Il 19 giugno 2024, al San Camillo di Roma, in seguito alle gravissime lesioni riportate sul suo luogo di lavoro, un’azienda agricola a Borgo Santa Maria, in provincia di Latina, è deceduto Satnam Singh, un giovane uomo di 31 anni di origine indiana. Solo qualche giorno prima della morte, in seguito a un incidente nel campo in cui lavorava, Satnam ha perso un braccio, tranciato da un macchinario per l’imbustamento del raccolto. Secondo i risultati dell’autopsia, resi noti il 24 giugno, Singh sarebbe morto per l’emorragia e si sarebbe probabilmente potuto salvare se i soccorsi fossero stati chiamati prima dal datore di lavoro. Infatti, dal momento dell’incidente a quello della chiamata al 112 sarebbe passata almeno un’ora e mezza. Satnam Singh non aveva il permesso di soggiorno e veniva sfruttato nell’azienda agricola, insieme alla moglie, almeno dodici ore al giorno, senza un regolare contratto.

 

Penso che tutti abbiano saputo, almeno nelle linee generali, della tragica vicenda di Satnam Singh, bracciante indiano morto nelle campagne di Latina a seguito di un incidente sul lavoro e della via Crucis che ne è seguita con l’abbandono del corpo “a pezzi” dinanzi l’abitazione.

Questa vicenda che suscita orrore in tutti e getta discredito verso il sistema agricolo italiano è emblematica di tutto ciò contro cui combattiamo chiedendo di applicare l’Agenda 2030 dell’ONU. Emblematica di tutte le richieste e le battaglie fatte  per  costruire gli obiettivi dell’Agenda e poi verificarli attraverso indicatori che ne valutino i progressi nel corso degli anni; emblematica di come sia necessario collegare i diritti, i settori produttivi e l’ambiente alla società che vi opera, per limitare il cambiamento climatico e i suoi effetti; emblematica del fatto che non esistono vicende che non siano connesse in modo spesso drammatico all’evoluzione del pianeta.

Partiamo da un elemento che è una metafora del lato negativo dello sviluppo industriale, relativo alla sicurezza sul lavoro. Da bambini abbiamo riso vedendo il film di Charlie Chaplin  “Tempi moderni”, quando l’operaio veniva inghiottito dalla macchina ed iniziava il suo viaggio all’interno di essa.  È successo a Luana D’Orazio a Prato, inghiottita dall’orditoio, la macchina che dipana i fili del tessuto e risucchia chi ci lavora se la mano è sui fili; è accaduto in campagna a Satnam Singh perché, se la macchina  che libera il terreno dalle coperture che permettono le coltivazioni protette, non raccoglie la plastica che si è ingolfata, bisogna allontanarsene per impedire che catturi il tuo braccio.   Ma quello che rende più odiosa la morte sul lavoro accaduta nelle campagne è il contesto e con esso il contorno di reazioni  che hanno portato inesorabilmente al tragico epilogo. Le condizioni di lavoro nelle campagne sono al di là del limite del consentito, ma questo è accettato e l’invisibilità delle persone che vivono di questo lavoro, delle loro famiglie, delle condizioni di vita è addirittura superiore all’invisibilità dei reati che si celano dentro la confezione di pomodori pelati o di ortaggi che acquistiamo. Perché chi ha tentato di capire se i prodotti raccolti da questi operai nelle campagne di Latina fossero certificati e dove fossero andati a finire, non è riuscito a saperlo. Perché i lotti di prodotto controllati prescindono da chi li lavora o li raccoglie. Perché i proprietari delle imprese, i lavoratori, i prodotti, le confezioni, se hanno controlli e certificazioni, li hanno separatamente, indipendentemente gli uni dagli altri. La filiera non ha una responsabilità complessiva e lo stesso imprenditore agricolo risponde a se stesso. Così è probabile che colui che permette di lavorare in nero o di non retribuire una parte del lavoro necessario per le produzioni, o di fare lavorare senza protezioni, possa ricevere i contributi che la UE concede al settore perché le sue carte di possesso sono “in regola”.

