Il Parlamento Europeo, nell’ultima sessione plenaria a Strasburgo della legislatura, ha approvato la riforma della Politica Agricola Comune. Gli eurodeputati hanno dato il via libera al progetto di legge con le modifiche tecniche proposte dal Comitato speciale agricoltura del Consiglio e approvate dalla commissione per l’agricoltura del Parlamento. Il regolamento deve ora essere approvato dal Consiglio Europeo. La revisione della PAC modifica le norme relative a tre condizionalità ambientali alle quali gli agricoltori devono attenersi per ricevere finanziamenti. Fornisce inoltre maggiore flessibilità ai Paesi membri per concedere esenzioni dalle norme in caso di problemi nell’applicarle e in caso di calamità naturali. Le piccole aziende agricole di dimensioni inferiori a 10 ettari saranno esentate dai controlli e dalle sanzioni in caso di inosservanza di alcune norme. Gli Stati membri inoltre avranno più margine di manovra nell’applicazione del rapporto tra prato permanente e superficie agricola al di sopra del 5% rispetto al 2018. (ITALPRESS)

 

È passata in aula al Parlamento Europeo l’ipotesi di riforma della Politica Agricola Comune (PAC) 2023/2027 proposta dalla Commissione europea con procedura d’urgenza, sia per dare un segnale al mondo agricolo in rivolta che per evitare il rinvio delle decisioni al “dopo elezioni del nuovo Parlamento”. Ora ci si aspetta che i governi ratifichino in sede di Consiglio quanto proposto, per permettere l’entrata in vigore del nuovo regolamento entro “la fine della primavera”, come auspicato dal Gabinetto della Von Der Leyen. Si tratta di qualcosa che riguarda molto da vicino i cittadini della UE, anche se gli unici destinatari sembrano essere gli agricoltori (una ristretta minoranza), poiché incide sui tempi del settore agricolo, sulle sue trasformazioni condizionate dai cambiamenti climatici e sul costo delle derrate alimentari.

L'EuroSkulptur nel centro di Francoforte in Germania

Persino le amministrazioni dei diversi Paesi saranno impegnate in un’intensa attività di analisi per capire gli effetti delle modifiche introdotte sull’onda della protesta, a cui seguirà l’attività di contatto con i servizi della Commissione per valutare l’efficacia della riforma stessa. I necessari aggiustamenti, comunque, e le eventuali modifiche non cambieranno gli indirizzi ora votati, ma riguarderanno il piano strategico di ciascun Paese. In tal modo anche all’interno di un quadro comunitario si manterrà una linea d’intervento separata per ogni Paese, al fine di adattare meglio le politiche alla situazione specifica ma anche, diciamo noi, al fine di evitare che si crei una situazione di malessere generalizzato che attivi, come ora, proteste e rivolte. Si tratta dell’effetto più evidente della protesta dilagata: ciascun Paese si organizzerà per sviluppare una politica agricole comune che prevede, evidentemente, maglie più larghe di quella attuale.

Ma in cosa consistono le modifiche previste dalla riforma appena approvata?
Innanzitutto si è dato il “contentino” alla protesta: alla deroga temporanea per il 2024 dal tenere i terreni incolti, si è prevista l’eliminazione completa della quota minima di terreno coltivabile ad aree non produttive sino al 2027. L’illusione che coltivare quel 5% in più rappresentato dai terreni incolti permetterà di fare quadrare i conti alle aziende, non servirà a coprire i danni derivati dalla coltivazione intensiva dei terreni (soprattutto di quelli marginali). Ma poiché questi costi ricadono sull’intera società e non solo sugli agricoltori, ci si illude che questo li renda meno visibili. Dalla protesta è uscito vincitore l’attuale rapporto di forza politico che vede prevalere quanti intendono la tutela ambientale come un optional e non come uno strumento di base. Ma “il tempo è galantuomo” ed i nodi verranno al pettine, soprattutto se i consumatori faranno sentire la loro voce (attualmente molto flebile) e se le forze ambientaliste si convinceranno che è perdente parlare di tutela ambientale senza parlare anche di reddito dei produttori e di tutela dei consumatori.

Campo di mais: giovani piante di mais che crescono al sole.

