Il 18 luglio scorso, Il Parlamento europeo ha eletto Ursula von der Leyen per altri cinque anni come presidente della Commissione europea, scegliendo in continuità per l’istituzione più potente dell’UE. Von der Leyen, che proviene dal Partito popolare europeo di centro-destra, ha ottenuto 401 voti a scrutinio segreto, ben al di sopra dei 360 voti necessari per essere eletta. Ci sono stati 284 voti contrari, 15 astensioni e 7 voti dichiarati non validi. Von der Leyen aveva il sostegno dei tre principali gruppi pro-UE: il Partito popolare europeo di centro-destra, i socialisti e i liberali di Renew. I Verdi sono stati la chiave del suo successo. In una conferenza stampa dopo il voto, von der Leyen ha detto che “è anche molto grata al gruppo dei Verdi per avermi sostenuto”. Ora che von der Leyen ha il sostegno sia del Consiglio europeo che del Parlamento europeo, inizierà a riunire la sua nuova Commissione europea. Chiederà ai leader nazionali di inviare due potenziali candidati per i commissari: un uomo e una donna, con la speranza che la nuova Commissione europea possa prendere il via il 1° novembre. E sempre per novembre (giorno 5) sono previste le prossime elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Queste elezioni determineranno il presidente e il vicepresidente degli Stati Uniti per il mandato 2025-2029. Contestualmente, si terranno anche le elezioni per il Congresso, che includono tutti i 435 seggi della Camera dei Rappresentanti e 34 dei 100 seggi del Senato. Allo stato, l’unico candidato sicuro alla poltrona di presidente è Donald Trump: ex presidente degli Stati Uniti, che ha annunciato la sua candidatura già nel novembre 2022 e recentemente è stata confermata dalla convention del partito repubblicano del 15 luglio 2024. La candidata dei democratici, invece, potrebbe essere Kamala Harris: vicepresidente attuale, che ha assunto un ruolo centrale dopo che il presidente Joe Biden ha deciso di non candidarsi per un secondo mandato. Si attende che il Partito Democratico ufficializzi la sua candidatura presidenziale in occasione di un appello virtuale prima della Convention Nazionale Democratica o proprio alla Convention Nazionale Democratica nell’agosto 2024. E nel resto del mondo?
La seconda metà del 2024 vedrà conferme o novità negli assetti mondiali della geopolitica per il clima? Non è una domanda oziosa, perché i destini dell’ambiente, del contrasto ai mutamenti climatici e della vita di tutti noi, dipendono proprio dalle decisioni e dagli orientamenti nei nuovi assetti istituzionali di paesi e continenti che, salvo sorprese, ci porteranno fino al 2030. Cosa dobbiamo aspettarci allora?
EUROPA
La conferma di von der Leyen sembrerebbe corrispondere, a giudicare dal suo discorso programmatico, alle conferme dei piani del Green Deal e del Fit for 55% con tutti i provvedimenti, regolamenti e direttive, che sono stati emanati nell’ambito di queste strategie.
