Le misure governative che impongono la prosecuzione di attività produttive di rilievo strategico per l’economia nazionale o la salvaguardia dei livelli occupazionali, nonostante il sequestro degli impianti ordinato dall’autorità giudiziaria, sono costituzionalmente legittime soltanto per il tempo strettamente necessario per portare a compimento gli indispensabili interventi di risanamento ambientale. Lo ha stabilito la Corte costituzionale nella sentenza n.105, depositata il 13 giugno scorso, con la quale ha esaminato una questione sollevata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Siracusa nell’ambito di un procedimento relativo al sequestro degli impianti di depurazione di Priolo Gargallo, che a sua volta si iscrive in una più ampia indagine per disastro ambientale, ipotizzato a carico di varie aziende petrolchimiche operanti nella zona.
La riforma del 2022 che ha introdotto in Costituzione la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni (art.9), e ha stabilito che la libertà economica non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (art.41), inizia a trovare pratica attuazione nelle pronunce della Consulta. La sentenza, recentissima, di cui vi parlo oggi, ne è un esempio.
La questione all’esame dei giudici costituzionali ha le proprie origini qualche anno fa, nel 2019, quando la procura di Siracusa chiedeva e il G.I.P. concedeva, il sequestro preventivo del complesso di stabilimenti industriali (costituenti il cosiddetto polo petrolchimico siracusano) che si estende nei territori dei comuni di Siracusa, Augusta, Priolo Gargallo e Melilli e sono principalmente dediti alla raffinazione del petrolio, alla trasformazione dei suoi derivati e alla produzione di energia.
Gli impianti sono di proprietà della Versalis S.p.A., una società del gruppo Eni impegnata nei settori della petrolchimica (chimica di base, intermedi, polietilene, stirenici ed elastomeri); della Isab srl (Industria Siciliana Asfalti e Bitumi) dal 2013 di proprietà della Lukoil, la più grande compagnia petrolifera russa e una delle maggiori al mondo e della Sonatrach Raffineria Italiana S.r.l., una società con sede centrale ad Augusta appartenente al gruppo algerino Sonatrach che ne detiene il 100% delle quote tramite Sonatrach Petroleum Investment Corporation B.V..
L’ipotesi per cui si procedeva e si procede tutt’ora, è relativa a plurime ipotesi di reato, tra cui il delitto di disastro ambientale aggravato previsto dall’art. 452-quater del Codice penale.
Di questi impianti Legambiente scrive
“Perché è un nemico del clima? Dai punti di emissione convogliati (torce, camini, impianti) e da quelli più numerosi delle emissioni fuggitive e diffuse (valvole, flange, pompe, serbatoi, ecc.) sono immesse in atmosfera rilevanti quantità di sostanze inquinanti come SO2, NOX, H2S, Polveri, Benzene e altro. Tra i punti di emissione vi sono le torce, dalle quali fuoriescono fiamme altissime e denso fumo nero quando, in caso di emergenza, diverse centinaia di tonnellate l’ora di prodotti idrocarburici vengono smaltiti velocemente destando preoccupazione nella popolazione. Il complesso ricade nel SIN Priolo ed Area ad Elevato Rischio di Crisi Ambientale (AERCA). Negli anni passati e ancora di recente è stato teatro di incidenti, incendi, fuori servizio di grande portata e lunga durata, sversamenti di idrocarburi in mare e sul suolo. Il suolo e la falda idrica sono contaminati da metalli pesanti e idrocarburi e sono stati realizzati diverse centinaia di pozzi-piezometri per il monitoraggio della falda e l’estrazione degli inquinanti.”
Il nesso causale con i danni alla salute della popolazione e i dati sanitari del SIN Priolo sono riportati all’interno dello studio del progetto SENTIERI condotto nell’Ambito del Programma strategico Ambiente e Salute e con la collaborazione di AIRTUM (Associazione italiana registri tumori) finanziato nell’ambito del Progetto CCM 2009 “Sorveglianza epidemiologica di popolazioni residenti in siti contaminati” del Ministero della salute. In questa pagina, nella sezione IL MEGLIO DAL WEB, troverete il link alla rivista Epidemiologia & Prevenzione che pubblica integralmente gli studi del progetto Sentieri.
