Sotto la nostra lente di ingrandimento finisce oggi una vasta categoria (sono ben 103 le sostanze ammesse in questa categoria di additivi!) di prodotti chimici che vengono usati come additivi addensanti, emulsionanti, e stabilizzanti. Sono i tipici additivi che riguardano le proprietà fisiche dell’alimento, cioè per fornire una determinata caratteristica di aspetto e consistenza. Sono ampiamente impiegati dall’industria alimentare per sopperire alla scarsa qualità e ridotte quantità di alcuni ingredienti fondamentali, per velocizzare e facilitare alcuni passaggi tecnologici e anche per evitare che le caratteristiche di aspetto e consistenza si modifichino e peggiorino durante la vita commerciale del prodotto. Infine queste categorie di additivi permettono di fabbricare nuovi prodotti così come pretende un marketing sempre più aggressivo che con furbizia non usa indicare gli additivi con la loro sigla (E + numero) ma con il nome della sostanza, mascherando così la loro vera natura.
Additivi emblema della rivoluzione industriale e dell’economia lineare
Emulsionanti, addensanti, gelificanti e stabilizzanti si affacciano con la produzione industriale di massa dei cibi ultra elaborati e processati. Con l’evoluzione della chimica industriale e analitica avanza la destrutturazione (esempio la separazione delle proteine dai carboidrati, il lattosio dal latte, l’estrazione degli oli dai semi) delle derrate alimentari di base (cereali, semi oleaginosi, latte, carni, ecc.), per inventare sempre nuovi prodotti da commercializzare.
La possibilità di separare i diversi componenti nutritivi di un alimento base diventa la linea guida della rivoluzione tecnologica in campo alimentare, iniziata con la rivoluzione industriale alla fine del 1700. Già con Napoleone si sviluppano le radici dell’economia lineare e della diversificazione produttiva nel settore alimentare. Ad esempio la carne viene conservata anche in scatola e le truppe napoleoniche se ne nutrono con facilità.
Si arriva a demolire, anche sul piano culturale, la bontà del “pane nero”, ottenuto da farina di grano integrale completo di germe e fibra, per favorire il consumo di massa del “pane bianco” privo dei principi nutritivi e protettivi fondamentali.
Alle classi popolari si inculca l’idea che il “pane bianco” è quello che mangiano i nobili, mentre quello “nero” è quello dei poveri che soffrono la fame. I legumi che venivano chiamati “la carne dei poveri”, vengono sostituiti con la “carne dei ricchi”, ovvero quella di bovino. Il capovolgimento dei valori si arricchisce con l’introduzione dello zucchero raffinato (saccarosio), degli oli estratti chimicamente con solventi dai semi e di una varietà e quantità di additivi alimentari tale che oggi possiamo affermare che molti prodotti alimentari in commercio esistono soltanto grazie agli additivi. Via via viene sconvolto l’equilibrio circolare uomo-cibo-ambiente e viene a dominare il rapporto lineare uomo-cibo, ovvero consumatore-commerciante. Il modello di produzione lineare diventa tanto dominante da provocare danni irreparabili all’ambiente e alla salute umana. Oggi gran parte della popolazione soffre di disbiosi (vedi nota a seguire “Cosa sono il microbiota e la disbiosi“) e l’ambiente soffoca di una crescente distruzione della biodiversità e della presenza di sostanze chimiche dannose presenti nell’aria, nell’acqua, nei terreni e nel corpo degli animali e dei vegetali.
Oggi la strada maestra che dobbiamo percorrere è quella della produzione e del consumo circolare, abbandonando rapidamente il modello lineare assieme ad una profonda riconversione dei modelli di consumo, eliminando i cibi processati strapieni di additivi e preferire cibi freschi ed integrali.
Nutrirsi con cibi sani, cioè senza additivi, non vuol dire solo bontà e salubrità ma vuole anche dire riequilibrare il nostro microbiota con l’ambiente nell’ottica di una circolarità tra uomo e ambiente.
Sono solo additivi “cosmetici”?
Diversi esperti definiscono questi additivi “cosmetici”, ma spesso ciò viene contraddetto dalle loro effettive funzioni.
È quasi sempre possibile produrre un alimento senza questi additivi. Prendiamo per esempio il caso del panettone o di altri dolci lievitati di questo tipo: se nella loro preparazione sono impiegate un numero sufficiente di uova, ricche di un emulsionante naturale come la lecitina, il prodotto può essere conservato in ottimo stato per alcune settimane; se invece si usano poche uova, uova in polvere oppure ovoprodotti è indispensabile ricorrere alla lecitina come additivo (E322).
Tra gli emulsionanti più diffusi figurano i mono- e di-gliceridi degli acidi grassi (E471 ed E 472), le carragenine (E407 ed E407a), gli amidi modificati (E14XX), le lecitine, i fosfati, le cellulose (cellulosa microcristallina E460 e carbossimetilcellulosa E466), le gomme e le pectine.
Alcuni di questi additivi sono estratti da semi o frutta, ma non si trova mai indicato in etichetta, ad esempio “pectina estratta da mele”. Ciò può ingannare il consumatore o forse dà mano libera al produttore industriale?
