Giovedì 4 luglio si è tenuta la seconda udienza predibattimentale del procedimento nel quale sono stati citati a giudizio per il reato di inquinamento ambientale colposo gli amministratori pubblici comunali e regionali che dal 2015 al 2019 hanno avuto una responsabilità rispetto alla tutela della qualità dell’aria della città di Torino e nel quale il Comitato Torino Respira, Greenpeace Italia e ISDE-Associazione Italiana Medici per l’Ambiente hanno partecipato come parti civili. Il Tribunale di Torino ha disposto il proscioglimento degli imputati dal reato contestato dalla Procura della Repubblica di Torino, respingendo la richiesta di prosecuzione del giudizio avanzata dai pubblici ministeri e dai difensori delle parti civili. “Siamo ovviamente in disaccordo con questa decisione, con la quale il giudice rischia di privare la Città, ma più in generale l’Italia, della possibilità di affrontare in un dibattito pubblico e libero da condizionamenti politici il complesso tema della lotta all’inquinamento atmosferico. Eravamo consapevoli delle difficoltà di promuovere una causa che ha molti elementi di novità, ma restiamo convinti della bontà delle nostre tesi. L’attività del Comitato Torino Respira non si ferma qui: chiederemo ovviamente ai pubblici ministeri di ricorrere contro la decisione del giudice e continueremo a studiare e portare avanti altre azioni legali” ha commentato Roberto Mezzalama, Presidente del Comitato Torino Respira e autore dell’esposto che, nel 2017, ha dato il via all’indagine della Procura piemontese.

 

Come promesso, vi racconto il seguito del procedimento iniziato il 18 giugno e conclusosi il 4 luglio. Il Giudice del predibattimento ha infatti deciso, sulla scorta degli atti depositati dalle parti e degli accertamenti tecnici disposti dai PM, il “non luogo a procedere”, cioè il processo non si farà. Non si conoscono ancora le motivazioni e forse non si conosceranno mai, visto che con una recente sentenza (la nr.23639 del 12 giugno 2024) la sesta sezione penale della Corte di Cassazione, ha stabilito che l’udienza predibattimentale non si conclude con un’ordinanza (che va motivata) ma con un decreto, in cui la motivazione non è necessaria, ma neppure vietata. Si vedrà nei prossimi giorni.

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Allo stato, quindi, gli unici dati certi di cui si può discutere sono le tesi espresse dall’accusa e dalla difesa. Le prime sono state già oggetto del mio intervento del 27 giugno scorso (“A Torino citati a giudizio gli amministratori comunali e regionali per inquinamento ambientale”, lo trovate ancora scorrendo questa pagina). Dedichiamo, allora, un po’ di spazio alle tesi difensive degli ex imputati perché è da queste che si è formato il convincimento del Giudice, non escludendo però, neppure, la scelta di una “terza via”, tra accusa e difesa, quale per esempio, la “carenza di prove” per dimostrare una responsabilità da parte degli indagati.