Campo, Altopiani, Balle Di FienoPerché non sembra possibile fermare tutto ciò? Molti pensano che la globalizzazione sia la causa principale: sbagliano a pensarlo. Nelle campagne italiane, accentuato dai ritmi dell’evoluzione tecnologica, è sempre esistito il caporalato. Sono nato in Puglia ed ho conosciuto (anche personalmente) un cantante “folk”, chiamato Matteo Salvatore, bracciante, diventato cantante negli anni ’60, che si esibiva per allietare le serate dei lavoratori nelle campagne. Una sua canzone s’intitolava Lu suprastante (il caporale, diremmo oggi) e descriveva le condizioni bracciantili di allora, identiche alle attuali. Allora i braccianti erano italiani, non indiani o senegalesi. E d’altra parte alcuni anni fa, nel palazzo che ospita gli uffici dell’amministrazione agricola italiana, fu dedicata una sala a Paola Clemente, morta di fatica nel 2015 ad Andria mentre faceva “l’acinellatura” dell’uva. Il sistema dello sfruttamento è stato aggravato dal progresso, dal mercato diventato come quello finanziario e dalle macchine il cui ritmo prescinde dalle condizioni umane.

Tutto questo come riguarda il cambiamento climatico? E torniamo a Latina ed al caso attuale, dovremmo ricordare che l’ottima resa delle colture è legata al fatto che i terreni siano stati sfruttati solo recentemente, dopo la bonifica effettuata durante l’epoca fascista ed il lavoro duro e forzato che gli immigrati veneti hanno attuato nell’area. Come oggi constatiamo in altre aree del pianeta, bonificare e mettere a coltura le paludi non è sempre un vantaggio, perché nel corso del tempo l’assenza di bacini lacustri favorisce il cambiamento climatico e l’utilizzo massiccio nelle aree di concimi e antiparassitari riduce rapidamente la fertilità del suolo. Questo costringe ad avere produzioni sempre più intensive attraverso un apporto sempre maggiore di input per le produzioni. Si cerca di porre rimedio con una tecnologia sempre più raffinata, ma questo non fa che fare salire l’inquinamento a monte del sistema produttivo. Come nel caso delle acque in cui il sempre maggiore utilizzo di acqua delle falde permette la risalita delle acque saline, così l’uso intensivo degli input produttivi e della tecnologia permette la risalita dello sfruttamento per il profitto e la produttività a monte della filiera e le condizioni di lavoro diventano pessime in tutti i settori.

Donna che lavora nel settore agricolo rurale per celebrare le donne nel campo di lavoro per la Giornata del Lavoro.

I 17 obiettivi dell’Agenda 2030 sono obiettivi concatenati ed intersettoriali, dove non si può prescindere dalla realizzazione di uno senza inficiare quella dell’altro. Certo, è probabile che il bracciante indiano fosse un migrante climatico, perché nella sua regione era diventato impossibile coltivare per siccità o inondazioni; oppure che fosse un migrante economico, perché le produzioni avevano raggiunti prezzi così bassi da non riuscire a sostenere la famiglia; ma quale è la differenza? E poi, il problema è che le nostre condizioni climatiche sono peggiorate a causa del trattamento a cui abbiamo sottoposto il territorio.  Le costruzioni sul mare, fatte per consentire il turismo di massa e speculare sulla sabbia, hanno bloccato i venti e già a pochi chilometri dalla costa si vive in un clima torrido. E queste differenze di temperature causano un rafforzamento dei venti con conseguenti piccoli uragani locali. Per verificare le condizioni climatiche non è necessario guardare i grandi sistemi meteo  del pianeta. Nel nostro piccolo sappiamo peggiorare la situazione.

Ma come reagire senza lasciarsi andare? La solidarietà e la cooperazione innanzitutto tra umani e poi tra i viventi (animali e piante) sono gli strumenti che abbiamo a disposizione per agire. In concreto, se vogliamo coltivare, l’agroecologia li raccoglie tutti e li mette al nostro servizio. Per farlo è necessario avere la capacità di sentire di parlare con la Natura.

Ricordarsi dei “morti di fatica” è importante come leggere le esperienze dei grandi botanici.

Gianfranco Laccone, agronomo, presidenza nazionale ACU Associazione Consumatori Utenti

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