La pandemia da coronavirus, oltre alle conseguenze dirette e terribili in termini di morti e lockdown in tutto il mondo, è stata una delle cause scatenanti della grande crisi dei commerci globali. Sempre la pandemia, che ha spinto i governi occidentali ad adottare politiche economiche molto espansive per sostenere la popolazione durante i periodi di lockdown, è una delle tante cause dell’aumento dell’inflazione, negli Stati europei e in Italia. Ma anche la crisi dei commerci globali ha un evidente ruolo nell’aumento dell’inflazione. La guerra in Ucraina provocata dalla Russia e quella israelo-palestinese hanno amplificato a loro volta i problemi dell’inflazione, e continua a contribuire ai blocchi commerciali. A questo si aggiunge la crisi climatica, con tutta una serie di problemi e complicazioni. La pratica della Sostenibilità come sistema complesso e unitario può essere una soluzione
“Lo sviluppo sostenibile è quello che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri” è stato affermato nel rapporto Brundland, nel 1987, all’interno dei lavori della Commissione mondiale ONU sull’Ambiente e lo Sviluppo (WCED). Il rapporto definiva la necessità di attuare una nuova strategia, che potesse armonizzare le esigenze dello sviluppo socio-economico e dell’ambiente. Si coniò la definizione “sustainable development” tradotto dovunque in “sviluppo sostenibile”. Risulta chiaro come questo sia stato l’esito di una presa di coscienza che le risorse del pianeta non sono infinite e, di conseguenza, devono essere preservate.
Da allora in poi, abbiamo avuto un’infinità di norme e regolamenti con valenza globale, europea e nazionale e oggi non esiste norma o regolamento, interno o sovranazionale, successiva a tale data, che non si sia ispirata a quella idea e non l’abbia posta come sua finalità ultima. Alla base di tutte queste strategie, sempre l’idea di Sviluppo Sostenibile, come definita nel 1987.
Ma, cosa dire in merito all’effettivo raggiungimento di questi obiettivi di sviluppo legati alle pratiche di Sostenibilità, nel nostro paese?
Dall’ultima relazione (con dati aggiornati al 2023) di Eurostat, l’Ufficio Statistico dell’Unione Europea, sul raggiungimento degli obiettivi di Sviluppo Sostenibile in Europa, l’Italia non ne esce affatto bene. Per 16 dei 17 obiettivi gli indicatori nazionali sono tutti ben al di sotto della media europea e con una scarsa progressione nell’ultimo quinquennio e solo uno si avvicina alla media (bassa) europea. Addirittura, quelli relativi a “Lavoro dignitoso e crescita economica” (Obiettivo nr. 8), sono inferiori di meno della metà della media dei paesi europei con uno scarso incremento nel quinquennio. Se poi si considera il valore degli investimenti sul PIL nazionale per l’obiettivo relativo alla crescita economica, i dati riferiti al 2023 sono praticamente identici a quelli del 2006 e quelli per “Industria, innovazione e infrastrutture” (Obiettivo nr. 9) sono praticamente sempre, dal 2006 ad oggi, la metà della media europea.
Il dato comune è che si cerca di realizzare ciascun obiettivo dello Sviluppo Sostenibile come singoli e autonomi problemi di una più globale transizione.
Ma non esiste una transizione, ma una pluralità di transizioni da realizzare nel nostro paese per affrontare e vincere la sfida del surriscaldamento globale: climatica, ecologica, energetica, digitale, alimentare, finanziaria, ecc. Avete presente il cubo di Rubik, con le sue facce di diversi colori? Anche se sono solo sei i colori, immaginate ora che ad ogni colore corrisponda una diversa transizione. Tutti sanno ormai che il modo per non risolvere il rompicapo è quello di cercare di comporre i colori una faccia per volta. Al contrario, si raggiunge l’obiettivo, solo se si opera per comporre tutte le facce contemporaneamente. E così capita per le transizioni: non si risolve il problema del pianeta se ci si occupa di transizione ecologica, ma si ignora quella energetica; se ci si preoccupa della transizione energetica, ma si ignorano quella digitale o quella finanziaria. Oppure se si guarda ai nuovi sistemi alimentari, separati da un’altra possibile agricoltura, ignorando l’inquinamento, l’acqua pulita e disponibile ovunque, o non preoccupandosi del sistema finanziario e di quello della grande e piccola distribuzione. Non si può lavorare per una qualsiasi transizione senza considerare lo stato di guerra nei vari territori mondiali.
