Secondo alcuni studi recenti, la disinformazione climatica è
in aumento, non solo sui social e sulle piattaforme digitali, dove
è facile raggiungere un vasto pubblico ma anche su giornali e tv
sfuggendo ai rari controlli di qualità e veridicità delle informazioni.
I maggiori influencer della disinformazione climatica sono: i gruppi
o individui che hanno interessi economici o politici legati ai combustibili
fossili o ad altre fonti di energia inquinanti, i movimenti o partiti populisti
o estremisti che si oppongono all’azione climatica per motivi ideologici
o identitari; i troll o bot che cercano di creare confusione, polarizzazione
o divisione tra le persone su questioni climatiche; i produttori o consumatori
di contenuti sensazionalistici o complottistici che attirano l’attenzione con
teorie infondate o fantasiose sul clima
Diversi mesi fa mi ero ripromesso di non rispondere più ai negazionisti climatici: sbagliavo! Mi sono accorto che il mio angolo visuale, quello di una persona discretamente informata, dal quale assistevo alla sistematica disinformazione sul clima, non è lo stesso di tutte quelle altre persone, ahimè in gran numero, che non sono altrettanto informate sui fenomeni climatici e sui disastri che provocano. Quindi mentre io, forte delle mie convinzioni, valutavo come colossali scemenze le fake sul clima dei nuovi influencer negazionisti, non meritevoli di impiegare del tempo per smentirle, la disinformazione climatica prendeva sempre più terreno e spazio finendo ineluttabilmente per condizionare molti cittadini.
Da molti anni ormai sono abituato ad occupare le prime ore dal mio risveglio mattutino a leggere la rassegna dei quotidiani nazionali e non ho potuto fare a meno di notare che, specie negli ultimi mesi, gran parte della stampa più autorevole ha seguito il mio ragionamento sbagliato, parlando poco dei mutamenti climatici e lasciando spazio a fogli minori che hanno incrementato la diffusione della disinformazione climatica. Così anche i vari talk televisivi di “approfondimento”, sempre affamati di ascolti e alla perenne ricerca di maggior audience, danno sempre più spazio a improbabili personaggi, i nuovi influencer della disinformazione climatica, pronti a negare tutto il negabile, dall’aumento della temperatura globale, all’inquinamento atmosferico, al ruolo dei combustibili fossili, finendo per buttarla sempre nell’amata (dai conduttori) caciara. Ciò nella distorta convinzione che l’informazione corretta si fa mettendo a confronto tra loro diverse opinioni fossero anche, talune, rappresentative delle più stravaganti e inconsistenti tesi. È come se, nel III secolo a.C., ad Archimede che spiegava la teoria dei vasi comunicanti, si fosse opposto qualcuno che genericamente sostenesse che “l’acqua viene attirata verso l’alto”, senza spiegare il ruolo della gravità e della galleggiabilità dei corpi. Così come oggi si dice con leggerezza che il riscaldamento globale è causato dal sole senza spiegare che il nostro pianeta riceve sì la luce e il calore dal sole, ma lo restituisce (lo riflette con un fenomeno che si definisce albedo) in parte in atmosfera, mantenendo così l’equilibrio termico necessario alla vita sulla terra, quello stesso equilibrio oggi alterato a causa della “schermatura” di un’atmosfera sempre più composta da gas “serra” (il termine “serra” vi dice niente?) dovuti alle attività umane.
La spiegazione di tutto ciò è, sempre a mio avviso, abbastanza intuitiva: è più facile farsi convincere dalle più semplici e dirette affermazioni negazioniste che dalle tesi, ben più complesse, articolate e necessitanti di approfondimenti, della scienza. Contrastare i mutamenti climatici richiede un impegno personale, individuale e collettivo, con il contorno dell’abbandono di abitudini consolidate negli anni, mentre negarli è oggettivamente più comodo, è l’alibi più semplice per autoassolversi, per negare proprie responsabilità e continuare a fare quello che si è sempre fatto. Perché domandarsi, ad esempio, la ragione delle anomalie climatiche nelle stagioni, o della maggiore frequenza delle alluvioni o dei periodi di siccità per scoprire che essa dipendono da fattori antropici e da una distorta industrializzazione, quando è più facile rispondersi che è sempre stato così nella storia della terra e l’uomo non può farci nulla (principale tesi negazionista). E i morti annegati, i territori devastati, i raccolti perduti, eccetera, diventano una disgraziata contingenza se non addirittura una spiacevole coincidenza. E coloro, magari più riflessivi di altri, che sembrano più sensibili ai fatti accertati, troppe volte concludono che sarà un problema delle prossime generazioni, perché, come dice la scienza -affermano capziosamente-, il nostro impegno odierno produrrà effetti visibili tra 10-50-100 anni o oltre e noi non ci saremo più (come se le prossime generazioni non saranno la nostra discendenza o la discendenza della nostra discendenza).
Non parlo semplicemente di un fenomeno di costume, perché la disinformazione climatica indebolisce il necessario sostegno pubblico alle politiche climatiche.
