Alle elezioni europee di sabato 8 e domenica 9 giugno, in Italia, rispetto alle politiche di due anni fa, l’affluenza alle urne è stata più bassa: a queste elezioni europee ha votato il 49,7 per cento degli elettori, meno di uno su due, mentre alle politiche votò quasi il 64 per cento, la percentuale comunque più bassa di sempre nella storia repubblicana. In Europa la maggioranza che ha guidato l’Europarlamento tra il 2019 e il 2024 tiene, raggiungendo circa 400 voti, seppur indebolita. Il buon risultato del centro-destra tedesco e la tenuta del partito dei Popolari va a supporto di una seconda candidatura di Von der Leyen. Anche il gruppo dei Socialisti e Democratici, seppure cedendo qualche voto, non ha subito un’evidente sconfitta. L’atteso calo dei Verdi, trainato dai dati di Germania e Francia, è tuttavia contenuto grazie ai seggi ottenuti da Olanda, Paesi nordici e Italia. La destra conservatrice, populista e nazionalista cresce in maniera netta, trainata da Francia e Germania, ma non abbastanza da modificare drasticamente la maggioranza europea. Rilevante la tenuta dei partiti di Governo di Polonia e Spagna, i cui leader Tusk e Sanchez possono considerarsi vincitori insieme a Fratelli d’Italia e Meloni.

 

Cosa guadagnano i consumatori, italiani in particolare, dalle recenti elezioni europee? La vulgata, che rispecchia il livello di partecipazione elettorale (poco al di sopra del 50% degli aventi diritto e che vede scendere al di sotto di questa media la partecipazione italiana) dice che non ci viene niente di buono dalle decisioni comunitarie anzi, le peggiori imposizioni per i cittadini arrivano proprio da quelle decisioni. Eppure, al contrario di quello che sembra (ma non è l’evidenza), se molti diritti per i consumatori esistono in Italia e in tanti Paesi, essi traggono la loro origine dal diritto comunitario, dal come è stato costruito e da come esso si è evoluto nel tempo; se molte regole sono poco chiare o se non si riesce ad applicarle, certo non è a causa dei consumatori o della UE ma forse sono le imprese e i governi nazionali ad avere qualche responsabilità in merito.

Un primo piano di due mani che tengono lampadina contro l'erba verdeIl primo problema che la UE deve affrontare è la transizione energetica, non solo a causa del cambiamento climatico, ma anche perché le materie prime e la materia fossile legata alla produzione di energia non sono presenti sul territorio della Unione. Alla soluzione però si unisce una contraddizione: vi è la necessità per le imprese e per i consumatori di modificare i prodotti, di standardizzarli, di consumare meno energia e meno materie prime per produrli e di farli durare più a lungo, ma non vi è traccia di queste esigenze nei discorsi che hanno portato al Parlamento Europeo gli eletti di qualunque partito. Non vi è traccia nei discorsi fatti dagli esponenti di governo per tali problemi e se si parla di energia o di prodotti, di automobili o di lavatrici, si parte dalla coda e quasi mai dal cuore del problema. Se le auto endotermiche o il riscaldamento fatto con energia fossile (benzina, metano, GPL) vanno eliminate, se le case vanno costruite in modo da essere di classe energetica superiore, non bisogna meravigliarsi delle decisioni comunitarie. Allungare i tempi, come nel caso delle concessioni balneari e delle auto in Italia, più che un favore ai consumatori, è un favore alle imprese. Ma anche in questo caso è un favore all’immobilismo in cui molte imprese vivono e che coinvolge parte della società. L’immobilismo non favorisce il mercato e non migliora la condizione sociale di tutti, soprattutto quando il mondo va avanti e nel commercio mondiale si affacciano prepotentemente grandi Paesi ricchi di materie prime e popolazione.

