Il PNIEC (Piano Nazionale Integrato Energia e Clima) appena trasmesso a Bruxelles per l’approvazione, prevede l’utilizzo di tutte le fonti energetiche note, ad esclusione delle fossili, ma compreso il nucleare da fusione e da fissione. Nell’intervista che segue abbiamo chiesto al prof. Gianrossano Giannini cosa ne pensasse.
Professore ordinario di Fisica Nucleare e Subnucleare dell’Università di Trieste fino al 2019, in quiescenza dal 2020, il prof. Giannini ha svolto attività di ricerca in associazione all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) in collaborazioni internazionali presso laboratori di Italia, Svizzera, Francia, Inghilterra, Stati Uniti d’America e Argentina. Ha condotto esperimenti di fisica delle alte energie e delle interazioni fondamentali, dei neutrini (atmosferici, da supernovae e da reattori nucleari), della radiazione cosmica (anche con applicazioni alla dosimetria di radiazioni ambientali e all’archeologia) e dei neutroni in applicazioni mediche per la radioterapia oncologica. Attualmente è Associato-Senior dell’INFN-Sezione di Trieste, collaboratore di esperimenti in Antartide, sulle Alpi e sulle Ande, è un Ambasciatore dell’European Climate Pact, Patto Europeo per il Clima, e referente del Comitato Scientifico di EuCliPa.IT, un’associazione di cittadini che vuole far capire quanto la crisi climatica sia già qui, ora, e cosa bisogna fare per affrontarla.

L’INTERVISTA

Professore, cosa ne pensa della decisione del ministro Pichetto Fratin di inserire nel Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) inviato a Bruxelles, anche l’utilizzo di energia  nucleare da fissione, nel medio termine (2030), e da fusione (2050)?

Il nucleare è una scelta che serve a produrre energia che non determini emissioni di CO2 , ma nel PNIEC, che è il piano nazionale costruito specificatamente per l’Italia, non si può pensare solo a questo. Bisogna considerare anche se questa produzione di energia è adatta al nostro paese. Per qualche paese sarà utile, conveniente, auspicabile, ma non lo è altrettanto per l’Italia.

Ci spieghi perché

Prima osservazione. Perché ci sono delle caratteristiche che rendono più o meno conveniente il nucleare. Ovvero se un paese ha già una produzione di nucleare, per esempio ai fini militari, avere una filiera del nucleare nel proprio paese può essere conveniente. Questo è l’esempio della Francia. la Francia è una potenza nucleare e quindi torna comodo avere le competenze che sono comunque usate per il nucleare militare. E non solo le competenze, ma anche le strutture, le infrastrutture, i porti dove può arrivare l’uranio per le barre di combustibile nucleare. Che la Francia abbia il 75% dell’energia elettrica prodotta dal nucleare dipende proprio dal fatto che le conviene mettere insieme il nucleare militare e il nucleare civile.
Seconda osservazione, Gli impianti nucleari non si possono mettere ovunque e comunque hanno dei costi diversi a seconda di dove li si mettono e corrispondentemente anche il rischio di incidenti e ricadute su ambiente e popolazione è diverso a seconda dei luoghi. Parlo qui delle centrali a fissione, cioè quelle che ci sono finora. Lasciamo il sogno di quelle a fusione a dopo, eventualmente ne parliamo successivamente. Allora, il nucleare a fissione ha bisogno di essere installato in zone che abbiano grandi disponibilità di acqua, perché i reattori producono calore. Questo calore deve essere poi trasformato in vapore, che serve a far funzionare le turbine per la conversione dell’energia termica prima in energia meccanica e poi in energia elettrica per le reti di distribuzione. Il tutto necessita di un passaggio in quelle imponenti torri di raffreddamento, alte fino a 300 m, dell’acqua usata prima di essere riversata, senza intollerabile aumento di temperatura, nei fiumi da cui è stata  prelevata.

