
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha recentemente emesso una sentenza che condanna l’Italia per la sua gestione della crisi ambientale nella cosiddetta “Terra dei Fuochi”, un’area compresa tra le province di Napoli e Caserta tristemente nota per l’inquinamento derivante dallo smaltimento illecito di rifiuti tossici, spesso attraverso incendi dolosi, che ha comportato gravi conseguenze per la salute pubblica e l’ambiente. Nonostante le autorità italiane fossero a conoscenza della situazione da decenni, la Corte ha rilevato una mancanza di interventi efficaci per proteggere la popolazione locale. L’espressione “Terra dei Fuochi” è diventata di uso comune per indicare l’area compresa tra le province di Napoli e Caserta, caratterizzata per decenni da sversamenti illegali di rifiuti tossici e incendi dolosi di rifiuti. La definizione si riferisce ai numerosi roghi di rifiuti appiccati nelle campagne e nelle periferie, spesso di notte, per bruciare scarti industriali e materiali plastici, rilasciando nell’aria sostanze altamente tossiche ed è stata usata per la prima volta in un rapporto ufficiale del 2003, redatto dall’Esercito Italiano nell’ambito delle attività di monitoraggio del territorio durante la crisi dei rifiuti in Campania. Il rapporto descriveva come, a causa della presenza di discariche abusive, il territorio fosse costantemente segnato da colonne di fumo nero provenienti dai roghi di rifiuti. Il termine ha poi ottenuto grande notorietà grazie a Roberto Saviano, che lo ha utilizzato nei suoi scritti e in interventi pubblici per descrivere la situazione ambientale della Campania, legandola alle attività della criminalità organizzata.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è pronunciata lo scorso 31 gennaio, a seguito di un ricorso presentato da cittadini campani che lamentavano gravi danni alla salute derivanti dalla contaminazione ambientale e dall’inerzia delle autorità italiane nella bonifica della cosiddetta Terra dei Fuochi. Il ricorso si basava sulla violazione dell’Articolo 2 (diritto alla vita) e dell’Articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Questa sentenza rappresenta un punto di svolta nel riconoscimento della responsabilità statale nella tutela della salute pubblica e dell’ambiente e la condanna dell’Italia comporta il riconoscimento della responsabilità statale ed è finalizzata a costringere il governo ad accelerare le attività di bonifica, oltre a prevedere risarcimenti per le vittime.
Cosa si è fatto in Italia
La crisi ambientale della Terra dei Fuochi ha radici profonde che risalgono agli anni ‘80 e ‘90, quando la criminalità organizzata, in particolare il clan dei Casalesi, iniziò a gestire lo smaltimento illecito di rifiuti tossici provenienti da industrie del Nord Italia e di altri paesi europei. Negli anni 2000 il fenomeno assume proporzioni allarmanti. Medici e attivisti denunciano l’aumento esponenziale di tumori e malformazioni congenite nelle aree colpite. La pubblicazione delle dichiarazioni del pentito Carmine Schiavone nel 2013 conferma la gravità della situazione.
Ma i primi interventi normativi risalgono solo al 2008 (Governo Berlusconi IV) con la dichiarazione dello stato di emergenza e l’avvio di controlli straordinari sulle discariche e una prima mappatura dei terreni contaminati. Nel 2013 vengono rese pubbliche le dichiarazioni del pentito Schiavone (video, sotto) e prende corpo la mobilitazione della società civile. Il governo Monti nel 2013 dispone l’avvio delle indagini epidemiologiche ufficiali e favorisce maggiore trasparenza sulle cause dell’inquinamento. Nel 2014 (Governo Letta) c’è il riconoscimento ufficiale della crisi ambientale e viene approvata una legge specifica (la legge 6 febbraio 2014, n. 6) sulla Terra dei Fuochi che introduce misure di monitoraggio ambientale e sanitario, oltre a prevedere l’impiego dell’esercito per presidiare le aree più critiche. Successivamente, con i governi Renzi e Gentiloni (2014-2018) vengono implementate le misure di bonifica e intensificati i controlli sui rifiuti. I governi Conte I e II (2018-2021) stanziano nuove risorse per le bonifiche e rafforzano le sanzioni per i crimini ambientali. Infine, il governo Draghi (2021-2022) rinnova l’ impegno europeo sulla questione ambientale.
Il procedimento davanti la CEDU
Nel procedimento dinanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) riguardante la Terra dei Fuochi, il governo italiano ha presentato diverse argomentazioni a propria difesa. In particolare, ha sostenuto che le autorità avevano adottato misure per affrontare l’inquinamento, come l’introduzione di nuove normative per contrastare i reati ambientali. Tuttavia, la Corte ha rilevato che molte indagini si sono concluse senza condanne a causa della prescrizione.
Inoltre, il governo ha sollevato obiezioni riguardo alla legittimazione dei ricorrenti, sostenendo che alcune associazioni non erano “direttamente interessate” dalle presunte violazioni e che mancavano di legittimazione ad agire per conto dei loro membri. La CEDU ha accolto parzialmente queste obiezioni, rigettando i ricorsi delle associazioni e di alcuni individui per mancanza di prove sufficienti che dimostrassero la loro residenza nelle aree interessate dall’inquinamento.
