Il 26 settembre 2024, il Consiglio dell’Unione Europea (che attualmente conta 46 Stati membri, inclusi tutti i paesi dell’Unione Europea e altri paesi non appartenenti all’UE, come il Regno Unito, la Turchia e la Norvegia) ha approvato la proposta della Commissione UE di modificare lo stato di tutela del lupo, declassandolo da “rigorosamente protetto” a “protetto”. Questa decisione ha suscitato preoccupazioni tra gli ambientalisti e i sostenitori della biodiversità, poiché il declassamento potrebbe facilitare la caccia e la gestione più flessibile delle popolazioni di lupi in alcune regioni. Il cambiamento di status è stato giustificato come un tentativo di bilanciare la conservazione del lupo con le esigenze delle comunità rurali, che spesso lamentano conflitti con il grande predatore, specialmente in relazione all’allevamento di bestiame. Il tema è complesso e richiede un attento equilibrio tra la protezione delle specie e le esigenze delle comunità locali, ma in questo caso sembrerebbe vi siano stati dei “suggeritori” non proprio guidati dal rispetto di questo equilibrio.

 

In base alla Convenzione di Berna del 1979, che è il principale strumento giuridico internazionale per la conservazione della fauna selvatica e degli habitat naturali in Europa, il lupo è stato storicamente classificato come “rigorosamente protetto“. Questo status implica misure di tutela molto forti, come il divieto di caccia e l’adozione di azioni di conservazione mirate per garantire la sopravvivenza della specie.
Il recente declassamento dello status del lupo da “rigorosamente protetto” a “protetto” rappresenta una svolta significativa. Se da un lato la Convenzione di Berna permette una certa flessibilità per affrontare specifici problemi locali (come conflitti con l’agricoltura o la sicurezza umana), dall’altro il cambiamento potrebbe minare i progressi fatti nella conservazione di questo predatore. La posizione “protetta” consente comunque protezioni, ma offre maggiori deroghe per l’abbattimento controllato, il che potrebbe portare a una riduzione della popolazione se non gestito con attenzione.
La questione della protezione del lupo, alla luce della Convenzione di Berna e della recente decisione del Consiglio d’Europa, apre un dibattito cruciale sulla coesistenza tra fauna selvatica e attività umane. La Convenzione di Berna, che mira a garantire la conservazione della fauna selvatica in Europa, aveva stabilito per il lupo uno status di “rigorosamente protetto” proprio per prevenire il rischio di estinzione di una specie che, storicamente, era stata cacciata e perseguitata al punto da ridurre drasticamente le sue popolazioni. Grazie a questa protezione, il lupo è riuscito a ricolonizzare ampie aree del continente, ristabilendo equilibri naturali e contribuendo al controllo delle popolazioni di prede come cervi e cinghiali.

Cane Tamaskan in piedi su una roccia in una foresta

Il declassamento dello status del lupo implica che le misure di tutela possano essere allentate in modo da consentire, ad esempio, abbattimenti controllati per affrontare situazioni conflittuali con l’agricoltura o l’allevamento. Questa mossa solleva notevoli preoccupazioni.
Innanzitutto, che la protezione rigorosa del lupo ha garantito una crescita controllata delle popolazioni, ma abbassare il livello di protezione potrebbe comportare un aumento significativo degli abbattimenti. Questo rischio è particolarmente elevato nelle regioni dove il lupo è ancora percepito come una minaccia diretta al bestiame, creando una pressione sulle autorità per consentire abbattimenti con maggiore facilità. Ciò potrebbe indebolire gli sforzi di conservazione. Il lupo svolge poi un ruolo chiave nei suoi habitat come predatore apicale, regolando le popolazioni di ungulati e altre specie. La sua riduzione potrebbe alterare gli equilibri ecologici, causando sovrappopolazione di prede e danni agli ecosistemi, come la degradazione della vegetazione o l’impatto su altre specie animali. Il lupo contribuisce anche alla biodiversità, influenzando la struttura e la funzione degli ecosistemi.
Ancora, la decisione di allentare la protezione del lupo potrebbe scoraggiare l’uso di misure alternative non letali, come recinzioni elettriche, cani da guardia o indennizzi per gli agricoltori che subiscono danni al bestiame. Queste misure, anche se spesso più costose o complesse da implementare, sono fondamentali per costruire un modello di convivenza sostenibile tra predatori e comunità locali. Ridurre la protezione del lupo potrebbe far passare il messaggio che la soluzione più semplice è eliminarlo piuttosto che trovare modi per convivere con esso. E sebbene il lupo si stia riprendendo in diverse parti d’Europa, ci sono ancora popolazioni fragili e isolate che potrebbero essere più vulnerabili agli effetti di una protezione ridotta. Il rischio è che in alcune regioni il lupo non sia ancora in una situazione di sicurezza e che l’allentamento delle tutele possa portare a nuove minacce per la sua sopravvivenza.