 

 

Le centrali hanno bisogno di disponibilità continua d’acqua e in Francia, per esempio, dove hanno tanti grandi fiumi, hanno messo le centrali lungo questi fiumi. Io ho fatto degli esperimenti di fisica nelle Ardenne francesi, proprio per studiare i neutrini che venivano prodotti dai reattori nucleari. Nella zona delle Ardenne, anzi, la regione si chiama Champagne Ardenne, lì c’è il fiume Mosa che passa, che mette a disposizione un sacco di acqua. Tra l’altro è una zona stupenda e la centrale stessa, con due reattori di altissima potenza e ultimissima generazione per l’epoca, quando ho partecipato a questi esperimenti di fisica negli anni 1995-2000, è in una bellissima ansa quasi circolare del fiume. È una situazione che si ripresenta dovunque ci sono le centrali francesi, grandi fiumi, grande disponibilità d’acqua. Un’altra alternativa è quella di usare l’acqua del mare, però sappiamo bene che per noi il mare è prezioso per il turismo, per le coste, che sono spesso antropizzate, abitate. Quindi in Italia questa grande disponibilità di acqua per le torri di raffreddamento non è facile da reperire. Poi un’altra necessità delle centrali e che siano in zone a bassa densità di popolazione per limitare il fattore vulnerabilita’ del rischio. Perché non si mettono centrali vicino a delle città con il rischio di avere dei danni economici, fattore esposizione, oltre alle ricadute sulla popolazione.
Terza osservazione. È che non siano previste in aree sismiche, fattore pericolosità. Perché è vero che le centrali possono essere rese praticamente a prova di bomba con tripla parete di cemento di grandi spessori, d’acciaio eccetera, però il rischio che qualcuna delle attrezzature usate per il funzionamento delle centrali venga danneggiata dai terremoti è sempre presente.

 


Da questi tre punti di vista la Francia, a differenza dell’Italia, sta benissimo perché ha questi grandi fiumi, ha delle zone praticamente lontanissime dalle città, a bassissima di densità di popolazione  (la Francia praticamente ha una superficie tripla dell’Italia con una popolazione simile e quindi già la densità media è 1/3 di quella italiana e  ci sono le grandi concentrazioni dell’Île-De-France Parigi che fanno sì che in Francia ci siano grandi territori a bassa densità di popolazione), e infine la Francia è a rischio sismico bassissimo. In Italia abbiamo il Po, l’Arno, il Tevere e poi altri fiumi, ma abbiamo visto cosa è successo con la siccità di un paio di anni fa, cioè questi sono fiumi che sono a rischio di avere lunghi periodi dell’anno senza acqua. Sovrapponendo poi una carta delle zone sismiche d’Europa, alla mappa delle centrali nucleari si vede che le centrali francesi, tedesche, russe, inglesi, anche quelle spagnole stanno ben lontane dal rischio sismico. Mentre si vede chiaramente che l’Italia, come la Grecia, ha estese zone con un’alta sismicità e quindi sarebbe una follia avere reattori nucleari in tali aree.

 Il ministro ritiene che “non bisogna avere alcuna preclusione”. È un ragionamento corretto?

Beh, dire che le preclusioni non bisogna averle mai in forma preconcetta, ciò è corretto, però se ci sono delle argomentazioni e delle condizioni territoriali per dire che qualcosa è meglio evitarla, nello specifico, non in generale, meglio evitarla, come nel caso italiano. È ovvio che tutti quelli che hanno costruito reattori nucleari l’hanno fatto pensando di poter limitare i fattori di rischio. Ma diamo un’occhiata ai dati. Ci sono attualmente nel mondo più di 400 reattori nucleari in funzione. Ma la produzione di energia elettrica dal nucleare sta praticamente a un livello stabile di 2500 terawattore (TWh) all’anno. Da oltre vent’anni. Questo perché non si installa, non si costruiscono più tante centrali nucleari come una volta. I paesi che producono più energia nucleare sono Stati Uniti, Cina, Francia, Russia, Corea del Sud e Canada. Ci sono alcune centrali in costruzione, attualmente, principalmente in Cina, India, Corea del Sud e Emirati Arabi Uniti. Tutte queste centrali in costruzione usano la fissione e non la fusione nucleare. Molti di voi avranno sentito parlare della fissione nucleare, grandi nuclei che si spaccano, mentre la fusione nucleare prevede piccoli nuclei che si uniscono e fondono ad altissime temperature (oltre 100 milioni di gradi Celsius) che richiedono nella loro fase d’avvio un gran dispendio di energia. Per questo la fusione nucleare è ancora lontana nel tempo: 30 anni o forse più.

