La Corte Costituzionale ha emesso il 14/11/24 una sentenza importante sulla legge n. 86 del 2024, riguardante l’autonomia differenziata delle regioni italiane. La sentenza, la n. 192/2024, depositata il 3 dicembre scorso, ha evidenziato diverse questioni di incostituzionalità nella legge, che attua l’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, riconoscendo forme e condizioni particolari di autonomia alle regioni a statuto ordinario. I principali punti critici rilevati dalla Corte: la legge è stata considerata carente nella definizione di criteri chiari per stabilire i LEP (Livelli Essenziali delle Prestazioni). La Corte ha ritenuto incostituzionale il ricorso a decreti del Presidente del Consiglio per determinare o aggiornare i LEP, limitando il ruolo del Parlamento. In secondo luogo, la possibilità di modificare le aliquote dei tributi erariali attraverso decreti interministeriali è stata giudicata problematica, poiché potrebbe premiare regioni inefficienti. Infine, l’autonomia differenziata deve rispettare il principio di sussidiarietà e non compromettere i vincoli di solidarietà e unità della Repubblica. La Corte ha stabilito che spetta al Parlamento correggere i punti critici individuati, garantendo il rispetto dei principi costituzionali e la funzionalità della legge. Questo potrebbe allungare i tempi per l’attuazione dell’autonomia differenziata e influenzare altre iniziative, come il referendum abrogativo già promosso da alcune organizzazioni e partiti e che, il 12 dicembre scorso, l’Ufficio Centrale per il Referendum presso la Corte di Cassazione ha ritenuto, in prima istanza, globalmente ammissibile, in attesa del pronunciamento della Corte Costituzionale, che dovrà esprimersi sull’ammissibilità del quesito entro il 20 gennaio 2025 (la Corte di Cassazione ha il compito di verificare la regolarità della raccolta delle firme e della procedura legale preliminare mentre la Corte Costituzionale, è l’organo competente a decidere sull’ammissibilità dei quesiti referendari dal punto di vista della loro conformità costituzionale).
“Quanto mi scoccia aver sempre ragione” disse il personaggio di Ian Malcolm nel film Jurassic Park, diretto da Steven Spielberg. In quella scena, il paleontologo, interpretato da Jeff Goldblum, esprimeva con ironia e un tocco di sarcasmo la sua frustrazione per aver avuto ragione riguardo ai pericoli di creare un parco di dinosauri, nonostante gli altri personaggi, come il fondatore John Hammond, fossero inizialmente convinti che tutto sarebbe andato per il meglio. La battuta si inserisce nel contesto del film quando Malcolm cerca di mettere in guardia gli altri dal fallimento imminente del parco, anticipando con il suo atteggiamento critico e disincantato le tragiche conseguenze che seguiranno.
Devo confessare la mia vanità e il pizzico di immodestia, ma è esattamente questo il pensiero che ho avuto leggendo, lo scorso 3 dicembre, le motivazioni della Corte Costituzionale nel bocciare, seppur parzialmente, la legge 86/2024 nota come legge sull’autonomia differenziata. Non ho potuto fare a meno di ripensare a quanto da me scritto il 22 maggio di quest’anno nell’articolo, su questo portale, “Autonomia differenziata e spezzatino climatico” (qui).
Scrivevo, perdonatemi l’autocitazione, a proposito del previsto trasferimento delle competenze ambientali:
“Ma la tutela ambientale e dell’ecosistema è stata, nel 2022, elevata al rango di principio fondamentale costituzionale (art.9 Costituzione) da osservare anche nell’interesse delle future generazioni. Per questo sono già in molti a dubitare che essa possa essere regionalizzata con margini di differenziazione, suscettibili di derogare alle scelte del Parlamento nazionale. Ma c’è di più. È di tutta evidenza che la tutela dell’ambiente, della natura e degli ecosistemi non può essere ristretta in limiti territoriali. Come se si pretendesse che le alluvioni non superino le frontiere di una singola regione o che i corsi d’acqua abbiano confini delimitati e protetti, per evitare che un’esondazione causata dalla mancata prevenzione in un territorio ne coinvolga altri (peraltro, la stessa protezione civile è materia che si vorrebbe decentrare). O come se la Lombardia pensasse di risolvere da sola il problema dell’inquinamento dell’aria da polveri sottili confinando la circolazione extraregionale dei venti. E ancora, dalla tutela dell’ambiente dipende la politica climatica che potrebbe diventare non più competenza centralizzata ma affidata ai venti singoli enti territoriali, immaginando come possibile un vero e proprio spezzatino climatico. Le politiche ambientali e climatiche sono questioni globali, che richiedono una cooperazione e una concertazione tra gli Stati e tra i continenti e non si può ipotizzare di decentralizzare decisioni fondamentali per la vita del pianeta, in venti diversi centri decisionali.”