Ad aprile scorso, inoltre, è uscito nelle sale il documentario Toxicily (Francia-Italia, 2023, 75’), realizzato dal regista francese Francois Xavier Destors e dal geografo e fotografo palermitano Alfonso Pinto, che nasce per dare voce alle persone che resistono e vivono la loro quotidianità accanto agli impianti del polo petrolchimico siracusano.
Questo il quadro (in estrema sintesi) con cui si arriva al febbraio 2019, quando le aziende del polo industriale sono state poste sotto sequestro preventivo in relazione alla conduzione delle attività industriali, per l’omessa adozione delle migliori tecnologie, per la mancata messa in opera di soluzioni impiantistiche e strutturali e per il mancato rispetto delle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni integrate ambientali (AIA). Le indagini preliminari dell’inchiesta “No Fly” si sono concluse a marzo 2021 con la sostanziale conferma delle contestazioni e dei sequestri che però, nel 2022, si sono estesi anche al depuratore consortile Ias (Industrie Acqua Siracusana Spa). Lo stesso dove conferiscono i fanghi le grandi industrie del polo petrolchimico di Siracusa rimasto privo di opere di adeguamento. Con l’ultimo provvedimento di sequestro il G.I.P. ha nominato un amministratore giudiziario, incaricato di limitare il funzionamento dell’impianto di depurazione ai reflui civili, escludendo il conferimento di reflui industriali, cui sono seguite severe prescrizioni.
Senonché lo scorso anno, dopo l’ultimo sequestro, il Parlamento approvava il decreto legge 5 gennaio 2023, n. 2 (“Misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale” cosiddetto “decreto salva Ilva e Isab”) che conteneva una norma che autorizzava il Governo, in caso di sequestro di impianti necessari ad assicurare la continuità produttiva di stabilimenti di interesse strategico nazionale, ad adottare “misure di bilanciamento” che consentano di salvaguardare la salute e l’ambiente senza sacrificare gli interessi economici nazionali e la salvaguardia dell’occupazione, attraverso successivi decreti interministeriali e d.p.c.m.. La norma avrebbe privato l’Autorità Giudiziaria del potere di intervenire a tutela dell’Ambiente e della Salute pubblica. Ma, il 12 dicembre 2023 il G.I.P. del Tribunale di Siracusa, Salvatore Palmeri, ha sollevato di fronte alla Consulta la questione di legittimità costituzionale di una delle norme del decreto, ritenendo che si stesse operando solo un “apparente bilanciamento, consentendo una compressione eccessiva e illegittima del diritto alla salute e all’ambiente in favore del diritto alla libera iniziativa economica privata”.
Nella sentenza dello scorso 13 giugno, la Corte costituzionale ha dato ragione al G.I.P. siracusano con queste motivazioni (in sintesi le parti salienti, omettendo tutte le verbose opposizioni ed eccezioni delle parti pubbliche e private coinvolte, dichiarate dalla Corte, una ad una, inammissibili o infondate).
Si inizia con l’affermare l’inapplicabilità al caso in esame del decreto noto come salva Ilva di Brindisi (d.l. n. 207 del 2012) che escluderebbe “la possibilità che altre autorità – compresa l’autorità giudiziaria che ha disposto il sequestro – possano dettarne di ulteriori, subordinando ad esse l’autorizzazione a proseguire l’attività produttiva, ovvero possano addirittura imporre la cessazione dell’attività stessa.” In realtà -secondo la Corte- “L’art. 1 del “decreto Ilva” non è tuttavia applicabile a sequestri preventivi come quello oggetto del procedimento a quo, (…), la disposizione si riferisce testualmente ai soli «stabiliment[i] di interesse strategico nazionale», e non anche agli impianti e infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva”.
In secondo luogo, i giudici costituzionali, confermano che il decreto-legge 2/2023 comporta un’importante limitazione all’autorità giudiziaria nel vincolare le attività industriali al rispetto della salute della collettività e dell’ambiente (“il linguaggio della legge diviene perentorio: il giudice «autorizza la prosecuzione dell’attività»”).
