolare le emissioni di alcuni modelli di auto diesel, facendole apparire più ecologiche di quanto non fossero in realtà; la Nestlé, che nel 2019 è stata multata per aver usato il logo “Made Green in Italy” su alcuni prodotti alimentari, senza rispettare i requisiti previsti dalla legge; l’Eni, che nel 2020 è stata denunciata da Greenpeace per aver usato il claim “Eni è una compagnia energetica che opera nel rispetto dell’ambiente e della società“, senza dimostrare il suo impegno nella riduzione delle emissioni di gas serra.
Questi sono solo alcuni esempi di greenwashing in Italia, ma ce ne sono molti altri. Per evitare di cadere nel greenwashing, le aziende devono essere trasparenti e oneste sulle loro prestazioni ambientali, e fornire ai consumatori informazioni chiare e verificabili. Inoltre, i consumatori devono essere informati e critici, e verificare le fonti delle informazioni ambientali che ricevono.
La vigilanza è affidata a tutti noi e vi invitiamo a segnalarci tutti i casi di pubblicità ambientali che reputate ingannevoli o fuorvianti, ovvero a rivolgervi direttamente e senza formalità al nostro partner ACU – Associazione Consumatori Utenti (qui).
Eléne Martin