Gli emulsionanti sono dei facilitatori
A livello molecolare, gli emulsionanti possiedono proprietà sia idrofile che idrofobiche, particolarmente utili per stabilizzare le preparazioni alimentari che contengono lipidi.
Di conseguenza, possono essere trovati in migliaia di prodotti alimentari trasformati di uso quotidiano (ad esempio salse, prodotti con cioccolato, snack, merendine, prodotti da forno, preparati di carne, preparati pronti a base di frutta, verdura o legumi) e soprattutto negli alimenti ultra-processati (Ultra Procesed Foods – UPF). Tutti questi prodotti forniscono un’ampia percentuale dell’apporto energetico alimentare, fino al 60% negli Stati Uniti e nel Regno Unito e circa il 30% in tutta Europa. Queste situazioni si possono definire allarmanti per la salute pubblica
I rischi per i consumatori
Negli ultimi anni sono emerse preoccupazioni su un consumo così alto di UPF in base a studi epidemiologici su larga scala, che hanno suggerito che le diete ricche di UPF potrebbero essere associate a rischi più elevati di malattie non trasmissibili come il cancro, malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2, obesità.
L’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha valutato la sicurezza individuale per il consumo e ha determinato le dosi giornaliere accettabili (ADI), ritenendo in molti casi di non fissare limiti o di fissare limiti elevati, ritenendo questi additivi di modesta tossicità dato che gli emulsionanti attualmente utilizzati nella produzione alimentare sono prodotti naturali purificati (di origine vegetale o animale) o prodotti chimici sintetici che hanno strutture molto simili ai prodotti naturali.
I più recenti studi scientifici rivelano gravi rischi per la salute pubblica
Tuttavia, recenti studi sperimentali in vitro/in vivo hanno suggerito effetti dannosi degli additivi alimentari emulsionanti quali alterazioni del microbiota intestinale e l’infiammazione cronica, che sono anche coinvolte nell’eziologia di molte altre malattie croniche, compresi i tumori extra-intestinali. Inoltre, un primo studio randomizzato e controllato sugli esseri umani ha dimostrato che l’assunzione a breve termine di carbossimetilcellulosa (E466) in individui sani a dosi sovrafisiologiche (15 g/giorno) alterava rapidamente la composizione del microbiota intestinale e la produzione di metaboliti intestinali (vedi nota a seguire “Cosa sono il microbiota e la disbiosi“).
Un recentissimo studio di un’equipe internazionale a guida francese (Sellem L, Srour B, Javaux G, Chazelas E, Chassaing B, Viennois E, et al. (2024) Emulsionanti additivi alimentari e rischio di cancro: risultati della potenziale coorte francese NutriNet-Santé. PLoS Med 21(2)) ha studiato per una media di 6,7 anni un gruppo di 92.000 adulti francesi senza cancro al momento dell’arruolamento (44,5 anni, 78,8% donne, dal 2009 al 2021). Complessivamente, durante il follow-up sono stati diagnosticati 2.604 casi incidenti di cancro (inclusi 750 tumori al seno, 322 alla prostata e 207 al colon-retto). Assunzioni più elevate di mono- e di-gliceridi degli acidi grassi (E471) erano associate a rischi più elevati di cancro in generale, cancro al seno e cancro alla prostata. Inoltre, sono state osservate associazioni con il rischio di cancro al seno per assunzioni più elevate di carragenine totali (E407 ed E407a e carragenina (E407). Non è stata rilevata alcuna associazione tra gli emulsionanti e il rischio di cancro del colon-retto. Sono state osservate diverse associazioni con altri emulsionanti, ma i risultati non erano sufficientemente robusti.
Un precedente studio dello stesso gruppo, pubblicato nel 2023 sul British Medical Journal, aveva associato il consumo giornaliero di cinque emulsionanti –cellulosa microcristallina, carbossimetilcellulosa, fosfato trisodico mono- e digliceridi degli acidi grassi e i loro esteri lattici – a un aumento del rischio cardiovascolare. L’aumento del rischio è modesto (3-7%), ma secondo le conclusioni dei ricercatori “potrebbe avere importanti implicazioni di salute pubblica, considerando che questi additivi alimentari sono usati in tutto il mondo in migliaia di prodotti ultra processati di largo consumo.”
La nostra richiesta all’Autorità Europea
Se gli attuali studi vengono confermati da ulteriori ricerche epidemiologiche e sperimentali, dovranno portare a una profonda revisione della regolamentazione dell’uso degli emulsionanti da parte dell’industria alimentare, attraverso politiche alimentari che impongano una modifica innanzi tutto della Dose Giornaliera Ammissibile di alcuni emulsionanti, o addirittura abolendo o limitando l’uso di altri, per una maggiore tutela della salute dei cittadini.
Invitiamo l’EFSA a riconsiderare con urgenza la diffusione e il vasto impiego degli emulsionanti in un’amplissima gamma di prodotti alimentari di larghissimo consumo. Raccomandiamo di limitare o meglio evitare il consumo di alimenti e bevande contenenti additivi di ogni categoria. Consigliamo i consumatori di privilegiare alimenti freschi, veramente integrali e poco trattati e di privilegiare alimenti senza alcun additivo aggiunto, come indicato nella PdR 57.