E poi: “La legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1 (Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente) ha, in effetti, attribuito espresso rilievo costituzionale alla tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni (art. 9, terzo comma, Cost.); e ha inserito tra i limiti alla libertà di iniziativa economica menzionati nell’art. 41, secondo comma, Cost. le ragioni di tutela dell’ambiente, oltre che della salute umana. (…) La riforma del 2022 consacra direttamente nel testo della Costituzione il mandato di tutela dell’ambiente, inteso come bene unitario, comprensivo delle sue specifiche declinazioni rappresentate dalla tutela della biodiversità e degli ecosistemi, ma riconosciuto in via autonoma rispetto al paesaggio e alla salute umana, per quanto ad essi naturalmente connesso; e vincola così, esplicitamente, tutte le pubbliche autorità ad attivarsi in vista della sua efficace difesa. Peculiare è, altresì, la prospettiva di tutela oggi indicata dal legislatore costituzionale, che non solo rinvia agli interessi dei singoli e della collettività nel momento presente, ma si estende anche (…) agli interessi delle future generazioni: e dunque di persone ancora non venute ad esistenza, ma nei cui confronti le generazioni attuali hanno un preciso dovere di preservare le condizioni perché esse pure possano godere di un patrimonio ambientale il più possibile integro, e le cui varie matrici restino caratterizzate dalla ricchezza e diversità che lo connotano. Per altro verso, la tutela dell’ambiente – nell’interesse, ancora, dei singoli e della collettività nel momento presente, nonché di chi ancora non è nato – assurge ora a limite esplicito alla stessa libertà di iniziativa economica, il cui svolgimento non può «recare danno» – oltre che alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, come recitava il testo previgente dell’art. 41, secondo comma, Cost. – alla salute e all’ambiente. (…) [La legge censurata, invece] finisce così per autorizzare, potenzialmente senza alcun limite di durata, un meccanismo basato su un’autorizzazione che proviene direttamente dal Governo nazionale e il cui effetto è quello di privare indefinitamente il giudice del sequestro di ogni potere di valutazione sull’adeguatezza delle misure medesime rispetto alla tutela dell’ambiente e della salute pubblica, e mediatamente rispetto alla tutela della stessa vita umana (…) che deve invece essere dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede alcun termine finale per la sua operatività” (che la Corte ipotizza in un periodo non superiore ai 36 mesi).
Difficile disconoscere l’importanza di questa pronuncia anche prescindendo dalla pur rilevantissima questione esaminata dalla Consulta. In essa si ribadisce la peculiarità della tutela dell’Ambiente come distinta dalla tutela del Paesaggio (nonostante che entrambe siano previste nello stesso art.9). L’ambito della tutela e salvaguardia, anche nei confronti di “chi non è ancora nato”. Ma la Corte riesce anche a depotenziare il noto ricatto economico “la tutela del posto di lavoro deve prevalere sulla tutela della salute” riportato dall’Avvocatura generale dello Stato sul presupposto che l’interruzione dello smaltimento dei reflui industriali avrebbe comportato la necessità di interrompere la stessa attività produttiva del polo petrolchimico siracusano, con le conseguenze economiche e occupazionali agevolmente desumibili dai dati presentati nel proprio atto di intervento nel giudizio (“L’interveniente si sofferma anzitutto sull’importanza strategica della continuazione delle attività produttive del polo petrolchimico siracusano, osservando come a tale polo afferiscano più di mille aziende operanti nell’indotto, con circa settemila lavoratori direttamente o indirettamente coinvolti e una «capacità di raffinazione di 27.500.000 tonnellate annue di greggio che si sono tradotte, a livello nazionale, in un apporto del 31,70% del totale»” ecc.).
Insomma, una sentenza che segna un punto fermo nella tutela della salute pubblica e dell’Ambiente, destinata ad incidere nel futuro e che avrebbe meritato maggior rilevanza sui grandi media nazionali.
Giuseppe d’Ippolito