Nonostante queste difese, la Corte ha stabilito che lo Stato italiano non ha affrontato la situazione con la necessaria diligenza e rapidità, pur essendo a conoscenza del problema da molti anni. In particolare, ha evidenziato carenze nella valutazione del problema, nella prevenzione della sua continuazione e nella comunicazione al pubblico interessato e, nonostante il rafforzamento della normativa, le bonifiche procedono lentamente.
Le principali accuse all’Italia
1. Ritardo nell’azione concreta
Le misure adottate dallo Stato, pur esistendo, sono spesso arrivate troppo tardi rispetto alla gravità della situazione. La contaminazione del suolo e delle falde acquifere era già avanzata quando sono state avviate le bonifiche. L’inerzia politica e burocratica ha fatto sì che il problema venisse affrontato con decenni di ritardo, quando i danni erano ormai irreversibili per molte aree.
2. Inefficienza nell’attuazione delle misure
Molti decreti e leggi, come la Legge 6/2014 sulla Terra dei Fuochi, hanno previsto interventi di bonifica, monitoraggio e controllo, ma l’attuazione pratica è stata lenta e inefficace. Per esempio: i fondi stanziati per la bonifica sono stati spesso sottoutilizzati o bloccati dalla burocrazia; le mappature dei terreni inquinati hanno richiesto anni e non hanno portato a un risanamento immediato; il contrasto ai roghi tossici ha avuto momenti di intensificazione, ma non ha eliminato il fenomeno.
3. Persistenza della criminalità ambientale
Nonostante le operazioni di polizia e l’introduzione del reato di disastro ambientale, la camorra ha continuato a gestire lo smaltimento illecito di rifiuti, dimostrando che lo Stato non è riuscito a smantellare completamente il sistema illegale.
4. Aumento dei danni alla salute pubblica
Mentre la politica discuteva e approvava leggi, la popolazione ha continuato a morire di tumore e malattie respiratorie legate all’inquinamento. Questo ha rafforzato la percezione di un’assenza di intervento efficace. I dati epidemiologici hanno confermato che l’incidenza di certe patologie è molto più alta nelle zone più contaminate.
La condanna della CEDU
La sentenza della CEDU rappresenta una svolta fondamentale nella battaglia per il riconoscimento della responsabilità dello Stato italiano nella crisi della Terra dei Fuochi. Se da un lato vi sono stati tentativi legislativi e operativi per contrastare il fenomeno, dall’altro la lentezza delle bonifiche e la persistenza dell’inquinamento dimostrano che il problema non è ancora risolto. La condanna impone un’accelerazione degli interventi per garantire la tutela della salute pubblica e dell’ambiente, evitando che tragedie simili si ripetano in futuro.
La Corte ha stabilito che lo Stato italiano ha violato gli articoli 2 (diritto alla vita) e 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, evidenziando una grave negligenza nell’affrontare l’inquinamento causato dallo smaltimento illegale di rifiuti nelle province di Napoli e Caserta.
La sentenza sottolinea che il governo italiano non ha dimostrato di aver affrontato il problema con la diligenza richiesta dalla gravità della situazione, né di aver adottato tutte le misure necessarie per proteggere la vita dei cittadini coinvolti.
In risposta, la CEDU ha indicato una serie di misure che l’Italia deve adottare entro due anni.
Elaborazione di una strategia globale: lo Stato è tenuto a sviluppare un piano complessivo che integri tutte le misure esistenti e future a livello nazionale e locale per affrontare efficacemente l’inquinamento nella “Terra dei Fuochi”.
Istituzione di un meccanismo di monitoraggio indipendente: è necessaria la creazione di un organismo autonomo che vigili sull’attuazione e sull’efficacia delle misure adottate, garantendo trasparenza e responsabilità.
Creazione di una piattaforma informativa pubblica: si deve realizzare una piattaforma accessibile al pubblico contenente tutte le informazioni rilevanti sulla situazione ambientale della zona e sulle iniziative intraprese per contrastare l’inquinamento, con aggiornamenti periodici.
La decisione della CEDU richiama l’attenzione sulla necessità di un cambiamento strutturale nell’approccio alle problematiche ambientali in Italia. È essenziale che le autorità italiane non solo rispettino le indicazioni della Corte, ma adottino anche una prospettiva proattiva nella prevenzione di future violazioni, garantendo una gestione sostenibile dell’ambiente e la tutela dei diritti fondamentali dei cittadini. Nonostante le denunce e gli interventi legislativi, la situazione non è ancora completamente risolta, e la recente condanna della CEDU dimostra che lo Stato italiano deve ancora garantire piena tutela ambientale e sanitaria per le popolazioni colpite.
Questa sentenza non solo rappresenta una condanna per l’inerzia dello Stato italiano, ma stabilisce anche un precedente significativo per la tutela dei diritti umani in contesti di degrado ambientale. Evidenzia l’obbligo degli Stati di proteggere la salute e la vita dei cittadini dalle minacce ambientali, sottolineando l’importanza di interventi tempestivi ed efficaci rilevando che la protezione dell’ambiente è indissolubilmente legata alla tutela dei diritti umani e che l’inazione di fronte a emergenze ambientali costituisce una violazione inaccettabile dei diritti fondamentali.
Giuseppe d’Ippolito