Come contraltare alla fine dell’ambientalismo agricolo, la Commissione ha previsto che gli Stati membri istituiscano un eco-schema che offra un sostegno agli agricoltori “per mantenere una parte dei terreni coltivabili in stato non produttivo” o per creare nuovi elementi paesaggistici, prevedendo anche esenzioni specifiche per la copertura del suolo, i terreni a riposo, le lavorazioni. Insomma, al fine di non inimicarsi quanti credono che sia produttivo il rispetto della natura e dei cicli stagionali, si forniscono le possibili vie d’uscita per situazioni che “rischiano di essere contrarie ai loro obiettivi”. Un modo per giungere a compromessi che tengano buone le forze ambientaliste e quanti tra gli imprenditori hanno investito nel cambiamento e nella diversificazione agricola, soprattutto se la siccità o le possibili inondazioni spazzeranno via le illusioni di reddito derivate dalla intensificazione delle coltivazioni. A nessuno è venuto in mente che, forse, sarà anche l’aumento di sfruttamento del suolo ad aumentare gli effetti delle catastrofi naturali. Il tentativo della Commissione è quello di offrire vie d’uscita per situazioni catastrofiche che si prevede si ripeteranno nel tempo.

Le modifiche più significative, in grado di darci il vero segno della riforma, sono quelle relative alla riduzione dei controlli e delle sanzioni per le aziende agricole sotto i 10 ettari, partendo dall’evidenza del conteggio statistico, per cui questo provvedimento riguarderebbe il 65% dei beneficiari ma solo il 10% della superficie agricola comunitaria. Data per auspicabile una selezione tra i diversi controlli e tra le sanzioni eliminabili, rispettando quegli indicatori che l’Agenda 2030 dell’ONU utilizza per prospettare un futuro per il pianeta.

Inoltre, avremmo preferito che un simile conteggio fosse stato fatto per la distribuzione dei fondi comunitari che vede ancora oggi, a trent’anni dalla riforma Mac Sharry, l’80% dei fondi erogato a panaggio del 20% delle aziende agricole. Le riforme susseguitesi da allora sino ad oggi non hanno modificato questo aspetto che è il vero punto nodale (e vincente) di ogni eventuale riforma, né riteniamo che quella in via di attuazione intaccherà questi rapporti di forza attualmente a vantaggio delle medie e grandi aziende. Il mancato controllo unito alla possibilità di coltivazione più intensiva non renderà più competitive le piccole aziende agricole e nelle aree in cui esse rappresentano una entità rilevante (spesso aree particolarmente dissestate), l’avvio dei mancati controlli e di un maggiore sfruttamento del suolo sarà causa di un probabile incremento del dissesto idrogeologico a cui esse sono soggette.

Frutta E Verdura, Produrre, FrescoChe dire? La riforma non contrasterà le attuali tendenze del mercato mondiale delle derrate alimentari, anzi, favorirà le speculazioni e le variazioni di prezzo a cui spingono le guerre e il cambiamento climatico. La tendenza a ridurre il numero delle aziende e a renderle ancora più interne al sistema agroalimentare vede nell’attuale riforma uno strumento coerente e gli agricoltori capiranno presto che avere una apparente maggiore iniziativa e libertà di conduzione è una pia illusione, anche eliminando i vincoli ed i controlli. Il controllo sostanziale operato dai bassi prezzi sul mercato mondiale e dai debiti per la gestione sono gli strumenti adeguati a tale scopo, strumenti che l’attuale riforma non mette in discussione.

Per i consumatori l’attuale riforma della PAC non prevede niente, salvo fumosi principi generali, e i bassi redditi (problema di particolare importanza in Italia) spingeranno i consumatori ad acquistare i prodotti meno costosi, di minore qualità e, in genere, provenienti da produzioni internazionali. Per noi è chiaro già in partenza il quadro fallimentare della riforma in corso, avviata solo per bloccare le proteste e continuare ad attuare la vera riforma agricola mondiale che scorre sotto traccia. Quest’ultima sarà attuata con il controllo della biodiversità attraverso i brevetti e del sistema produttivo attraverso la tecnologia e il controllo operato dal sistema finanziario e delle filiere, guerre permettendo.

Solo una unità delle forze ambientaliste e dei consumatori sarà in grado di darci prospettive differenti.

Gianfranco Laccone, agronomo, presidenza nazionale ACU Associazione Consumatori Utenti

ISCRIVITI AD ACU, CLICCA QUI