E così chi si occupa di Ambiente non può non occuparsi anche di Economia. Del resto, Ecologia ed Economia hanno lo stesso prefisso perché derivano entrambe dalla stessa radice greca: oikos, che significa “casa” o “ambiente“. L’ecologia è lo studio delle relazioni tra gli esseri viventi e il loro ambiente, mentre l’economia è la scienza che si occupa della gestione delle risorse scarse e dei beni prodotti dalla società. Entrambe le discipline hanno a che fare con il modo in cui gli esseri umani interagiscono con la loro “casa comune”, il pianeta Terra, e con le conseguenze di queste interazioni sul benessere collettivo.
Occorre cercare di correlare e sviluppare questi ambiti di conoscenza allo scopo di migliorare la nostra comprensione sistemica. Le persone non possono vivere bene se l’ambiente e l’economia versano in cattive condizioni. Così come le tensioni sociali, tra singoli e tra Stati, continueranno ad essere alimentate anche dalla disparità nella ripartizione dei benefici, quali ricchezza economica e aria più pulita, e dei costi, che includono l’inquinamento e una perdita della resa dovuta alla siccità.
Non è un caso che è diventata molto di moda la parola “policrisi”, in inglese “polycrisis”, un termine che cerca di descrivere l’attuale situazione mondiale in cui numerose grandi crisi (economica, climatica, politica) si accumulano e si amplificano l’una con l’altra, anche grazie ai conflitti mondiali. Il termine è piuttosto usato sui giornali anglosassoni, anche con gli immancabili scetticismi, si trova nelle ricerche degli scienziati politici, è stato ritenuto una delle parole dell’anno 2022, è stato usato da celebri economisti ed è diventato uno degli argomenti più discussi dell’ultimo World Economic Forum di Davos, all’inizio dell’anno appena trascorso.
In un articolo pubblicato sul Financial Times uno degli storici dell’economia più famosi degli ultimi anni, il britannico Adam Tooze, ha affermato, commentando l’accumularsi di varie crisi di livello globale come la pandemia e la guerra: «Questa è la più complessa, disparata e trasversale serie di sfide che ricordi nei 40 anni da quando ho cominciato a fare attenzione a queste cose».
La tesi, secondo Tooze, è che ci troviamo in un momento in cui le grandi crisi globali «interagiscono tra loro in maniera tale che l’insieme delle parti è più opprimente della loro semplice somma». Ciascuna crisi, secondo Tooze, diventa un fattore di un’altra crisi, e contribuisce ad amplificarla.
Il termine policrisi fu inventato dal filosofo e sociologo Edgar Morin negli anni Novanta, in riferimento soprattutto alla crisi climatica. Non ebbe molto successo sul momento, ma fu recuperato nel 2016 da Jean-Claude Juncker, che allora era presidente della Commissione Europea, che disse, in riferimento alle molte crisi che l’Europa stava vivendo in quel momento (da quella del debito sovrano a quella migratoria), che l’Unione Europea rischiava di «camminare come una sonnambula da una crisi all’altra, senza mai svegliarsi».
La Sostenibilità, secondo la definizione del 1987 e intesa come fattore di sviluppo e superamento delle crisi, deve quindi diventare non solo un obiettivo di politica generale, ma un sistema giuridico, con suoi propri principi e sue proprie regole, che coesiste a fianco di quello ordinario e con quello variamente interagisce, in proporzione agli obiettivi suoi propri e alle invarianze di quello.
Occorre che il paradigma della Sostenibilità non venga assunto a mero effetto di normative disomogenee e frammentate, ma venga considerato un insieme complesso e unitario di programmi, di piani, di norme e di risorse dedicate che ruoti intorno ad una idea di sviluppo economico reale, socialmente accettabile ed ambientalmente compatibile.
Ora che anche le nostre conoscenze e la nostra comprensione dell’ambiente si sono ampliate, sottolineando il fatto che le persone, l’ambiente e l’economia formano tutti parte dello stesso sistema, bisogna operare tenendo conto che per garantire uno sviluppo sostenibile e una società equa, è necessario considerare l’ambiente, il clima, l’economia e la società come parti inscindibili della stessa entità.
Giuseppe d’Ippolito