Nel suo intervento, von der Leyen ha delineato le sue priorità e le prospettive per il clima nel corso del suo mandato precedente e ha riaffermato il suo impegno verso politiche ambientali ambiziose. Ecco cosa ha ribadito davanti l’europarlamento: si continuerà a promuovere il Green Deal Europeo, che mira a rendere l’Europa il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050. Questo piano include la riduzione delle emissioni di gas serra del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990.L’UE continuerà a investire nelle energie rinnovabili e nell’efficienza energetica. Von der Leyen ha sottolineato l’importanza di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e aumentare l’uso di energie pulite come l’eolico, il solare e l’idrogeno verde. Le politiche riguarderanno anche la promozione di una economia circolare, la protezione della biodiversità e la riduzione dell’inquinamento. Von der Leyen ha promesso di rafforzare le normative per ridurre l’uso della plastica e promuovere il riciclo. La Commissione lavorerà con i settori industriali per aiutare la transizione verso pratiche più sostenibili. Ciò include il sostegno alla modernizzazione delle infrastrutture e l’adozione di tecnologie verdi. La presidente ha infine indicato che una parte significativa del bilancio dell’UE e del NextGenerationEU, il piano di ripresa post-pandemia, sarà dedicata a progetti verdi. Questo include investimenti in infrastrutture verdi e innovazione tecnologica per supportare la transizione climatica. L’UE continuerà a giocare un ruolo di leadership nei negoziati internazionali sul clima, promuovendo accordi ambiziosi e collaborazioni globali per affrontare il cambiamento climatico. Questi punti delineano un quadro ambizioso per il futuro delle politiche climatiche sotto la guida di Ursula von der Leyen, che punta a posizionare l’Europa come leader mondiale nella lotta contro il cambiamento climatico, anche se è bene attendere le nomine dei Commissari mentre è già prevedibile che nel Consiglio, dove siedono i Capi di Stato o di Governo, ci saranno maggiori difficoltà, a giudicare dalle infuocate dichiarazioni degli ultimi mesi, specie su alcuni temi caldi come: agricoltura, mobilità elettrica, case green. Raggiungere un accordo nel Trilogo sarà più complicato ma non bisogna deflettere dalla strada intrapresa. Semmai bisognerà ampliare l’ambito d’intervento per una maggiore tutela dei diritti umani, dell’equità sociale, della sicurezza alimentare (l’inattuata strategia Farm to Fork), anche nella prospettiva del contrasto ai mutamenti climatici.
USA
Il confronto tra Donald Trump e Kamala Harris (se venisse confermata come suo competitor) è un confronto tra identità politiche ma anche personali, laddove quest’ultime sono influenzate dalla storia personale dei protagonisti. Donald Trump ha una posizione ben consolidata e scettica sui cambiamenti climatici. Durante la sua precedente amministrazione, ha ritirato gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi del 2015 (rinnovato, invece, l’anno successivo dal suo subentrante Joe Biden), sostenendo che l’accordo avrebbe imposto oneri finanziari ed economici troppo gravosi per il paese. Ha dichiarato che avrebbe fatto risparmiare miliardi di dollari e salvato milioni di posti di lavoro, sebbene i dati economici successivi non abbiano mai supportato queste affermazioni. Per le elezioni del 2024, Trump ha proposto di annullare molte delle politiche climatiche e ambientali implementate durante l’amministrazione Biden. Il suo piano, noto come “Project 2025“, mira a potenziare la produzione di combustibili fossili, eliminare diversi programmi di energia pulita e ridurre significativamente il ruolo dell’Agenzia per la Protezione Ambientale (EPA). Intende anche revocare il finanziamento per la ricerca climatica e deregolamentare molte delle normative ambientali attuali. Trump e i suoi alleati promuovono un’agenda che favorisce l’industria dei combustibili fossili, riduce la regolamentazione ambientale e minimizza le preoccupazioni relative al cambiamento climatico. Questa posizione riflette una visione di breve termine orientata al profitto immediato delle industrie petrolifere e del gas, a scapito delle azioni necessarie per mitigare gli impatti del cambiamento climatico. Infine, la posizione di Trump sulla solidarietà sociale è caratterizzata dalle sue promesse di proteggere i programmi di assistenza sociale, pur accennando occasionalmente alla necessità di riforme, che poi mitiga per mantenere il supporto politico.
