Negli ultimi decenni, l’Europa ha visto un aumento significativo dei flussi migratori. La Convenzione di Ginevra del 1951 ha fornito una base legale per la protezione dei rifugiati, ma le dinamiche migratorie odierne sono cambiate notevolmente. Molti migranti non possono essere considerati rifugiati nel senso tradizionale, ma necessitano comunque di protezione. La crisi dei rifugiati e i mutamenti climatici sono tra le sfide più significative del nostro tempo. Milioni di persone sono costrette a fuggire dalle loro terre d’origine a causa di conflitti, persecuzioni politiche, violazioni dei diritti umani e, sempre più spesso, cambiamenti ambientali. In questo contesto, la necessità di un diritto d’asilo chiaro e accessibile all’interno della legislazione italiana ed europea è diventata imperativa. L’espansione del concetto di migrante climatico è fondamentale per comprendere le dinamiche attuali della migrazione e le sfide legate alla crisi ambientale. I migranti climatici, o migranti ambientali, sono individui o gruppi di persone che si spostano temporaneamente o permanentemente a causa di cambiamenti ambientali significativi, che rendono inabitabili le loro terre d’origine. Questi cambiamenti possono includere: eventi meteorologici estremi come uragani, inondazioni, siccità e incendi boschivi; cambiamenti climatici graduali come l’innalzamento del livello del mare, la desertificazione e l’alterazione degli ecosistemi e/o il degrado ambientale dovuto a fattori umani, come l’inquinamento e la deforestazione.
In un momento in cui nel Belpaese si fa un gran parlare di migranti e della comparazione tra la legislazione nazionale e quella europea, vorrei introdurre un nuovo elemento di riflessione.
Sono giorni che assistiamo ad un acceso confronto sulla definizione di “paese sicuro” che, in genere, varia in base a fattori come le condizioni politiche, la stabilità politica e il rispetto dei diritti umani. Ancora, sono determinanti le situazioni di conflitto con l’esistenza di guerre o lotte interne, o la discriminazione sistematica con leggi o pratiche che discriminano specifici gruppi etnici, religiosi o politici. Le liste di paesi non sicuri (tutte, nessuna esclusa) possono però essere oggetto di controversie. Ad esempio, le organizzazioni per i diritti umani possono contestare la classificazione di alcuni paesi come “sicuri” o “non sicuri” a seconda delle circostanze attuali. Inoltre, vi è la preoccupazione che alcuni richiedenti asilo possano non ricevere la protezione necessaria a causa di decisioni politiche o amministrative e le valutazioni sui paesi sicuri e non sicuri possono cambiare nel tempo a causa di evoluzioni politiche, sociali e di diritti umani. Infine, la definizione di “sicuro” può variare a seconda delle esperienze personali dei migranti e dei richiedenti asilo. In alcuni casi, i richiedenti possono essere restituiti a paesi considerati sicuri, anche se hanno vissuto esperienze traumatiche o hanno motivi legittimi per temere il ritorno.
In questo bailamme di ipotesi di cui il legislatore, il sovranazionale più del nazionale, deve tenere conto con criteri di elasticità e non di rigidità, sembra sfuggire la definizione di “migrante climatico”, cioè di coloro che abbandonano il loro paese a causa di eventi catastrofici, determinati dai cambiamenti climatici, che hanno distrutto infrastrutture, abitazioni e mezzi di sussistenza, costringendo le persone a cercare rifugio altrove. Ancora, i cambiamenti climatici possono compromettere la produzione agricola, portando a carestie e a un aumento dei prezzi dei generi alimentari, spingendo le persone a migrare in cerca di migliori opportunità di sussistenza. E la competizione per risorse scarse, come acqua e terra arabile, può intensificare i conflitti e portare a migrazioni forzate.