Ma non si realizzano più centrali nucleari per la loro rischiosità? Per i morti che hanno provocato? Si dice che siano meno di quelli provocati dall’impiego di altre tecnologie.

I sostenitori del nucleare confrontano il numero di morti che ci sono stati da incidenti e dicono che, confrontati con altre produzioni di energia elettrica, il nucleare è più in basso. Ovviamente non è il numero dei morti che bisogna guardare, ma ben altro, sia dal punto di vista dell’impatto sulle popolazioni, che negli incidenti più gravi sono state evacuate in gran numero, sia economici. Vaste zone che hanno perso completamente il loro prodotto interno. Se si parla di rischio, bisogna ricordare che il rischio è sempre il prodotto di tre quantità: pericolosità, vulnerabilità, esposizione; la pericolosità dell’origine naturale, la vulnerabilità di origine antropica, l’esposizione d’origine economica.  E poi, né il PNIEC né il ministro Pichetto Fratin ci dicono nulla sul problema delle messa in sicurezza delle scorie radioattive perché, dopo aver usato il reattore, il rischio di radiazioni rimane per migliaia di anni perché i prodotti di fissione tendono a decadere nel giro di oltre 1000 anni, ma i gli elementi transuranici [ogni elemento di numero atomico superiore a 92 (che è quello dell’uranio), non esistente in natura ma prodotto artificialmente -ndr-] persistono per decine se non centinaia di migliaia di anni.

 

Scorie Nucleari, Scorie Radioattive

 

Il fatto che alcuni degli isotopi prodotti dalla fissione abbia una lunga vita media rende necessario metterli in sicurezza a grande profondità, dell’ordine del chilometro, in zone geologicamente “tranquille”. Questo è un problema ad oggi tuttora irrisolto, basti pensare che ancora si discute su dove mettere le scorie radioattive prodotte dalle nostre centrali nucleari italiane, tutte chiuse, o per raggiunti limiti d’età o per decisione politica presa sull’onda del risultato del referendum del 1987. Ma è un problema irrisolto anche per gli altri paesi al mondo. Negli Stati Uniti hanno investito per fare un deposito sotterraneo di scorie radioattive a grande profondità, Yucca Mountain, che è costato un sacco di soldi. E poi alla fine, proprio perché era impossibile garantire la sicurezza con costi ragionevoli, il progetto nel 2009 è stato cancellato e quindi il problema rimane.
Però mi preme precisare che il ministro Pichetto Fratin parla anche di reattori nucleari particolari, gli SMR o Small Modular Reactors che, per le loro ridotte dimensioni non solo riducono i costi iniziali, ma possono essere frazionati in relazione alla loro limitata potenza, riducendo conseguentemente la loro rischiosità. Sono ancora in una fase sperimentale e bisognerà attendere per parlarne compiutamente. Ma, da fisico nucleare, non posso che essere favorevole a tutti gli investimenti in conoscenza, sulla ricerca e la sperimentazione. Sugli impieghi, si vedrà.

Chi dice che comunque evitare i rischi da nucleare nel nostro paese è inutile giacché ai nostri confini il nucleare è largamente utilizzato, ha ragione?

No, l’affermazione non è corretta perché non è quantitativa. Come si potrà vedere da una carta europea degli impianti nucleari esistenti e in attività, quelli vicini all’Italia sono entro 200 km dai confini nazionali. C’è quello al confine tra la Croazia e la Slovenia, ad est di Trieste. E poi ce ne sono tre in Svizzera, 4, 5 in Francia. Ma a seconda della distanza, la quantità di eventuali depositi di sostanze radioattive cambia. Incidenti ai nostri confini avrebbero un impatto sulle province del Piemonte e su parte della Lombardia e, se capitasse nel lato est, sul Friuli-Venezia Giulia, il Veneto e forse parte dell’Emilia-Romagna. Ma perché dobbiamo estendere il rischio al resto del paese? Quindi il fatto che uno dice “tanto vale” perché siamo comunque condannati dalle centrali vicine, non è vero. Non siamo condannati come se li avessimo in casa. Abbiamo comunque una certa tranquillità dovuta alla distanza e dovuta alle montagne che ci sono in mezzo e così via. E infatti da questo punto di vista l’Italia ha questa prerogativa che ci ha resi tranquilli, grazie ai referendum che ci hanno protetto.

