Los Angeles e le aree circostanti sono state teatro di devastanti incendi negli ultimi mesi, aggravati da condizioni climatiche estreme e fattori umani. Gli eventi, iniziati a dicembre 2024 e proseguiti fino a gennaio 2025, hanno causato danni ingenti e messo a dura prova le capacità di risposta delle autorità locali. A dicembre 2024, un prolungato periodo di siccità, unito a temperature elevate e venti intensi, ha creato un ambiente altamente infiammabile nella California meridionale. Il primo grande incendio, noto come Palisades Fire, è scoppiato nel lussuoso quartiere di Pacific Palisades, distruggendo case e costringendo migliaia di residenti a evacuare. Questo evento ha dato il via a una serie di roghi che si sono rapidamente propagati in altre aree, tra cui la San Fernando Valley e Altadena. In questo mese, le fiamme hanno raggiunto proporzioni ancora più gravi. Il San Fernando Fire ha devastato vasti tratti di vegetazione e minacciato importanti infrastrutture. Complessivamente, sono stati segnalati almeno 25 decessi, con più di 150.000 persone evacuate dalle loro abitazioni. Le perdite economiche sono stimate in oltre 250 miliardi di dollari, comprendendo la distruzione di proprietà e l’impatto sulle attività economiche. Gli esperti indicano che una combinazione di fattori climatici e umani ha contribuito alla gravità degli incendi. La prolungata siccità ha reso la vegetazione altamente combustibile, mentre i venti di Santa Ana hanno favorito la rapida diffusione delle fiamme. Alcuni roghi sono stati attribuiti a comportamenti negligenti o deliberati, come l’accensione di fuochi in aree vietate. Le autorità hanno dichiarato lo stato di emergenza, mobilitando migliaia di vigili del fuoco e forze dell’ordine. Sono stati istituiti centri di accoglienza per gli sfollati, mentre squadre aeree hanno utilizzato elicotteri e aerei cisterna per combattere le fiamme. Il governo federale ha autorizzato fondi straordinari per supportare le operazioni di soccorso e la ricostruzione. Gli incendi hanno avuto un impatto devastante sull’ambiente, distruggendo habitat naturali e compromettendo la biodiversità della regione. L’emissione di fumo e particolato ha peggiorato la qualità dell’aria, causando problemi respiratori alla popolazione.
Tutti pensano, illogicamente, che all’inizio del nuovo anno le cose debbano andare meglio. A riportarci con i piedi per terra sono le cronache quotidiane ed il disastroso incendio di Los Angeles che ci mostra il volto del cambiamento climatico: improvvisi venti impetuosi di lunga durata, clima secco e alta concentrazione di materiale infiammabile (soprattutto di origine umana) ottengono lo stesso risultato che nei romanzi di fantascienza avrebbe ottenuto un attacco degli alieni con palle di fuoco indirizzate verso alcune aree del pianeta. Per fortuna, possiamo risalire alle reali cause di ciò che abbiamo visto nelle immagini apocalittiche e, anche se alcune di esse sono indipendenti dalla nostra volontà, dobbiamo sconsolatamente sottolineare che nella maggior parte sono il risultato delle nostre azioni: il disastro non è avvenuto per volontà divine, ma per le azioni condotte dagli uomini, come anche alcune immagini satellitari sembrano avvalorare.
Nella distribuzione sul territorio, gli effetti di un incendio su vasta scala, senza la presenza di grandi fattori di rischio innescati dall’uomo, non sarebbero stati così forti. Se aggiungiamo che in queste aree colpite dagli incendi si concentrano alcuni simboli della nostra civiltà, simboli che danno forza al nostro immaginario collettivo come è il cinema, la conquista del west, la California come terra promessa dalle grandi opportunità e Los Angeles come il simbolo del futuro tecnologico e sede dell’industria che genera tutto questo, allora possiamo capire l’inquietudine che un tale disastro assume agli occhi di tutti.
Si tratta di un fatto che assume il valore dell’incendio nella Roma dell’imperatore Nerone che viene ricordato, apparentemente in modo inspiegabile, accanto ad eventi ben più importanti e nefasti come le guerre puniche (durate alcune centinaia di anni) o il periodo – anch’esso di durata plurisecolare – dei “regni combattenti” nell’antica Cina. Con più forza delle immagini della autodistruzione della centrale nucleare di Chernobyl o della guerra in medio-oriente, quelle del grande rogo di Los Angeles entrano nelle nostre vite e ne condizionano l’immaginario. Cosa possiamo fare per eliminare questo rischio? Siamo veramente noi la causa di tutto questo? Hanno ragione quelli che dicono che il cambiamento climatico non esiste e sarebbe meglio pensare a migliorarci a vita con nuove tecnologie?
In realtà l’incendio ci pone seri problemi di sicurezza (non di quel genere usualmente utilizzato per raccattare consenso elettorale), poiché la California è fra i territori che hanno ricevuto maggiori investimenti e maggiore regolamentazione per la lotta al cambiamento climatico. Come si è potuto verificare qualcosa di incontrollabile? Credo sia necessario rimettere in discussione tutti i concetti di sicurezza legati a fattori tecnologici e alla capacità di fare previsioni attraverso l’aumento di dati disponibili: a cosa ci potrà servire sapere che tra pochi minuti o tra qualche giorno ci sarà un uragano, se non abbiamo luoghi dove rifugiarci?