Al contrario di Trump, la posizione di Kamala Harris sui cambiamenti climatici è chiara e fortemente orientata verso un’azione incisiva. Come Vicepresidente degli Stati Uniti, Harris ha sostenuto numerosi progetti e politiche per combattere la crisi climatica. Ha promosso l’allocazione di 20 miliardi di dollari per il Fondo di Riduzione dei Gas Serra dell’EPA, mirato a supportare le comunità svantaggiate colpite dagli impatti climatici. Ha anche partecipato attivamente agli eventi internazionali sul clima, come la COP28 a Dubai, dove ha annunciato impegni significativi degli Stati Uniti per aumentare l’efficienza energetica e la capacità delle energie rinnovabili entro il 2030. Inoltre, Harris ha annunciato il più grande investimento nella storia degli Stati Uniti per i progetti climatici a livello comunitario, con 20 miliardi di dollari destinati a finanziare migliaia di progetti di energia pulita e sostenibilità in tutto il paese. Questo investimento mira a ridurre le emissioni e a promuovere una transizione verso un’economia più verde, con un focus particolare su comunità locali e aziende. Harris ha anche un forte impegno per la giustizia ambientale, avendo creato un’unità di giustizia ambientale durante il suo mandato come procuratore distrettuale di San Francisco e, come procuratore generale della California, ha perseguito diverse aziende per violazioni ambientali. In sintesi, Kamala Harris è una forte sostenitrice di politiche aggressive e inclusive per affrontare la crisi climatica, con un’attenzione particolare alla giustizia ambientale e all’uguaglianza sociale.
RUSSIA
Nel 2024 (il 17 marzo) si sono tenute anche le elezioni presidenziali in Russia. Vladimir Putin è stato rieletto presidente della Russia confermandosi al potere per la terza volta dal 2012. Ha ottenuto circa il 78% dei voti, rafforzando la sua posizione di leader dominante nel paese anche se i suoi principali candidati dell’opposizione, hanno avuto difficoltà a competere in modo equo per i limiti imposti alla partecipazione politica e le restrizioni sulle candidature che hanno influito sulla loro visibilità e sulla possibilità di una competizione significativa. Questo risultato consente a Putin di continuare il suo mandato e potenzialmente rimanere al potere fino al 2036, a seconda delle future modifiche alla costituzione e della sua capacità di mantenere il controllo politico. Il ruolo della Russia nelle politiche climatiche è influenzato da una serie di fattori, tra cui le sue risorse naturali, le priorità economiche e le sue ambizioni geopolitiche. Mentre la Russia partecipa agli sforzi internazionali per affrontare il cambiamento climatico, le sue azioni e le sue politiche sono spesso modellate da interessi economici e geopolitici più ampi. La Russia ha ratificato l’Accordo di Parigi e si è impegnata a ridurre le proprie emissioni di gas serra. Tuttavia, le sue promesse e i suoi piani non sono stati sempre allineati con le ambizioni più elevate di altri paesi. La Russia è uno dei maggiori emettitori di gas serra al mondo, anche se le sue emissioni sono inferiori rispetto a quelle della Cina e degli Stati Uniti e uno dei principali esportatori di petrolio e gas naturale, e il suo settore energetico è un pilastro cruciale della sua economia. Ha quindi un significativo impatto sul cambiamento climatico globale a causa delle sue vaste risorse energetiche e della sua produzione di combustibili fossili. La Russia, con una grande porzione del suo territorio nell’Artico, sta affrontando riscaldamenti climatici più rapidi rispetto ad altre regioni. Questo ha conseguenze per l’ambiente e per le comunità locali, oltre a influenzare le politiche climatiche e le strategie di adattamento. Per questo ha adottato una Strategia Ambientale che include obiettivi di riduzione delle emissioni e miglioramento dell’efficienza energetica, ma il progresso in queste aree è stato spesso lento e limitato da interessi economici prevalenti. Le politiche climatiche della Russia sono fortemente influenzate dal desiderio di mantenere il suo status di grande produttore di energia e dalla necessità di proteggere le sue economie regionali basate sulle risorse naturali. Le sue preoccupazioni ambientali e climatiche possono anche interagire con le strategie geopolitiche, specialmente nella regione artica, dove il riscaldamento globale sta aprendo nuove rotte marittime e opportunità per l’estrazione di risorse.
