Il premio Nobel è uno dei più prestigiosi riconoscimenti a livello internazionale, istituito dal testamento di Alfred Nobel, l’inventore della dinamite, con lo scopo di premiare coloro che “hanno conferito il maggiore beneficio all’umanità”. I premi Nobel vengono assegnati in varie categorie: fisica, chimica, medicina, letteratura, pace e, a partire dal 1969, un premio per le scienze economiche in memoria di Alfred Nobel. La prima assegnazione avvenne nel 1901. Il Premio Nobel per la Pace, in particolare, viene conferito alla persona o organizzazione che ha fatto il massimo sforzo per la promozione della pace tra le nazioni, per la riduzione degli eserciti o per lo svolgimento di conferenze di pace. Viene assegnato annualmente da un comitato nominato dal Parlamento norvegese (Storting), e a differenza degli altri premi Nobel, non è gestito dall’Accademia svedese. Il premio ha un forte impatto simbolico e pratico. Oltre al riconoscimento morale, il premio consente ai vincitori di ottenere un’ampia visibilità internazionale e spesso facilita l’accesso a risorse e contatti fondamentali per continuare la loro opera. Tuttavia, è anche vero che non tutte le situazioni migliorano a seguito dell’assegnazione del Nobel. Alcuni vincitori sono stati arrestati o perseguitati, come il dissidente cinese Liu Xiaobo. È  noto per la sua capacità di influenzare il dibattito internazionale sulle questioni globali di pace, diritti umani e giustizia. Tra i vincitori più celebri vi sono Martin Luther King Jr., Malala Yousafzai, Madre Teresa, Nelson Mandela e, più di recente, personalità come Nadia Murad e Denis Mukwege, per i loro sforzi contro la violenza sessuale come arma di guerra.
Quando scoppia una guerra, la gente dice: Non durerà, è cosa troppo stupida.
E non vi è dubbio che una guerra sia davvero troppo stupida, ma questo non
le impedisce di durare. La stupidaggine insiste sempre, ce se n’accorgerebbe
se non si pensasse sempre a noi stessi
.

Albert Camus
La Peste

 

Con una breve nota su tutta la stampa è stata data notizia del premio Nobel per la Pace 2024 assegnato a Nihon Hidankyo, organizzazione dei superstiti giapponesi alle bombe di Hiroshima e Nagasaki. Per il Comitato norvegese, questo impegno ha contribuito negli anni alla creazione del “Tabù del nucleare” tanto che in 80 anni non è più stata usata un’arma atomica, nonostante la costante presenza di conflitti e il procedere sino agli anni Novanta della cosiddetta “guerra fredda”. Lo stesso Comitato ha sottolineato che oggi più che mai il tabù nucleare va sostenuto contro i numerosi rischi di escalation. Questa opinione però è scarsamente condivisa dalla stampa nazionale, anche se non lo si dice apertamente. Il fatto che la notizia sia stata archiviata ed abbandonata dopo un giorno, quasi fosse un fatto di cronaca, mentre continuano ad essere scritte lunghe pagine sui due principali conflitti e sulle possibili opzioni, la dice lunga sull’attitudine guerresca che sembra predominare nella nostra società e che male accoglie chi non concorda con essa. Dinanzi alla assegnazione di un premio Nobel per la pace contro gli strumenti di guerra più potenti, non potendo esprimere dissenso aperto, si applica la tecnica della rimozione.

Eppure, Hibakusha, il nome che indica i sopravvissuti al bombardamento con cui è comunemente conosciuta l’organizzazione nata dopo la distruzione di Nagasaki e Hiroshima, ha avuto un ruolo fondamentale per creare la coscienza contro l’uso delle armi nucleari e per mostrare le conseguenze delle catastrofi nucleari. Ricordo ancora un numero di Topolino della fine anni Cinquanta in cui, in presenza di una esplosione nucleare, gli eroi dei fumetti di Walt Disney assistevano contenti, protetti da un paio di occhiali da sole. La consapevolezza sugli effetti delle esplosioni nucleari e delle nubi radioattive, innanzitutto sugli alimenti (oltre che sugli uomini), ha contribuito a creare il cosiddetto “Tabù nucleare”, una norma non scritta che ha reso presso i popoli inaccettabile l’uso di armi nucleari. La teoria della deterrenza portò nel corso degli anni della guerra fredda ad un incredibile numero di esplosioni di ordigni a scopo sperimentale (ma anche dimostrativo) sottoterra e nel cielo in una corsa che vedeva un sempre maggiore numero di Paesi gareggiare. Parallelamente, aumentavano gli arsenali nucleari delle due superpotenze (Usa e Urss) con lo scopo di rendere meno probabile un attacco e/o una ritorsione dell’avversario a colpi di bombe nucleari. Tutto ciò ebbe un primo stop con la “crisi di Cuba”. Nel 1960 la postazione di missili nucleari sovietici a Cuba, dinanzi alle coste della Florida, considerata dagli Usa una grave provocazione, avrebbe portato inesorabilmente al conflitto nucleare se al governo delle superpotenze non ci fossero state menti aperte. Kennedy e Krusciov seppero capire quale fosse il limite e proseguirono nella ricerca del predominio usando le armi della politica (accanto a quelle convenzionali mai abbandonate, naturalmente). Le guerre non finirono, ma un limite era stato accettato e l’immagine dell’uso di questa energia fu sempre più indirizzata verso la produzione per fini “pacifici”.