È importante distinguere tra “migranti climatici” e “rifugiati politici”. Mentre i rifugiati fuggono da persecuzioni basate su razza, religione, nazionalità, appartenenza a un gruppo sociale o opinioni politiche, i migranti climatici si spostano principalmente a causa di fattori ambientali. Tuttavia, le due categorie possono sovrapporsi, poiché i cambiamenti climatici possono esacerbare le condizioni di conflitto e violenza, spingendo le persone a cercare asilo. Secondo i dati forniti dall’Agenzia dell’Unione Europea per l’Asilo (EUAA), Eurostat e l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), nell’ultimo decennio sono arrivati in Europa milioni di migranti. In termini di asilo, Eurostat ha riportato che l’Unione Europea ha ricevuto oltre 6 milioni di richieste di asilo dal 2013 al 2023. Le principali nazionalità che hanno richiesto asilo in Europa sono state quelle siriane, afghane, irachene, venezuelane e africane. Non esistono però stime precise sul numero esatto di migranti climatici che hanno raggiunto l’Europa negli ultimi anni, principalmente perché la definizione di “migrante climatico” è ancora oggetto di dibattito e non è formalmente riconosciuta nel diritto internazionale. Ma, si stima che i fenomeni legati al cambiamento climatico, come inondazioni, siccità e tempeste, abbiano provocato un aumento significativo delle migrazioni interne ed esterne. Nel 2023, il 77% dei 26,4 milioni di nuovi spostamenti interni a livello globale sono stati causati da disastri naturali legati al clima, come tempeste, inondazioni e siccità. Questi fenomeni estremi sono spesso la causa principale dei movimenti di persone all’interno di un paese, ma stanno progressivamente contribuendo anche a migrazioni transfrontaliere, inclusa l’Europa. Infatti, per quanto riguarda i migranti climatici internazionali, la proiezione a lungo termine più comunemente accettata, un rapporto della Banca Mondiale (2021), stima che fino a 216 milioni di persone potrebbero essere costrette a migrare entro il 2050 a causa dei cambiamenti climatici. Si tratta, in verità, principalmente di migrazioni interne, mentre una parte di questi movimenti potrebbe coinvolgere anche l’Europa, soprattutto per quanto riguarda le regioni più vulnerabili come il Nord Africa.
Ciononostante, attualmente, i migranti climatici non sono riconosciuti formalmente come rifugiati dalla Convenzione di Ginevra del 1951, il che significa che non hanno accesso alle stesse protezioni legali. Anche il successivo protocollo del 1967, ampliando la definizione di rifugiato, è rimasto limitato a persecuzioni politiche, razziali, religiose o di appartenenza a particolari gruppi sociali. La Direttiva 2011/95/UE (sulla protezione internazionale) non menziona i migranti climatici, limitando la protezione a coloro che temono persecuzioni come definito dalla Convenzione di Ginevra. E neppure la legge italiana che ha modificato il sistema di asilo in Italia, affronta specificamente il tema dei migranti climatici.
Nel contesto giuridico internazionale, non esiste ancora, quindi, una protezione formale per i migranti climatici, ma alcune sentenze recenti hanno cercato di interpretare le leggi esistenti in modo da fornire loro protezione. Vediamo alcuni casi chiave che hanno tentato di affrontare la questione.
Uno dei casi più significativi è quello di Ioane Teitiota, un cittadino delle isole Kiribati, che ha chiesto asilo in Nuova Zelanda a causa del deterioramento ambientale del suo paese natale dovuto al cambiamento climatico. La Nuova Zelanda aveva rigettato la richiesta, ma Teitiota ha portato il suo caso davanti al Comitato per i Diritti Umani dell’ONU. Nel 2020, il Comitato ha stabilito che gli stati potrebbero violare i diritti umani fondamentali (in particolare il diritto alla vita, protetto dall’articolo 6 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici) se deportano individui verso paesi dove le condizioni ambientali causate dal cambiamento climatico minacciano la loro sopravvivenza. Anche se la richiesta di Teitiota è stata respinta, questa sentenza è importante perché ha stabilito un principio che potrebbe essere usato in futuri casi legati ai migranti climatici.