Giustizia, Dritto, GiurisdizioneI difensori dei citati a giudizio hanno dichiarato, nell’immediatezza: “La qualità dell’aria in questi anni non solo non è peggiorata, anzi. Tutti gli imputati hanno preso parte in tempi diversi ad un miglioramento significativo. In termini più prettamente giuridici non vi è reato quando non c’è una compromissione o deterioramento della qualità dell’aria rispetto ad un prima”. Affermazione che si scontra non poco con quanto sostenuto dalla Corte di Giustizia UE che ha già per tre volte sanzionato l’Italia (anni 2012, 2020 e 2022) per i continui e sistematici sforamenti dei limiti di concentrazione delle polveri sottili e del biossido di azoto in alcune zone dal paese, tra cui figura sempre l’agglomerato di Torino. Tali condanne sono state inflitte anche per la mancata adozione di misure di piano che consentissero un rientro nei limiti di legge nel più breve tempo possibile e particolarmente severa è stata la censura mossa sotto questo profilo dalla Corte di Giustizia rispetto al piano della qualità dell’aria della Regione Piemonte, che prevede il rientro nei limiti di legge addirittura solo per il 2030 e quindi dopo oltre 20 anni dal termine in cui si sarebbero dovuti raggiungere tali valori (anno 2005 per il PM10 e 2010 per il biossido di azoto), valori di legge notevolmente superiori a quelli raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Nel ricorso presentato dalla Commissione Europea il 26 luglio 2019 si legge quanto segue: “il carattere inappropriato delle misure sinora adottate dalla Regione Piemonte è dimostrato da un costante superamento dei valori limite del biossido di azoto nella zona IT0118 (agglomerato di Torino), limite che non scende mai al di sotto dei 65 ug/m3 e che è arrivato addirittura al doppio di quanto consentito , ossia 80 ug/m3, nell’ultimo anno di cui si dispone di dati definitivi (ossia il 2017) l’ampiezza di detto dato è un ulteriore indice dell’inadeguatezza delle misure varate dalle autorità competenti, come ricordato al punto 60 del ricorso”. La Commissione Europea si è pronunciata anche rispetto ad alcuni provvedimenti adottati dalla Regione Piemonte nel 2018, censurandoli duramente: “Nessuna indicazione viene tuttavia fornita in merito al punto c), par. 8, del punto A dell’allegato XV, ai sensi del quale il piano deve indicare la “stima del miglioramento programmato” nonché “i tempi previsti per aggiungerlo”. In tale senso, il piano non rispetta uno degli elementi fondamentali indicati al punto A dell’allegato XV della direttiva non consentendo dunque di sapere se il piano assicura il contenimento del superamento dei valori limite entro il più breve tempo possibile, come invece richiesto all’art. 23, par 1, secondo comma, della direttiva 2008/50/CE”.

Generato Dall'Ai, Legge, Globo, BandiereQuanto all’affermazione non c’è reato quando “non c’è un deterioramento rispetto ad un prima”, mi permetto di sollevare qualche dubbio. Poniamo il caso di un bosco cui venga appiccato il fuoco da una persona rimasta non identificata. Nel corso dell’incendio, interviene un altro piromane che appicca ancora fuoco nello stesso bosco. Lo arresti e ti limiti a sequestrargli i fiammiferi perché non possa ripetersi o spegni anche entrambi gli incendi, il nuovo e il precedente con autore ignoto?
Probabilmente mi risponderebbero i difensori degli indagati che “appiccare il fuoco” è un reato di per sé, mentre non lo è “non far peggiorare” la situazione “rispetto ad un prima”.  Ma -mi è facile replicare- se spegni solo il secondo incendio per evitare di peggiorare le cose e non spegni (o tenti di spegnere) anche il primo, con i danni conseguenti che provoca, non commetti una significativa omissione? E il comportamento di un amministratore può limitarsi a non peggiorare le cose dannose per la collettività o deve necessariamente prevedere la riduzione, se non l’eliminazione, dei danni che già, al momento del suo insediamento, la situazione provoca agli ecosistemi e, nel caso in esame, alla salute collettiva? Forse se ne può discutere nell’ambito penale, ma nell’ambito sociale e politico, non mi pare possano sussistere dubbi. E torniamo al tema della discrezionalità amministrativa e politica, che taluni vorrebbero insindacabile in sede giudiziaria e di cui vi ho già parlato il 27 giugno scorso.

E poi c’è stato il lungo elenco difensivo della “cose fatte”, che evidentemente non hanno prodotto che effetti “conservativi dei danni” (visto che – detta della difesa- non ci sono stati peggioramenti) prodotti dalla cattiva qualità dell’aria; della “carenza di finanziamenti”; e infine la cosiddetta “posizione di garanzia” secondo cui non graverebbe sugli amministratori alcun obbligo e potere di intervento a fronte di un inquinamento prodotto da tutti. A questo punto mi sentirei di consigliare ai torinesi di andarsi a rileggere i programmi elettorali dei governatori e sindaci che hanno eletto, per vedere se vi trovano altrettante dichiarazioni di impotenza ed esenzioni di responsabilità.

Non possiamo. Non dobbiamo. Non vogliamo”, rispose Pio VII all’ufficiale napoleonico che, entrato al Quirinale, gli intimò di cedere alla Francia i territori dello Stato Pontificio: questo potrebbe essere il motto da far campeggiare nell’aule delle climate litigation, almeno fino a quando non si risolverà il dubbio, solo apparente, dei limiti del potere pubblico di decisione sull’emergenza ambientale e della sua sindacabilità nelle aule di giustizia.

Giuseppe d’Ippolito