Perché più di una sconfitta militare, il “fuoco amico” (chiedo scusa per l’uso dell’espressione) che ha incendiato la California ha colpito il senso del progresso industriale e la logica dello sviluppo. La capitale del futuro ha visto bruciare i luoghi -simbolo dell’immaginario collettivo e della ricchezza del pianeta.
Il primo aspetto da sottolineare è “l’interclassismo” del disastro che ha colpito non solo le zone povere della città ma anche quelle degli ultraricchi che, quindi, hanno visto svanire in fumo i costosi simboli del benessere individuale. Non a caso Trump ci ha tenuto a sottolineare che “tante belle case sono andate in fumo”, facendone conseguire un attacco agli ambientalisti che privilegiano l’ambiente all’uomo. Il prevedibile e conseguente scontro politico generatosi tra repubblicani e democratici negli USA, ricorda molto quello tra i polli di Renzo nel romanzo del Manzoni “I promessi sposi”, che si beccano tra loro nel trasporto ma sono destinati alla stessa fine, piuttosto di quello tra due diverse concezioni della tutela dei viventi o, almeno, del genere umano. Bisogna capire quanto, se e come si sia riusciti a coordinare le diverse forze presenti sul territorio per fronteggiare un’emergenza. Perché la presenza di pompieri ingaggiati privatamente, forze federali e soccorsi della contea con volontari organizzati o semplicemente disponibili sono il simbolo della dispersione e non della potenza statunitense messa a disposizione della popolazione. Certo, gli USA utilizzeranno tutti i mezzi economici necessari a garantire la ricostruzione della propria immagine ma il loro prezzo sarà molto alto. A differenza della eruzione del Vesuvio che distrusse Ercolano e Pompei, luoghi di vita opulenta della società, ma non simboli dell’impero della antica Roma, abbandonate al loro destino ove la vita si ricostruì diversamente ed ai margini del territorio disastrato, questo incendio restituirà ai posteri solo cenere e nessuna immagine della vita precedente, ricca o povera che fosse.
Il successivo aspetto è che una società fondata sullo sviluppo industriale e sul benessere perseguito individualmente, necessità di sempre maggiori quantità di energia e di sempre maggiori controlli per consentire di ricostruire ciò che si è perso, continuando a sostenerne il consumo. A differenza di ciò che si crede, la società industriale fondata sul sistema capitalistico è meno flessibile e più esposta ai mutamenti climatici delle precedenti società o delle altre, perché basa la propria struttura sul mantenimento costante di tutti i fattori che la generano. Costruire in altri luoghi diversi da quelli incendiati o pensare di ridurre i fattori che possono generare rischi dovrebbe portare a ridurre alcuni input come consumare meno energia soprattutto in modo inutile e pericoloso come si suppone siano i fuochi d’artificio, aiutando piante ed animali a coadiuvare la resilienza; o anche rallentare i fattori di destabilizzazione del sistema. Ma il processo di crescita economica che abbiamo costruito vede in questi disastri una opportunità per nuovi investimenti e nuovi affari: difficilmente si darà priorità a strumenti che evitino queste situazioni.
Infine vi è l’aspetto relativo alla cooperazione tra i diversi viventi o, almeno, alla migliore conoscenza di essi che è necessaria per orientarsi sul futuro del pianeta. Senza cooperazione, in natura, non è possibile l’attività biologica perché anche nei meccanismi che noi classifichiamo come antagonisti, esiste un livello di necessaria cooperazione che li genera. Occorre imparare a cooperare meglio con le altre specie, innanzitutto quelle animali. Gli animali, dotati di diversi percettori della realtà – talvolta più ampi, che spesso ci sfuggono, sono in grado di darci segnali che possono aiutarci molto a percepire e prevenire situazioni di emergenza, nonché a insegnarci con i loro comportamenti ad essere più “resilienti”.
Ma è soprattutto il mondo vegetale che può insegnarci molto, dato che al mutamento delle condizioni ambientali non è in grado di reagire fuggendo come fanno gli animali ma trovando delle soluzioni adatte alla propria natura in base ai mutamenti in corso. Lo studio delle diverse specie vegetali e della loro capacità di resilienza e di resistenza ci ha fatto capire cose incredibili, tra esse una tra tutte: la cooperazione e lo scambio di informazioni tra vegetali e ambiente è costante nel tempo e le informazioni che si aggiungono non sono solo utili all’archivio ma servono ad aggiornare costantemente le condizioni di vita. Le piante, al contrario di noi, non cercano di fermare le condizioni nel tempo, cercano la soluzione adatta ad ogni tempo. Dovremmo imparare a costruire la nostra sicurezza sapendo salvaguardare gli elementi essenziali alla comunicazione con gli altri ed alla elaborazione ed utilizzo delle informazioni ottenute per riadattarvi costantemente all’habitat in cui viviamo. Oggi i dati e le banche dati sono proprietà di qualcuno e vengono mantenuti segreti il più possibile: come pensiamo di costruire il futuro se chi sa più di noi non mette a disposizione la sua conoscenza, anzi si appropria della nostra per pensare in qualche modo di avvantaggiarsene?
Se non si realizzerà una grande capacità di cooperazione e di trasparenza mettendo a disposizione il sapere raggiunto e favorendo la collaborazione tra tutti/e, la ricostruzione dall’incendio sarà un grande affare per molti ma non servirà a evitare che simili episodi si sviluppino sempre più in un prossimo futuro.
Buon anno!
Gianfranco Laccone, agronomo, presidenza nazionale ACU Associazione Consumatori Utenti