Un altro esempio rilevante proviene dalla Corte Suprema del Bangladesh. Nel 2016, la corte ha esaminato il caso di sfollati interni a causa di disastri naturali legati al cambiamento climatico, in particolare le inondazioni costiere. Anche se la corte non ha direttamente concesso uno status giuridico speciale ai migranti climatici, ha riconosciuto che il governo ha un obbligo di proteggere e assistere le popolazioni colpite da disastri naturali, rafforzando così il ruolo degli stati nel fornire protezione a chi è sfollato per motivi climatici.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha interpretato l’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti) in modo ampio per includere la protezione dei migranti quando il loro rimpatrio li esporrebbe a condizioni umane degradanti, come la povertà estrema o le catastrofi ambientali. Anche se non c’è ancora una sentenza esplicita sui migranti climatici, questa giurisprudenza potrebbe essere rilevante in futuri casi.
In Italia, una delle sentenze che ha trattato la questione dei migranti climatici, pur non menzionandoli esplicitamente, è la sentenza n. 194 del 2019 della Corte Costituzionale, che ha esaminato il caso di un cittadino straniero cui era stata negata la protezione umanitaria. La Corte ha stabilito che la protezione può essere concessa non solo per ragioni di persecuzione politica o per pericolo immediato di vita, ma anche in situazioni dove le condizioni generali del paese di origine, inclusi fattori ambientali, rendono la vita insostenibile. Anche se la sentenza non si riferisce specificamente ai migranti climatici, apre la strada a un’interpretazione più ampia delle cause di protezione umanitaria.
Nel 2021, il Tribunale di Milano ha riconosciuto il diritto di soggiorno per motivi umanitari a un cittadino del Bangladesh, tenendo conto delle difficili condizioni ambientali nel suo paese d’origine, aggravate dal cambiamento climatico. Anche se il caso riguardava soprattutto condizioni socio-economiche, il riconoscimento dei fattori ambientali come causa di vulnerabilità è significativo.
Anche se non esiste una protezione giuridica specifica per i migranti climatici, alcune sentenze stanno aprendo la strada per l’interpretazione delle leggi esistenti in modo da includere anche coloro che migrano a causa di catastrofi ambientali legate ai cambiamenti climatici. Le decisioni dei tribunali nazionali, delle organizzazioni internazionali come l’ONU e delle corti europee indicano che la protezione dei migranti climatici potrebbe evolversi in futuro, soprattutto con l’aggravarsi degli impatti climatici. Negli ultimi anni, diversi organismi internazionali, tra cui le Nazioni Unite, hanno iniziato a riconoscere l’importanza di affrontare la migrazione climatica. In particolare, il Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration e il Global Compact on Refugees offrono un framework per migliorare la gestione della migrazione, inclusa quella indotta dal clima.
Il diritto d’asilo è un principio giuridico che permette a una persona di cercare protezione in un altro paese a causa di persecuzioni temute nel proprio paese d’origine. È una forma di protezione internazionale che dovrebbe essere garantita a chiunque ne faccia richiesta. Garantire un diritto d’asilo formale e chiaro è fondamentale per proteggere i diritti umani. Ogni individuo ha diritto a cercare asilo e a ricevere una protezione adeguata dalle persecuzioni.
Un sistema di asilo chiaro non solo protegge i diritti umani, ma favorisce anche l’integrazione sociale ed economica dei migranti. Un asilo ben gestito può contribuire alla crescita economica e alla diversità culturale della società ospitante. In questo quadro, la questione dei migranti climatici rappresenta una delle sfide più urgenti del nostro tempo. Con le previsioni di un ulteriore aumento degli eventi climatici estremi e dei cambiamenti ambientali, è fondamentale che la comunità internazionale sviluppi strategie per riconoscere e proteggere i diritti dei migranti climatici. Ciò include l’elaborazione di politiche che affrontino le cause alla radice della migrazione climatica, la creazione di un quadro giuridico adeguato e la promozione di iniziative di integrazione e supporto per coloro che sono costretti a lasciare le loro case. La necessità di prevedere un diritto d’asilo chiaro e accessibile nella legislazione italiana ed europea è imperativa. Con l’aumento dei flussi migratori e le sfide ambientali crescenti, è fondamentale che i diritti umani siano tutelati e che venga fornita una protezione adeguata a tutti coloro che ne hanno bisogno.
È certamente tempo di riformare le normative attuali ma per garantire un futuro giusto e sostenibile per i migranti, anche quelli climatici, e per le società che li ospitano.
Giuseppe d’Ippolito