Le prospettive per i prezzi del gas nel 2025 indicano una tendenza verso una progressiva crescita rispetto ai livelli del 2024, con alcune variabili chiave da considerare: la domanda di gas naturale liquefatto (GNL) continua a crescere, soprattutto in Asia e in Europa, spingendo i prezzi verso l’alto. L’Europa dipende sempre più dalle importazioni di GNL per sostituire il gas russo, il che può portare a un aumento della competitività sui mercati globali. Gli stoccaggi di gas in Europa al momento sono elevati, ma i consumi stagionali e le incertezze geopolitiche potrebbero svuotarli rapidamente, aumentando la pressione sui prezzi. Il ruolo del gas naturale come combustibile di transizione nella decarbonizzazione dell’energia rimane centrale, sostenendo la domanda e quindi i prezzi. Inverni rigidi o estati calde aumenteranno la domanda di gas per riscaldamento e raffreddamento, incidendo sui prezzi. Eventuali tensioni nei principali paesi produttori o rotte di transito (come il Medio Oriente o il Nord Africa) potrebbero destabilizzare i mercati e causare picchi di prezzo. Secondo Trading Economics, il prezzo del gas naturale europeo potrebbe oscillare tra 47-50 EUR/MWh nel 2025. Questa stima tiene conto della ripresa economica e di una maggiore competizione per le forniture di GNL. Negli Stati Uniti, il prezzo medio potrebbe salire a circa 3,20 dollari per mmBtu, un aumento del 44% rispetto alla media del 2024, secondo le proiezioni di Reuters. La transizione verso energie rinnovabili ridurrebbe la domanda di gas, influendo sui prezzi a medio-lungo termine. Gli accordi di lungo termine per il GNL potrebbero stabilizzare il mercato. Le dinamiche economiche globali potrebbero influenzare il potere d’acquisto e i consumi. La situazione resta fluida, ma è chiaro che il 2025 vedrà una pressione al rialzo sui prezzi, bilanciata dalla disponibilità di nuove infrastrutture di GNL e dall’evoluzione della domanda globale.
“Essere alla canna del gas” è un’espressione della lingua italiana dal significato simile a “essere alla frutta”, indicando che si è arrivati ad una situazione limite. Tra il tragico ed il grottesco, rappresenta una disperazione tale per cui non esistono sostanziali alternative a porvi fine, se non attraverso un gesto disperato: respirare gas, attaccandosi al tubo di emissione. Naturalmente, per porre in atto questa iniziativa estrema sarebbe necessario disporre agevolmente del gas necessario. Il paradosso della situazione europea, italiana in particolare, è che persino questa possibilità estrema potrebbe essere negata per assenza di disponibilità del gas, o costare troppo cara per poterla attuare.
Le ultime previsioni dei rincari vedono il prezzo medio di questa materia prima schizzare nel corso di questo nuovo anno dai 35 € del 2024 ai 50 € per Megawatt. Un rincaro che è coinciso con la dichiarazione di chiusura della fornitura russa che ancora lasciava passare combustibile, sia pure in quantità minima – ma essenziale – per l’equilibrio del sistema di forniture a medio lungo termine. I due fatti mettono in evidenza gli aspetti chiave del problema: quello tecnico e quello economico, ponendo entrambi problemi di natura complessa: ambientale, finanziaria, sociale, geopolitica.
La produzione del gas differisce da quella di altri prodotti, anche simili: il fluido scorre ininterrottamente e la maggiore o minore fornitura è fortemente limitata dalla portata delle tubazioni e dai tempi di costruzione di nuove vie di passaggio. Il sistema delle reti è il meno inquinante ed il più efficiente tra quelli a disposizione, specie se si realizzano gasdotti sottomarini, privi di stazioni di pompaggio intermedie, notevoli fonti di dispersione del gas. In alternativa, funziona l’approvvigionamento con il GNL (Gas Naturale Liquefatto) che si basa sull’estrazione del metano attraverso il fracking e sul trasporto del gas su nave. Questo avviene attraverso alcune fasi delicate, molto inquinanti e pericolose per i luoghi interessati dalla estrazione e dal passaggio del gas: l’estrazione dal suolo con consumo di acqua esorbitante e danni consistenti alla geomorfologia del sito a cui segue processo di liquefazione, trasporto e rigassificazione del metano, passaggi che avvengono con alti consumi energetici e perdite notevoli di prodotto.
Come si vede, se si ha l’obiettivo di sostituire in toto il fornitore russo, i fattori limitanti sono molti e superabili solo dopo molti anni, attuando una specifica politica di transizione. Perché non è possibile la sostituzione rapida? Perché non ci sono a disposizione navi in numero sufficiente per il trasporto del gas (che andranno costruite), impianti necessari alla rigassificazione (che andranno localizzati e predisposti), tubazioni di portata superiore per costruire gasdotti alternativi (fattore che limita l’aumento delle forniture dei Paesi referenti sostitutivi). E poi c’è un problema di mercato, perché sostituire il gas naturale con il GNL porterà gli USA ad essere il futuro fornitore unico all’intera Europa, permettendogli così di ottenere un vantaggio politico ed economico superiore a quello del dopoguerra. Se aggiungiamo che, in base alle dichiarazioni fatte dal presidente Zelensky, la pace giungerà attraverso un compromesso che ridurrà i territori sotto controllo ucraino, la UE risulta essere anche la reale sconfitta di questa guerra e si troverà a pagare costi di cui beneficeranno gli USA, fornitori dell’energia per la rinascita.
