La Commissione Europea ha approvato il 4 giugno, lo schema di decreto che promuove la realizzazione di impianti di produzione da fonti rinnovabili non pienamente mature o con costi elevati di esercizio, il cosiddetto FER2. Obiettivo dell’intervento è incentivare la realizzazione di una capacità di 4,6 GW di impianti entro il 31 dicembre 2028, tra cui: impianti eolici off-shore, geotermoelettrici a emissioni nulle, geotermoelettrici tradizionali, alimentati a biomassa e biogas, fotovoltaici floating su acque interne e a mare, nonché impianti da energia mareomotrice, del moto ondoso e altre forme di energia marina e impianti solari termodinamici. Nel frattempo, la Conferenza Stato-Regioni, nella seduta dello scorso 7 giugno, ha raggiunto l’Intesa sullo schema di decreto del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, di concerto con il Ministro della cultura e con il Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, recante “Disciplina per l’individuazione di superfici e aree idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili”. Si tratta di un provvedimento molto importante perché fissa i paletti sulle possibili ubicazioni degli impianti a energia rinnovabile (eolici, fotovoltaici, ecc.), ma è stato fortemente contestato.

 

Rinnovabili sì, rinnovabili no: questa la visione strabica degli ultimi provvedimenti normativi che hanno caratterizzato i primi giorni di giugno. Da una parte il provvedimento autorizzativo europeo (della Commissione) al cosiddetto Fer 2 (ne riferisce dettagliatamente in GREEN NEWS la nostra Hèléne Martin da Bruxelles) che si traduce nell’approvazione di un sistema di forti incentivi per i nuovi impianti energetici rinnovabili che utilizzano tecnologie innovative, tra queste l’energia geotermica, l’energia eolica offshore (galleggiante o fissa), l’energia solare termodinamica, l’energia solare galleggiante, l’energia delle maree, quella del moto ondoso e altre energie marine.

Progetto mulino a vento 3D

Dall’altra, l’approvazione da parte della Conferenza Stato/Regioni/Comuni dello schema di decreto ministeriale sulle aree idonee ad ospitare, sul territorio nazionale, impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, che accontenta molti enti locali che vedono accrescere i propri poteri autorizzativi e limitativi, ma scontenta praticamente tutte le associazioni ambientaliste che premono sul superamento delle fonti fossili attraverso lo sviluppo delle rinnovabili, che vedono invece nella proposta un ulteriore barriera per il loro sviluppo in Italia e quindi come uno stop non solo per le politiche climatiche, ma anche per l’indipendenza e la sicurezza energetica. C’è da dire che, mentre il provvedimento della Commissione deve ormai superare solo alcune fasi burocratiche per divenire definitivamente operativo, il decreto aree idonee è ancora una bozza che, come chiedono le associazioni, potrebbe ancora ricevere una rimodulazione da parte del Governo.

Il pannello solare produce energia verde rispettosa dell'ambiente dal sole al tramonto Vista aerea dal drone

Partendo da quest’ultimo, vi è il serio rischio che le previsioni ministeriali possano aggiungersi negativamente al recente decreto agricoltura che limita l’istallazione del fotovoltaico a terra nei terreni a destinazione agricola, anche se incolti, complicando il caos normativo e rallentando la realizzazione degli impianti rinnovabili. In un comunicato congiunto, Greenpeace, Legambiente e WWF, affermano:” Il decreto doveva prevedere principi uniformi per la selezione di aree nelle quali le rinnovabili potessero essere autorizzare in modo più semplice e rapido. Al contrario, l’ultima versione del decreto, diffusa dopo l’esame in Conferenza Stato-Regioni, fondamentalmente lascia carta bianca alle Regioni nella selezione delle aree idonee, di quelle non idonee e di quelle ordinarie. Risultato: il quadro autorizzativo per le rinnovabili diventa ancor più complicato, senza una cornice di principi omogenei capaci di indirizzare la successiva attività di selezione delle aree, da effettuarsi con leggi regionali. L’esito di questo percorso saranno leggi regionali disomogenee, che complicheranno ulteriormente il quadro regolatorio per le rinnovabili, già messo a durissima prova.” Ricordo che il ministro Pichetto Fratin, al recente vertice G7 su energia e clima che si è svolto a Venaria, aveva fatto dichiarazioni sulla volontà da parte dell’Italia di triplicare entro il 2030 le installazioni delle rinnovabili (così come peraltro dichiarato dalla Presidente del Consiglio alla Cop 28 di Dubai). Ciò significa, se la matematica non mi inganna, realizzare circa 140 GW di nuovi impianti in 7 anni, 20 GW all’anno. Certamente le previsioni di questo decreto rendono molto macchinoso il raggiungimento di quest’obiettivo.