Sebbene sia comprensibile che ci siano tensioni tra la conservazione dei lupi e le esigenze delle comunità rurali, un declassamento appare oggi essere ancora prematuro. Le politiche di gestione dovrebbero basarsi su dati scientifici solidi che garantiscano che le popolazioni di lupi siano stabili a lungo termine prima di considerare modifiche così sostanziali al loro status. Il dialogo con le comunità locali è cruciale, ma l’obiettivo dovrebbe essere quello di promuovere la coesistenza piuttosto che facilitare un ritorno a politiche di abbattimento diffuso. Invece, voci di corridoio riferiscono che la decisione del Consiglio d’Europa abbia ricevuto il plauso se non, addirittura, una spinta  dalla Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, che è stata tra le figure di spicco che hanno sostenuto il dibattito sul declassamento dello status di protezione del lupo. Questo tema ha acquisito particolare rilevanza in parte a causa delle sue esperienze personali: nel 2022, la famiglia della von der Leyen ha subito l’attacco di un lupo che ha ucciso uno dei loro pony. Questo evento ha contribuito a portare l’attenzione pubblica e politica sulla questione, spingendo von der Leyen a sostenere la necessità di una revisione dello status del lupo per affrontare meglio i conflitti tra la fauna selvatica e le attività umane, specialmente l’allevamento. Ed è stata proprio la Commissione Europea, sotto la sua guida, a proporre una revisione delle norme di protezione, riflettendo anche le pressioni di diversi Stati membri, in particolare quelli in cui le popolazioni di lupi sono in crescita e dove si registrano frequenti conflitti tra pastori e predatori. Tra questi, l’Italia ha svolto un ruolo importante nel portare avanti il dibattito all’interno dell’UE, sollecitando la Commissione a considerare le esigenze economiche e sociali delle comunità rurali, aldilà degli imperativi della conservazione della fauna selvatica. E, a sua volta, la rappresentanza italiana è stata sollecitata da organizzazioni come la Coldiretti che non hanno fatto mancare le proprie pressioni sul governo del nostro paese. Non pare possano rinvenirsi dati scientifici solidi in queste posizioni, mentre è certo che l’approccio basato sulla Convenzione di Berna era giustificato per prevenire l’estinzione del lupo e promuovere una sua ripresa. Allentare ora queste misure potrebbe rischiare di vanificare decenni di progressi nella protezione della specie, con potenziali conseguenze non solo per il lupo stesso, ma per l’intero equilibrio ecologico in Europa.

È essenziale, quindi, mantenere un livello di protezione rigoroso per i lupi, almeno fino a quando non si potrà garantire che le popolazioni siano davvero stabili e che i conflitti con l’uomo siano gestiti in modo non letale. La biodiversità in Europa è già messa sotto pressione da molte altre sfide ambientali, e ridurre la protezione di una specie così cruciale potrebbe avere effetti negativi a catena sugli ecosistemi.

Hèléne Martin