CINA
Inserisco in questa rassegna internazionale anche la Cina benché non interessata da elezioni interne: l’attuale presidente è Xi Jinping, il cui mandato si estende fino al 2028, a meno di cambiamenti straordinari o dimissioni e solo per il 2027 è previsto il Congresso Nazionale del Partito Comunista Cinese (l’organo legislativo supremo della Cina che, in genere, si riunisce una volta all’anno), che definirà la leadership e le strategie future del partito. Ma la Cina è tra i paesi che hanno sottoscritto l’Accordo di Parigi del 2015 sulla limitazione del surriscaldamento globale e quindi il suo ruolo nella geopolitica mondiale sul clima è cruciale e multiforme. Da una parte la Cina è il maggior emettitore di gas serra al mondo. Le sue emissioni superano quelle degli Stati Uniti e dell’Unione Europea combinate. Dall’altra, ha adottato una serie di politiche per affrontare il cambiamento climatico, tra cui impegni per raggiungere il picco delle sue emissioni di CO2 prima del 2030 e per raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060. Tuttavia, la realizzazione di questi obiettivi è oggetto di scrutinio e dibattito internazionale. La Cina è anche leader globale nella produzione e nell’installazione di energia rinnovabile, in particolare nel settore dell’energia solare ed eolica. Questa leadership le conferisce una posizione di rilievo nella transizione globale verso fonti energetiche più sostenibili. Attraverso iniziative come la Belt and Road Initiative (BRI), la Cina sta esportando infrastrutture e tecnologia in molti paesi in via di sviluppo. Questi investimenti possono avere impatti ambientali significativi e sollevare preoccupazioni su come i progetti sono progettati e gestiti in termini di sostenibilità. Per questo sta cercando di posizionarsi come leader nella diplomazia climatica globale. Partecipa attivamente a negoziati internazionali e cerca di influenzare le normative e le politiche globali sul clima attraverso alleanze e iniziative multilaterali. La Cina gioca dunque un ruolo determinante nella geopolitica climatica globale, sia come grande emettitore di gas serra che come promotore di tecnologie verdi e investimenti internazionali. La sua capacità di influenzare e rispondere alle questioni climatiche avrà un impatto significativo sul futuro del pianeta. Ma deve affrontare le pressioni per ridurre ulteriormente le emissioni, mentre cerca di mantenere il suo ritmo di sviluppo economico.
BRIC
L’acronimo BRIC si riferisce a un gruppo di paesi emergenti con economie in crescita e un’influenza crescente sulla scena globale. Il termine è stato coniato per rappresentare quattro paesi principali: Brasile, Russia, India e Cina. Il BRICS, come gruppo, sostiene un approccio equilibrato alle politiche climatiche, riconoscendo l’importanza della sostenibilità ambientale ma anche le sfide dello sviluppo economico. Ogni membro del BRICS ha posizioni e priorità diverse, che riflettono le loro circostanze economiche e ambientali uniche. La cooperazione all’interno del BRICS su questioni climatiche è caratterizzata da uno sforzo collettivo per affrontare le sfide globali mentre si bilanciano gli interessi nazionali e le esigenze di sviluppo. Tutti e quattro i paesi hanno aderito all’Accordo di Parigi e hanno presentato obiettivi nazionali per ridurre le emissioni, ma la loro attuazione rimane sempre influenzata dalle politiche ambientali interne e dalle pressioni economiche.
In conclusione, verso il 2030, la geopolitica mondiale del clima dovrà essere caratterizzata da una crescente integrazione di politiche climatiche globali, transizioni energetiche e tecnologiche, e risposte alle sfide ambientali e socioeconomiche. La cooperazione internazionale, insieme a innovazioni tecnologiche e cambiamenti normativi, sarà fondamentale per affrontare efficacemente i cambiamenti climatici e raggiungere gli obiettivi di sostenibilità globale. Ma mai come nei prossimi anni le scelte saranno influenzate dagli uomini: saranno importanti le leadership e la necessità di avere persone affidabili e competenti per realizzare idee e progetti.
“Cerco uomini non idee” diceva Alessandro Manzoni. E la ricerca continua.
Giuseppe d’Ippolito
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