Famiglia felice del tiro medio all'apertoPerché il secondo problema è l’invecchiamento della popolazione e non riguarda solo la questione anagrafica, ma coinvolge problemi demografici e questioni sociali come quelle dei servizi, alcuni carenti e di qualità sempre peggiore (sanità, pensioni), altri sovradimensionati (scuola), la cui efficienza si scontra con la necessità di far quadrare i conti e di rinnovare il patto sociale che li aveva creati nei diversi Paesi componenti la UE. Un patto sociale fatto da una generazione giovane che doveva ricostruire l’Europa dalle macerie materiali e morali della seconda guerra mondiale, che è stata seguita dalla generazione ancora più giovane che ha creato il benessere diffuso, a sua volta sostituito, dagli anni Ottanta in poi, dall’inseguire il miraggio del profitto e dall’arricchirsi ad ogni costo, in pratica dilapidando quanto si era accumulato e che ha visto invecchiare la società e le idee. Oggi i nodi vengono al pettine e l’illusione di  poter continuare a vivere in pochi meglio del resto del pianeta si scontra con i limiti delle risorse disponibili e dell’età dei benestanti.  Con l’età diminuisce la voglia di cambiare abitudini, di prendere decisioni, di riorganizzare l’attività e la vita. Gli europei reagiscono chiudendosi in sé stessi e scaricando le loro frustrazioni su chi è debole o vive peggio di loro. Il sistema del consumo diventa così un sistema più chiuso, in cui le barriere di protezione alzate sono conseguenza dei nostri limiti più che necessità reali e la società in cui viviamo diventa sempre meno capace di fidarsi di ciò che produce e di come lo impiega. Ad esempio, l’aumento dei dazi sulle auto elettriche prodotte in Cina non fermerà questo mercato se non di qualche anno, con la conseguenza di rafforzare il mercato interno cinese e le loro aziende e pertanto togliere spazio a quelle europee a vantaggio delle nuove cinesi; con un esempio simmetricamente contrario, avere consentito alla Bayer di continuare a distribuire in Europa una sostanza tossica come il Gliphosate da lei prodotto (la Bayer è diventata proprietaria della Monsanto statunitense, detentrice del brevetto originale) non migliorerà le condizioni di salute dei cittadini ed aumenterà i costi dell’assistenza medica e del risanamento ambientale che si dovrebbero invece eliminare, sostituendoli con la prevenzione.

Donna sul tramonto sulla riva di un lagoIl terzo aspetto cruciale è la qualità della vita e con essa della formazione, delle relazioni sociali e dell’ambiente in cui si vive. Per migliorarle si deve pensare molto ed innovare, preparado le nuove generazioni e rendendole anche numericamente in grado di contare. I discorsi sul favorire le coppie ed i giovani che tutti i governi comunitari fanno sono privi di senso: i risultati di tale impegno, se fosse vero e duraturo, arriverebbero tra vent’anni. Ma nel frattempo chi curerà e nutrirà una popolazione di anziani, quale quella europea? Non vi è altra strada obbligata che immettere ora una popolazione giovane in Europa e darle gli strumenti di conoscenza che abbiamo costruito nel corso del tempo per farla rapidamente maturare. In parte lo si fa in Germania, in Francia, in Olanda, in Spagna dove le aziende vedono nei gruppi dirigenti sempre più la presenza di giovani, molti dei quali hanno le famiglie d’origine in altre parti del mondo ed in cui la media dei laureati si avvicina e supera il 50% delle persone scolarizzate (questa media in Italia è poco oltre il 25% e le imprese hanno come conseguenza una scarsa capacità di innovazione e di adattamento al mercato). Sono aspetti che creano contraddizioni sociali e pongono la popolazione europea dinanzi ai dilemmi che tutti oggi abbiamo: pensare ad un futuro diverso da come ci eravamo illusi che fosse e cambiare con intelligenza la nostra vita? O continuare a lamentarsi, ad avere paura del futuro che arriva? Ancora una volta, nella società dei consumi, consumare meno e meglio aiuterebbe più che tentare di difendere il tipo di vita sino ad ora svolto ed inveire contro il mondo che cambia, cercando di fermarne il corso.

I segnali della composizione del nuovo Parlamento europeo non sono incoraggianti e forse si continuerà a discutere di cose lontane dai reali problemi del vivere quotidiano. Per tornare a discutere del reale dovremmo partire dai disastri esistenti e dal cercare di rimediare ad essi, innanzitutto pensando di fermare la guerra che, a prescindere dagli esiti, distrugge il futuro, immiserisce il presente e cancella i diritti, compresi quelli dei consumatori.

Gianfranco Laccone, agronomo, presidenza nazionale ACU Associazione Consumatori Utenti

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