La Prassi di Riferimento UNI 57:2019– Linee guida per prodotti alimentari e bevande senza additivi- (la trovate qui) consente di fornire le certezze richieste dai consumatori in virtù delle verifiche condotte secondo le procedure della certificazione di terza parte.
Alcuni esempi di applicazioni degli emulsionanti negli alimenti
Pane
È possibile fare il pane senza emulsionanti, ma risulta spesso un prodotto secco, di ridotto volume, che diventa facilmente raffermo. Basta aggiungere all’impasto appena lo 0,5% di emulsionante per ottenere un volume maggiore, una struttura più morbida della mollica e una scadenza più lunga. Esistono due tipi di emulsionanti utilizzati nel pane: sostanze che rendono l’impasto più consistente (ad esempio, esteri dell’acido diacetil tartarico (E472e) e stearoil-2-lattilato di sodio o di calcio (E481, E482)) e sostanze che rendono l’impasto più morbido (ad esempio, mono e digliceridi degli acidi grassi (E471)). Gli agenti rinforzanti rendono l’impasto più robusto e consentono di ottenere pane con consistenza e volume migliori. Gli agenti ammorbidenti permettono di ottenere una mollica con struttura più morbida e una scadenza più lunga. Utilizzando farine integrali con il germe e una lievitazione adeguata con lievito madre e i necessari rinfreschi, si ottiene un pane eccezionale senza additivi.
Cioccolato
Quasi tutti i prodotti di cioccolato contengono lecitina (E322) o fosfatide di ammonio (E442). Questi emulsionanti vengono aggiunti per fornire al cioccolato la giusta consistenza. Di conseguenza, il cioccolato può essere modellato in sfoglie, barrette ecc. Se il cioccolato è stato conservato a temperature troppo elevate, la sua superficie può apparire opaca o biancastra. Il fenomeno si chiama “affioramento” e rende il prodotto meno attraente per il cliente. Il sorbitano tristearato (E492) può ritardare lo sviluppo dell’affioramento.
Gelato
Il gelato è un alimento molto complesso: contiene cristalli di ghiaccio, aria, particelle di grasso e una miscela acquosa non congelata. Gli emulsionanti vengono aggiunti durante il processo di congelamento, per favorire una consistenza più omogenea e garantire che il gelato non si sciolga rapidamente dopo averlo servito. Inoltre, essi migliorano la stabilità tra parte congelata e non congelata. I mono e digliceridi degli acidi grassi (E471), la lecitina (E322) e i polisorbati (E432, E436) sono comunemente utilizzati nella produzione di gelati. Tutto ciò vale anche per altri dessert quali sorbetti, frullati a base di latte, mousse e yogurt surgelati.
Carni lavorate
Le salsicce e i wurstel sono ampiamente consumati in Europa. I componenti principali delle salsicce sono proteine della carne, grassi ed acqua, che vengono tenuti insieme in un’emulsione stabile. Gli emulsionanti stabilizzano l’emulsione e distribuiscono il grasso uniformemente nel prodotto. L’industria alimentare utilizza mono e digliceridi degli acidi grassi (E471) ed esteri dell’acido citrico (E472c) per la produzione di carne lavorata.
Gianni Cavinato presidente ACU-Associazione Consumatori Utenti perito agrario e tecnologo alimentare
Emilio Senesi giornalista e tecnologo alimentare
Cosa sono il microbiota e la disbiosi
Nota a cura di Serenella Cavinato, biologa nutrizionista
Il microbiota è l’insieme dei microorganismi costituita da commensali, simbiotici e patogeni (batteri, funghi, virus) che vivono in simbiosi con il corpo umano. La popolazione microbiotica si concentra maggiormente nell’intestino ma possiamo trovare popolazioni ben definite anche in altri organi (tranne nel sistema nervoso centrale), pelle compresa.
Il microbiota svolge svariate funzioni fisiologiche, metaboliche ed immunologiche fondamentali per mantenere uno stato di benessere fisico e mentale.
Quando viene alterato l’equilibrio funzionale tra microbiota e corpo umano si instaura la cosiddetta “disbiosi”, dove una o più collettività della flora non può più garantire e favorire il benessere all’ospite, portando ad alte probabilità di insorgenza di svariate patologie, anche oncologiche.
La disbiosi può essere causata da molteplici fattori ma in primis troviamo come causa principale l’alimentazione, se sbilanciata e ricca in sostanze non naturalmente presenti nei cibi.
Il modo scientificamente più corretto per valutare la disbiosi intestinale è, ad oggi, il test della flora batterica intestinale che utilizza un campione di feci dell’ospite. Attraverso l’analisi del microbiota colonico si ricava la mappa delle specie presenti o non presenti nel campione e se ne studiano le relazioni allo scopo di elaborare un piano terapeutico ben mirato (dieta, pro e pre-biotici, cibi fermentati, attività fisica..).