La rischiosità è differente nel caso di fissione piuttosto che di fusione?

Sì, sicuramente sì, perché un impianto a fissione è un impianto che in linea di principio potrebbe fondere il suo nocciolo, il suo nucleo, perché la fissione è basata su un processo di moltiplicazione. È la famosa reazione a catena che deve essere controllata con dei sistemi, tipo le barre di moderazione, che assorbono i neutroni, per esempio.

 

Come si è visto in Giappone a Fukushima in seguito allo tsunami, generato dal terremoto, è successo che alcuni dei reattori sono andati in condizioni critiche e quindi se ne è perso il controllo, ci sono state esplosioni, c’è stato un rilascio enorme di radioattività. Il che può succedere quando c’è un impianto che smette di funzionare e, nel caso della fissione, può esplodere. Nel caso della fusione invece non può esplodere perché non c’è la reazione a catena.

Nella fissione si spaccano nuclei pesanti grazie ai neutroni. E durante questa scissione vengono prodotti altri neutroni che sono in grado di spaccare altri nuclei. Nel caso della fusione invece si parte da nuclei leggeri; quindi, generalmente isotopi dell’idrogeno come il deuterio e trizio, che grazie alle alte temperature che si raggiungono all’interno dei reattori permettono all’energia cinetica corrispondente a questa grande temperatura di dare ai nuclei l’energia sufficiente per scontrarsi, superando la repulsione elettrostatica, dovuta a cariche dello stesso segno e fondersi.  Le tecnologie a fusione hanno comunque dei rischi anche loro, perché ci sono sempre delle densità di energia importanti, c’è sempre il maneggiamento di sostanze radioattive. Ma c’è da fare un distinguo, le sostanze radioattive della fissione hanno una durata di vita che le rendono pericolose anche per centinaia di migliaia di anni, mentre quelle della fusione, no.

Conosciamo bene il nucleare di fissione, ma quello da fusione di cui pure si parla nel PNIEC è già arrivato?

No, tutt’altro. Nel 2014 la Commissione Europea ha costituito il consorzio EUROfusion, consorzio europeo per lo sviluppo della fusione nucleare. Il suo obiettivo è produrre energia elettrica sfruttando la fusione nucleare entro il 2050. EUROfusion è composto da 25 Stati Membri dell’Unione europea, oltre alla Svizzera e al Regno Unito, e riceve finanziamenti dal progetto europeo Horizon 2020 ed ha anche il compito di gestire la ricerca in due progetti: ITER e DEMO.

ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor): è attualmente in costruzione a Cadarache nel sud della Francia, dove ho sentito è stato recentemente in visita il ministro Pichetto Fratin. La sua fase di costruzione dovrebbe concludersi entro il 2025 ma, pare, che i tempi potrebbero non essere rispettati. Dopo la costruzione, seguirà una fase di test e messa a punto. ITER non produrrà energia elettrica, ma è finalizzato a dimostrare la fattibilità della fusione nucleare. DEMO (Demonstration Fusion Power Reactor) richiederà ancora alcuni anni per essere completato e sarà il successore di ITER rappresentando il passo successivo verso la produzione di energia elettrica da fusione nucleare. DEMO dovrebbe essere la prima centrale a fusione nucleare con l’obiettivo di produrre energia elettrica su larga scala ma, allo stato, la sua realizzazione è prevista per il 2035 o oltre e l’entrata in funzione non prima del 2050. Quindi, quando prima parlavo di 30 anni almeno, era la realtà di fatto.

Grazie professore e buon lavoro.

Intervista realizzata il 3 luglio 2024 da Giuseppe d’Ippolito