In merito, ha scritto la Corte Costituzionale, dando conferma autorevole alle mie parole:
“Per quanto riguarda la «tutela dell’ambiente», si tratta di una materia in cui predominano le regolamentazioni dell’Unione europea e le previsioni dei trattati internazionali, dalle quali scaturiscono obblighi per lo Stato membro che, in linea di principio, mal si prestano ad adempimenti frammentati sul territorio, anche perché le politiche e gli interventi legislativi in questa materia hanno normalmente effetti di spill-over sui territori contigui, rendendo, in linea di massima, inadeguata la ripartizione su base territoriale delle relative funzioni. La pervasività della disciplina eurounitaria nella suddetta materia trova il suo fondamento nell’art. 11 TFUE [Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea – n.d.a.], secondo cui le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni dell’Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile. Inoltre, l’ambiente è attribuito alla competenza concorrente dell’Unione (art. 4, comma 2, TFUE), e pertanto lo Stato può intervenire solamente fino a quando l’Unione non abbia esercitato la sua competenza normativa. Competenza che, in questo ambito, è stata esercitata in modo assai ampio”.
La recente sentenza rappresenta un momento cruciale nel dibattito sull’equilibrio tra autonomia regionale e salvaguardia dell’unità giuridica e politica del Paese. La Corte ha esaminato in particolare le implicazioni del trasferimento di competenze alle Regioni, incluse quelle legate alla tutela ambientale, e ha sottolineato la necessità di garantire il rispetto dei principi costituzionali fondamentali, come l’unità della Repubblica e la solidarietà tra i territori.
La Corte ha ribadito che la tutela dell’ambiente è considerata un principio fondamentale (articolo 9 della Costituzione) e una competenza esclusiva dello Stato (articolo 117, secondo comma, lettera s, della Costituzione). Questo principio si basa sulla natura trasversale e unitaria delle politiche ambientali, che riguardano interessi collettivi di livello nazionale e internazionale. L’ambiente, infatti, non è confinabile entro i limiti amministrativi regionali: fenomeni come l’inquinamento atmosferico, la gestione delle risorse idriche o la protezione della biodiversità richiedono interventi coordinati e visioni d’insieme.
Il trasferimento di competenze legislative e amministrative in questo ambito avrebbe compromesso l’uniformità normativa. La frammentazione della disciplina ambientale su base regionale avrebbe creato disuguaglianze territoriali, generando confusione per cittadini e imprese.
E poi la semplice (ma ignorata) considerazione che l’Italia è vincolata da impegni europei e internazionali, come il raggiungimento degli obiettivi climatici o la protezione delle aree naturali tutelate. La gestione decentralizzata avrebbe compromesso l’adempimento di tali obblighi. Le regioni potrebbero privilegiare iniziative economiche e infrastrutturali a danno della tutela ambientale.
Un altro punto critico individuato dalla Corte riguarda l’assenza di criteri chiari e definiti per i LEP, che sono indispensabili per garantire una parità di diritti e servizi su tutto il territorio nazionale. La tutela ambientale, essendo strettamente collegata ai diritti fondamentali (salute, qualità della vita), deve rientrare in una cornice di garanzie uniformi. La mancata definizione dei LEP si sarebbe tradotta in una tutela ambientale disomogenea, con regioni più ricche che avrebbero goduto di standard più elevati rispetto a quelle economicamente svantaggiate.
La Corte ha quindi richiamato i vincoli di solidarietà nazionale (articolo 5 della Costituzione), sottolineando che qualsiasi delega di competenze non deve compromettere l’unità della Repubblica. La tutela ambientale rappresenta un elemento centrale di coesione nazionale e internazionale: frammentarla significherebbe ridurre la capacità dello Stato di agire come garante dell’interesse collettivo.
La Corte ribadisce che beni collettivi fondamentali, come l’ambiente, non possono essere oggetto di una logica meramente localistica o di concorrenza tra Regioni. Il mantenimento di un coordinamento centrale è essenziale per assicurare la protezione degli interessi sovraregionali e per evitare che le Regioni competano al ribasso in ambiti come le politiche ambientali. La sentenza sottolinea che il modello di autonomia differenziata deve essere compatibile con gli obiettivi di sviluppo sostenibile e con la necessità di un approccio sistemico alla protezione del territorio.
Al netto di tutte le altre rilevantissime questioni che, chi vorrà, potrà leggere nelle integrali motivazioni (qui), la Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità degli articoli 1 co.2; 2 co.1-2; 3 co.1-2-3-4-5-6-7-8-9-10; 4 co.1; 8 co.2; 9 co.4; 11 co.2; della legge n. 86 del 2024.
La decisione della Corte Costituzionale invita a un equilibrio tra le esigenze di autonomia e i principi di solidarietà e unità. In materia ambientale, la sentenza riafferma il ruolo centrale dello Stato come garante della tutela di beni comuni e diritti fondamentali.
Questo approccio rafforza la necessità di un quadro normativo unico e coerente, capace di affrontare le sfide ambientali in modo integrato e inclusivo.
Giuseppe d’Ippolito