Alle elezioni nel Regno Unito del 4 luglio 2024, il Partito Laburista ha ottenuto la maggioranza dei seggi nella Camera dei Comuni, togliendo il primato al partito dei Conservatori. Dopo ben 14 anni di governo conservatore, la sinistra tornerà a Downing Street. I Laburisti hanno conquistato 410 seggi, mentre i Conservatori si fermano a 119. Questa è stata la prima tornata elettorale dalla Brexit. Negli ultimi anni, i Conservatori hanno affrontato scandali e malcontento, principalmente per la stagnazione economica, che ha deteriorato i consensi a loro favore. I Laburisti erano già dati in vantaggio nei sondaggi e hanno impostato la loro campagna elettorale contrapponendosi agli avversari e promettendo un cambiamento. Ora che i Laburisti hanno conquistato la maggioranza nella Camera dei Comuni, il loro leader Keir Starmer è stato nominato primo ministro da re Carlo III.
Le elezioni legislative in Francia hanno, invece, avuto un risultato sorprendente. Al secondo turno, che si è tenuto domenica 7 luglio 2024, smentendo il risultato delle recenti elezioni europee e quelli del primo turno, il Nuovo Fronte Popolare ha vinto con 182 seggi, mentre il partito di Emmanuel Macron è arrivato secondo con 168 seggi. La grande sconfitta è stata per l’estrema destra del Rassemblement National di Marine Le Pen, uscita come favorita dal primo turno, che ha ottenuto 143 seggi. Ora si apre la sfida per la formazione di una coalizione di governo. Jean-Luc Mélenchon, capo de La France Insoumise, ha rivendicato il governo e chiesto a Macron di riconoscere la sconfitta e chiamare il Nuovo Fronte Popolare a governare. Ma Macron ha, per il momento, confermato il premier uscente e ha dichiarato di preferire un governo di coalizione.
Le elezioni in Francia e Regno Unito hanno riproposto la domanda: “cosa dobbiamo aspettarci dopo questo risultato?”, questione che sembra coinvolgerci di meno, apparentemente, perché riguardante realtà diverse dalla nostra. Invece, le questioni affrontate nei due confronti elettorali sono simili se non addirittura identiche sia alla nostra Italia che tra di loro, anche dopo la Brexit, cioè l’uscita del Regno unito dalla UE; il messaggio che ci inviano ci riguarda molto più di quanto crediamo.
L’insofferenza della popolazione del continente europeo verso le condizioni di vita imposte dal mercato globale, nel tempo, si è manifestata nelle forme più diverse, ma il fenomeno che unisce gli elementi spesso contraddittori di questa insofferenza è il glocal, cioè lo sviluppo contemporaneo di sistemi di mercato globalizzato (con tutto il corollario di disoccupazione, riconversioni, nuovi lavori che esso comporta) e di processi identitari locali (espressi nelle forme spesso radicali e reazionarie di rifiuto dello “straniero”, prodotto o cittadino che sia). In precedenza tali fenomeni si erano manifestati nei Paesi che per primi, sotto le regole volute dall’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) e le ristrutturazioni economiche volute dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), hanno visto abbattuti i prezzi delle materie prime e ristrutturato il loro debito pubblico a scapito del sistema di assistenza sociale, sanitaria e scolastica.
Quali sono stati i grandi temi che hanno coinvolto i cittadini nelle elezioni effettuate? Contrariamente a quanto previsto dai partiti della destra xenofobica e razzista, il tema dell’immigrazione e dell’identità “originale” da tutelare è risultato meno rilevante rispetto ad alcune questioni di vita quotidiana: i prezzi dei servizi (luce, gas, acqua, servizi alla persona), il costo della sanità e la sua funzione pubblica, i redditi da lavoro. Solo così è giustificabile la maggiore attenzione che ha spinto i cittadini francesi e britannici a partecipare in massa alle votazioni (molto più che nelle elezioni parlamentari italiane, e molto più che in quelle per il Parlamento Europeo).
Ma questi temi non giustificherebbero di per sé la vittoria dei partiti di opposizione di sinistra se non si analizzassero altri due aspetti essenziali, spesso oscurati dalla nostra stampa dedita alle valutazioni di parrocchia che hanno portato i media a esaltare o minimizzare i termini del risultato finale.
Il primo di essi è l’essenza della democrazia, al di là dei sistemi elettorali utilizzati. Quando ai cittadini francesi è stata proposta la possibile divisione dei diritti tra cittadini di serie A e cittadini di serie B, una massa di persone ha risposto chiaramente negando a chi proponeva questa discriminazione la possibilità di guidare il Paese cioè, negando alla destra la maggioranza dei suffragi. Infatti, la partecipazione al voto del secondo turno elettorale, che in Francia è fondamentale per la composizione del Parlamento, è stata addirittura superiore a quella del primo. E quando, dall’altra parte della Manica, i britannici hanno potuto valutare coloro che avevano portato al disastro economico il Paese, dopo aver promesso il benessere di tutti attraverso la Brexit, essi chiaramente hanno votato contro questi personaggi, riducendo in modo umiliante il numero dei deputati conservatori a vantaggio dei laburisti.