3D rendering di turbine eoliche in mare

Ci potrebbe aiutare, invece, a superare questi traguardi il mare aperto che, secondo quanto stabilito nell’altro decreto, il FER 2, può divenire il sito idoneo all’istallazione di impianti eolici offshore. Non che non fosse possibile già prima, ma il nuovo decreto stabilisce un meccanismo di forte incentivazione che produrrà un forte balzo in avanti per l’impiego di questa tecnologia. E meno male, perché, nel 2023, l’energia eolica in Italia ha raggiunto un nuovo record, generando 23,4 TWh di energia elettrica, pari al 7,6% della domanda nazionale e al 9,1% della produzione totale. Questo risultato ha reso l’eolico la terza principale fonte rinnovabile, rappresentando il 20,7% del totale delle energie rinnovabili.

I parchi eolici offshore sono delle vere e proprie centrali per la produzione di energia a prezzi accessibili: creano energia pulita, rinnovabile che aiuta alla riduzione del rischio climatico. Sono numerosi i vantaggi offerti dal loro utilizzo. In mare aperto la forza e la velocità del vento sono maggiori rispetto che sulla terraferma e sono più costanti. Ciò implica una produzione di energia superiore in un lasso di tempo ridotto. Inoltre, se la velocità del vento offshore tende ad essere più stabile rispetto a quella terrestre, si creano meno problemi alla turbolenza delle turbine e i rotori stessi sono sottoposti a meno stress, diventando una fonte di energia più affidabile e non intermittente. Attraverso il sistema degli incentivi si svilupperà, inoltre, il sistema infrastrutturale e quelle imprese nazionali impegnate nella produzione di questi impianti, con un considerevole aumento dei posti di lavoro. Con un impianto in mare aperto, in genere oltre la linea dell’orizzonte visibile, l’eolico offshore produce minor impatto ambientale e acustico e minor rischi per l’ecosistema marino con la riduzione della devastante pesca a strascico. Conosco le obiezioni dei difensori del paesaggio e potrei cavarmela dicendo che, se non si abbandona l’uso di fonti fossili all’origine dei problemi climatici, le prossimi generazioni non potranno godere di alcun paesaggio o di paesaggi fortemente modificati in peggio (per i danni da alluvioni, desertificazione, innalzamento dei mari, ecc.). Ma preferisco richiamare i miei ragionamenti più approfonditi nel mio articolo del 17 agosto 2023 “Paesaggio Vs Ambiente in Costituzione nello scontro sulle Rinnovabili” (lo trovate qui).

Ecco perché incentivare lo sviluppo dell’eolico offshore rappresenta un punto di partenza sostanziale per l’adozione di fonti energetiche innovative e rinnovabili, amiche dell’ambiente e del clima, ma significa anche favorire i progressi in ambito tecnologico e ingegneristico che negli ultimi anni hanno permesso di apportare migliorie tecniche alle pale eoliche offshore così da risolvere i (pochi) problemi ancora legati all’uso di queste tecnologie.

Giuseppe d’Ippolito