Nel 1986 questa immagine di energia pulita, utile al progresso dell’umanità, fu cancellata da Chernobyl, la cui centrale ebbe la fusione del nocciolo con conseguenze catastrofiche per tutto il continente europeo. Il “sarcofago” di cemento costruito sul luogo della grande centrale nucleare, divenne l’emblema di una scienza da apprendisti stregoni. A poco valse il tentativo di scaricare le responsabilità sui “cattivi scienziati dell’URSS” che comunque avevano costruito nel tempo una immagine positiva durante la “corsa nello spazio” con gli USA.  D’altra parte, gli stessi USA avevano già mostrato i loro limiti nel gestire le centrali nucleari con l’incidente di Three Mile Island (1979), le cui cause furono individuate attraverso l’inchiesta successiva: strumentazione carente e addestramento inadeguato; in questo caso la parziale fusione del nocciolo radioattivo evitò un incidente pari a quello di Chernobyl. La consapevolezza sugli effetti dell’uso del nucleare portò in Italia alla schiacciante vittoria ai referendum sul nucleare del novembre 1987.

Ma se l’uso del nucleare civile causa simili disastri, cosa sarà l’uso del nucleare a scopi bellici? Per evitare che le persone si pongano troppi problemi e per “aggirare” il tabù nucleare, furono inventati i missili a “uranio impoverito”, un esempio di riciclaggio delle scorie delle centrali, grande problema irrisolvibile con le nostre attuali conoscenze e capacità, la cui soluzione è sino ad ora possibile solo a lungo termine con l’attività dei vegetali, gli unici in grado di assorbire radionuclidi sottraendoli all’ambiente.

Un esempio di ipocrita mascheramento, nella parola “impoverito”, degli effetti a lungo termine che la vicinanza del materiale radioattivo causa agli umani. Ne sono ben consapevoli i militari che hanno curato la manutenzione e la custodia di questi ordigni. Nelle guerre nucleari si può morire anche solo per la vicinanza e la “familiarità” con le bombe, con quella sottile morte che consuma l’organismo, come avvenne a una grande studiosa, Maria Sklodowska Curie, che analizzò gli effetti della radioattività. È segno dei tempi la superficialità con cui è stato commentato il premio Nobel a Hibakusha, guardando persino con stizza alle motivazioni e accettando il detto antico “mondo era, mondo è e mondo sarà!”, cioè che la guerra e il suo bagaglio di distruzione totale fanno parte dell’istinto umano. Questo premio Nobel ci dice invece che il re è nudo! poiché non c’è giustificazione alla distruzione totale nucleare e non ci sarà gloria per chi usa questo strumento. Se guardiamo al lancio della prima bomba nel 1945, non ci fu gloria per chi la usò – a guerra vinta – contro popolazioni inermi, causando distruzione al solo scopo di ammonire gli alleati e terrorizzare gli sconfitti.

Guardiamo invece all’opera di Hibakusha, alla sua capacità di dare un senso alla perdita subita e di includere in questo dolore tutti i viventi, anche le piante, trasformandolo in speranza. La testimonianza di Stefano Mancuso in uno dei suoi scritti (L’incredibile viaggio delle piante) ci mostra come la società giapponese abbia reagito alla catastrofe e quale sia il valore delle piante, gli Hibakujumoku, alberi che sono sopravvissuti al bombardamento atomico in Giappone: visitati, onorati e riveriti come antichi saggi, soggetti a cui si parla dei propri affanni. Tra essi anche un salice piangente, ricresciuto dalle radici rimaste vive sottoterra a 370 metri dall’ipocentro del bombardamento. Mancuso era accompagnato da un Hibakusha che lo salutò con queste parole: “Parli degli Hibakujumoku, li faccia conoscere… Avevo sette anni quando la bomba fece scomparire tutta la mia famiglia e chiunque conoscessi al mondo. Mi salvai perché l’aula della scuola elementare dove studiavo era protetta da una cortina di alberi. Io e quattro miei compagni siamo gli unici reduci di quella scuola. Eravamo 120 bambini”.   

Gianfranco Laccone, agronomo, presidenza nazionale ACU Associazione Consumatori Utenti

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