Sostituire la Russia non sarà semplice e sarà possibile solo nel tempo; la UE dovrà dotarsi di strumenti atti a impedire che le transazioni tra la domanda e l’offerta di gas si trovino in condizioni limite. Se i prezzi aumentano, le regole di mercato ci dicono che le condizioni limite sono state superate ed è necessario ripristinarle. Ma oggi, dopo l’aumento di prezzo di ben oltre il 30%, questi fatti non risultano verificati: la domanda è stabile e le riserve che gli Stati della UE hanno provveduto a mantenere (in base ad un pacchetto di regolamenti UE varati dal 2022 in poi) sono a un buon livello Fattori che gli analisti non giustificano come sufficienti a causare l’aumento dei prezzi, data anche la situazione dei mercati in sostanziale equilibrio in questa fase ed attribuendo le fluttuazioni alla incertezza della guerra in corso in Ucraina.
A impedire un controllo dei prezzi è la struttura stessa del mercato che in Europa si fonda sugli hub del gas, nati come strumento di sicurezza per bilanciare i volumi nella rete su base giornaliera. Le contrattazioni, che avvengono con un numero crescente di partecipanti e di volumi contrattati, si realizzano nelle “borse del gas”, strutture regolamentate e con prodotti standard, o con il sistema OTC (Over the Counter), che funziona attraverso l’intermediazione di broker o bilateralmente tra acquirenti e venditori. Il sistema ormai prevalente è quello di borsa, dove le contrattazioni in quella olandese (TTF) hanno assunto un ruolo fondamentale di orientamento e volume, e che si realizzano attraverso l’impiego di classici strumenti e/o prodotti finanziari: futures, forward, opzioni e swap. È facile pensare che, in presenza di una guerra, il gioco di borsa segua più le dichiarazioni dei principali attori politici che non gli indicatori economici e commerciali fondamentali. Se si vuole agire sul prezzo è necessario regolamentare le contrattazioni di borsa o sottrarre ad esse la quota dei consumi domestici. Ma la divisione ulteriore dei mercati e la formazione di ulteriori passaggi commerciali dagli hub alla distribuzione locale, rendono quasi impensabile una contrattazione in grado di impedire che le speculazioni di borsa pesino sul prezzo al consumo.
In tale quadro risulta ancora più incomprensibile la richiesta di rallentare la transizione ecologica e con essa il passaggio all’impiego di energie alternative, inserendo in essa, con un ruolo strategico, l’utilizzo dell’idrogeno. Oggi, con le strutture create per avviare in Europa il mercato del gas, la possibilità di incidere sui prezzi dipende quasi totalmente da fattori esterni al mercato stesso. I prezzi che si spuntano attualmente, privi di riferimenti ai fondamentali, sono il segno che la frammentazione attuata e la creazione nella filiera di fasi di monopolio controllate dai governi, non giovano e non fungono da regolatori de sistema. Persino i più accaniti fautori del libero mercato hanno dovuto ammettere che la speculazione la fa da padrone ed è in grado di condizionare gli andamenti del prezzo in modo quasi indisturbato. Cosa potrebbero fare i consumatori per sottrarsi ad un destino che sembra ineluttabile: l’aumento esponenziale di questo prodotto?
Il mercato del gas è strettamente incrociato con il mercato delle altre fonti energetiche ed è una creazione sostanzialmente europea, dato che il continente è il punto di riferimento per la formazione del prezzo e per la trattativa. Si tratterebbe di lavorare per la creazione di un mercato unico dell’energia, con un fondo che consenta di stabilizzarne le fluttuazioni.
Paradossalmente, il contratto con la Russia garantiva non solo la stabilità degli approvvigionamenti ma anche la stabilità dei prezzi di molti settori industriali che nel gas hanno la fonte energetica di base (manifattura, logistica, agroalimentare, ceramica, metallurgia), impedendo che le notevoli variazioni di prezzo si ritorcessero contro i consumatori non solo direttamente, ma anche attraverso l’aumento di tutti i beni di consumo provenienti dai settori più sensibili.
E poi teniamo conto della guerra, prima fonte di instabilità politica e sociale. La guerra che sembrava allontanarsi, si mostra con il suo volto: la distruzione di beni e ricchezza per poi ricostruirli ed accumulare altra ricchezza a danno delle persone dell’ambiente. Non sembra ci sia altra logica nel sistematico attacco che nella guerra in Ucraina hanno subito le centrali elettriche e nucleari, la rete di distribuzione, i depositi di materia prima, con la sofferenza di milioni di persone. Il sabotaggio ai due oleodotti Nord Stream 1 e 2, accertata la loro matrice ucraina, ha messo in evidenza come un gesto apparentemente favorevole alla politica di rottura delle relazioni con Mosca che consentiva lo svincolo dal consumo di gas russo, si sia trasformato nello strumento per mettere in ginocchio dal punto di vista degli approvvigionamenti, con la contemporanea distruzione dell’ambiente, un sistema economico come quello comunitario.
Il libero mercato non si sostiene con gli embarghi, tantomeno con le guerre, ma con la partecipazione di tutti gli attori attivi, con la trasparenza delle transazioni e il loro controllo.
Gianfranco Laccone, agronomo, presidenza nazionale ACU Associazione Consumatori Utenti