C’è anche qualcuno che si è preso la briga di dimostrarlo. L’ha fatto, per esempio, la Facoltà di Psicologia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Ginevra (UNIGE) in uno studio pubblicato sulla rivista specializzata “Nature Human Behaviour”. La conclusione tratta dalla ricerca è stata che la disinformazione sui cambiamenti climatici ha un impatto profondo sulla popolazione e sui suoi comportamenti. Per dimostrarlo, i ricercatori hanno messo circa 7.000 partecipanti – provenienti da dodici differenti nazioni – di fronte a informazioni errate. Dal confronto, i ricercatori hanno constatato che la disinformazione ha una presa maggiore sulle convinzioni dei partecipanti e rispettivamente sul loro atteggiamento rispetto alle misure di lotta contro il cambiamento climatico. Si è inoltre constatata una diffusa difficoltà nel riconoscere la disinformazione in quanto tale. Il responsabile dello studio, Tobias Brosch, professore presso il Consumer Decision and Sustainable Behaviour Laboratory (CDSB Lab) della Facoltà di Psicologia e Scienze dell’Educazione e presso il Centro Interfacoltà, in un comunicato stampa dell’università, ha dichiarato che “la disinformazione è estremamente convincente, più delle informazioni scientifiche. Circa un terzo della popolazione dubita o nega i cambiamenti climatici di origine antropica. Una credenza che cozza con le considerazioni del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico” (IPCC, il panel scientifico istituito dalle Nazioni Unite) “che ancora quest’anno ha sottolineato nel suo rapporto annuale la responsabilità umana nel surriscaldamento climatico”. Gli esempi citati dai ricercatori fanno riferimento a casi di disinformazione consistenti nella messa in discussione del consenso scientifico o alla sopravvalutazione dei costi e degli inconvenienti delle misure climatiche. Interessante anche l’individuazione, operata dai ricercatori, dei punti d’ingresso della disinformazione nella nostra psiche.
“Come individui elaboriamo i messaggi scientifici non come destinatari naturali di informazioni”, spiega sempre Brosch, “ma soppesandoli rispetto alle nostre precedenti convinzioni”. Su questa base, i ricercatori hanno sviluppato sei strategie di intervento psicologico volte a prevenire gli effetti della disinformazione sul clima sulle convinzioni e sui comportamenti delle persone. Ogni strategia era legata a un tema particolare (consenso scientifico, fiducia negli scienziati del clima, comunicazione trasparente, moralizzazione dell’azione climatica, accuratezza, emozioni positive verso l’azione climatica). I partecipanti sono stati divisi in otto gruppi: sei sottoposti all’una o all’altra strategia, uno alla disinformazione senza prevenzione e un gruppo di controllo. Il gruppo “fiducia negli scienziati del clima“, ad esempio, ha ricevuto informazioni verificate che dimostravano l’affidabilità degli scienziati dell’IPCC. Al gruppo “comunicazione trasparente“, invece, sono state presentate informazioni sui vantaggi e gli svantaggi delle azioni di mitigazione del clima. Ogni gruppo è stato poi esposto a venti informazioni false o distorte, dieci sulla scienza del clima e dieci sulla politica climatica. I ricercatori dell’Università di Ginevra hanno poi misurato il loro impatto, dopo gli interventi preventivi, chiedendo ai partecipanti quali fossero le loro sensazioni. ” Abbiamo scoperto che l’effetto protettivo delle nostre strategie era debole e scompariva dopo la seconda esposizione alla disinformazione ma anche che la disinformazione sul clima utilizzata in questo studio aveva un’influenza negativa sulla convinzione dei partecipanti riguardo al cambiamento climatico e sul loro comportamento “sostenibile”. Solo il gruppo “accuratezza”, a cui è stato chiesto di riflettere a fondo sull’accuratezza delle informazioni incontrate online, ha mostrato un leggero vantaggio. La ricerca sulla disinformazione è ancora agli inizi. Continueremo quindi il nostro lavoro e cercheremo forme di intervento più efficaci. È sempre più urgente combattere questo fenomeno, che ritarda l’applicazione di alcune misure urgenti per mitigare il cambiamento climatico”, ha dichiarato il professor Tobias Brosch.
L’antidoto per contrastare la disinformazione climatica consiste nell’informarsi da fonti affidabili e verificabili, come le organizzazioni scientifiche, le agenzie internazionali, i media indipendenti o le ONG ambientaliste; nel verificare le informazioni che si ricevono o si condividono, usando strumenti di fact-checking o confrontando diverse fonti; nell’educarsi e sensibilizzarsi sulle cause, le conseguenze e le soluzioni del cambiamento climatico, attraverso la formazione, la divulgazione, il dialogo o l’attivismo; nel denunciare e contrastare la disinformazione climatica, segnalando i contenuti falsi o fuorvianti, esponendo le fonti o le motivazioni dei diffusori, diffondendo informazioni corrette e basate sui fatti, sostenendo le iniziative e le politiche a favore dell’azione climatica.
In questo quadro, il ruolo di tutti i media è fondamentale: l’informazione corretta di cui tutti abbiamo bisogno, non è fondata sullo scontro tra tesi scientifiche accertate e semplici affermazioni antiscientifiche e apodittiche, che –come si è visto- prevarrebbero sulle prime, ma sulla promozione di una comunicazione scientifica accurata, trasparente e accessibile, che mostri i fatti e le prove sul cambiamento climatico e le sue soluzioni. Inoltre, è utile coinvolgere il pubblico in modo attivo e partecipativo, valorizzando le sue conoscenze, le esperienze e i valori, e stimolando il suo senso di responsabilità e di speranza.
Giuseppe d’Ippolito