Se non fosse sufficiente questo primo aspetto per valutare positivamente i risultati, il secondo ci interessa ancora più da vicino: l’orientamento dei raggruppamenti vincitori (i laburisti in UK e il Nuovo Fronte Popolare – NFP – in Francia), molto più chiaramente che non nelle elezioni europee, rimette in agenda le politiche ambientaliste accanto a quelle sociali. E questo avviene senza il gioco della contrapposizione degli obbiettivi sociali rispetto a quelli ambientali, che in Italia ha favorito l’attuale governo e le sconsiderate politiche antiambientaliste che esso pratica nel nome di un presunto privilegio delle politiche per la famiglia e il lavoro.
I disastri ecologici hanno punteggiato la discussione nelle elezioni nei due Paesi, anche se la nostra stampa ne ha parlato molto poco, e l’orientamento dei neoeletti “vincitori” è chiaramente a favore di politiche sostenibili, coniugando tutela sociale ed ambientale. La scarsa pattuglia di deputati dei “partiti green” non ci deve ingannare perché, soprattutto in Francia, la coalizione ha espresso a livello di base una volontà unitaria che supera il valore dei singoli partiti delle coalizioni ed il programma del NFP è qualcosa di più del programma dell’Ulivo di italiana memoria che fu un retorico esercizio letterario senza seguito nell’attività di governo, il quale proprio sui punti più delicati (ambiente, diritti sociali e migranti) fallì clamorosamente. Ora, a distanza di quasi trent’anni, possiamo dire che il fallimento avvenne per aver osato poco e aver tentato sin dall’inizio una mediazione di palazzo con l’allora opposizione di destra, in tal modo favorendola.
Le elezioni nazionali di due Paesi dalla storia diversa ma fortemente incrociata, ci confermano in modo evidente che siamo alla fine di un ciclo, quello del libero mercato e del multilateralismo commerciale, affossato prima della tornata elettorale – di fatto – dalle forze che lo avevano realizzato. I gruppi di potere che per trent’anni hanno guidato il sistema economico sociale europeo non sono state in grado di evitare le conseguenze del cambiamento climatico e del cambiamento economico sociale che ha vissuto il pianeta; non hanno saputo dare un ruolo alla Unione Europea, trattata da essi, di volta in volta, come la guida comune a cui ispirarsi o come il nemico da combattere. E così, chiamate a governare il loro Paese, sono ricadute nell’unica soluzione che da generazioni gli europei danno alle loro incapacità: la guerra appoggiata in Ucraina e in Palestina, per stabilire chi ha ragione e chi farà pagare agli altri le conseguenze. Anche in questo le elezioni ci danno un segnale abbastanza chiaro: basta con “guerra fino alla vittoria” e bisogna lavorare per la ricerca della tregua e poi della pace.
Ciò che abbiamo difronte, come cittadini e come consumatori – perché nella società del consumo e dell’immagine questi ruoli tendono a confondersi – dopo queste elezioni mostra spiragli di luce. Già in quelle europee, persino in Italia, l’elezione con un grande numero di suffragi al Parlamento di persone-simbolo di battaglie per i diritti dei cittadini, come Mimmo Lucano o Ilaria Salis o Antonio Decaro, ci aveva mostrato un orientamento unitario verso temi considerati “scottanti”. In Francia la situazione parlamentare creatasi dopo le elezioni, che molti considerano bloccata o foriera di divisioni e lotte intestine, trova nella realtà una controtendenza che potrebbe rivelarsi vincente: nascono i comitati locali del NFP, nascono strumenti di base di discussione ed orientamento de cittadini che vogliono riprendere in mano il loro destino e che chiedono ai vincitori di non restare fossilizzati sulla loro immagine simbolo di oppositori, ma di avviare il cambiamento delle politiche in favore di una società a lungo inascoltata e repressa.
La situazione attuale mi ricorda molto (mutadis mutandis, quindi con le ovvie differenze) quella che si creò in Italia nel 1960: alla vigilia delle Olimpiadi il Governo Tambroni tentò di avere una maggioranza in Parlamento con l’aiuto dei missini (MSI, il partito erede di quello fascista che non ha mai firmato la Costituzione della Repubblica italiana). Fu la rivolta generale nel Paese, con manifestazioni represse, morti e feriti. Ma alla fine della sommossa il dibattito all’interno del partito di governo e quello avviato nel Parlamento aprirono le porte al cambiamento ed alla formazione dei governi di centro sinistra e con essi la stagione delle grandi riforme e del benessere diffuso.
La differenza sostanziale è che allora nelle politiche del partito di potere si innestarono le istanze innovatrici, date dalla presenza socialista nei governi, mentre oggi sia in Gran Bretagna, sia in Francia, è il partito di potere ad avere perso il consenso, non solo una sua ala avventurista.
Oggi le istanze innovatrici, sostenibili a livello sociale ed ambientale, chiederanno ai gruppi al potere di fare un passo indietro e di cambiare rotta. Si tratta di una prova di responsabilità e di rinnovamento che purtroppo vede fuori i gruppi dirigenti del sistema italiano, per loro miopia e presunzione e a cui noi, invece, non potremo sottrarci.
Gianfranco Laccone, agronomo, presidenza nazionale ACU Associazione Consumatori Utenti