Si sono tenute a Roma (23/26 marzo) due iniziative complementari su di un unico tema: “Agricoltura è” e “Expocook”. Se per la prima iniziativa il tema e l’intenzione sono espliciti – fare una vetrina del top della gamma di prodotti italiani -, la seconda è arrivata nella capitale dopo otto anni di realizzazione a Palermo per creare “un evento fieristico dedicato al mondo dell’hotellerie, della ristorazione, del catering, dell’enogastronomia ed oggi anche dell’alimentazione sostenibile. Quest’anno, infatti, il tema centrale sarà la sovranità alimentare, un concetto che sta acquisendo sempre più rilevanza nel dibattito pubblico e nelle politiche agroalimentari internazionali.” Posizionati in due luoghi dell’Urbe (la ristorazione, alla Fiera di Roma sulla strada per l’aeroporto di Fiumicino, l’altro in piazza della Repubblica) essi simboleggiano il senso e l’immagine che si vuole dare alla nostra agricoltura: non uno strumento di produzione unico, che si realizza in Italia, un luogo pedo climatico particolarmente favorito con il sapere accumulato in secoli di lavoro e di incrocio di tradizioni ed esperienze, ma uno strumento al servizio delle capacità produttive e commerciali, in grado di dare immagine e identità a chi ne gestisce l‘attività. Così nel cuore di Roma, a due passi dalla stazione Termini e dal palazzo dell’agricoltura sede del ministero omonimo, ora detto anche Ministero della “sovranità alimentare”, è stato montato il villaggio che mostrava gli alimenti delle diverse cucine regionali italiane con corredo di prodotti tipici e piatti ad alto livello preparati da chef italiani citati nella guida Michelin – la Bibbia della gastronomia -, con relativa degustazione nei luoghi appositamente attrezzati per l’occasione. Questa parte ad uso e consumo degli ospiti politici di alto grado e di scolaresche erranti, mentre le strutture del turismo nell’altra sede davano corpo alla dimensione commerciale.

 

 

Ho partecipato e sono intervenuto in decine di manifestazioni di questo genere durante la mia vita lavorativa e il giudizio l’ho sempre formulato, ovviamente, in base agli obiettivi iniziali e all’andamento dell’evento, ma anche considerando la situazione dell’agricoltura e gli obiettivi dell’amministrazione.
Oggi, da consumatore cosciente e cittadino attento ai mutamenti climatici, resto incerto sul senso di questa iniziativa che dietro la luccicante facciata non ha chiarito gli obiettivi e gli strumenti necessari a mantenere in vita tutto ciò che è stato messo in mostra. Perché il problema attuale è proprio questo: come faremo a continuare a produrre alimenti di qualità (tali erano quelli messi in mostra) in presenza dei mutamenti climatici e di quelli geopolitici che coinvolgono anche il nostro Paese? Anche perché l’immagine di felice Paese che vive a lungo perché mangia bene, e di un’agricoltura lanciata verso un futuro di successi non è esattamente quello che vedo camminando per l’Italia.
Dei problemi che coinvolgono produttori e consumatori non vi è traccia e il malessere che serpeggia in campo agricolo si è mostrato solo attraverso la contestazione fatta al Ministro Lollobrigida ed al Commissario europeo Fitto da alcuni agricoltori che – giustamente – ritengono il reddito prodotto dal settore agricolo unicamente a vantaggio della parte industriale e commerciale della filiera alimentare. Aggiungo che per quanto riguarda i consumatori tanto cibo di qualità messo in mostra non coincide esattamente con quello consumato dagli italiani. Per sincerarsene basta guardare i dati relativi all’aumento degli obesi e delle malattie cardiovascolari tra gli adulti, delle allergie e delle intolleranze nell’infanzia dei gravi disturbi come anoressia e bulimia. Come si pensa di contrastare – soprattutto nelle fasce giovanili – la diffusione di stili di vita che vedono anche in Italia un aumento del junk food (cibo spazzatura) e dello street food (un modo di alimentarsi in piedi e veloce che non è certo molto salutare)?

Se a questi problemi non si poteva certamente pretendere la risposta dall’evento glamour messo in piedi, la presenza all’iniziativa del neo Commissario europeo per l’agricoltura Mr. Hansen poteva invece servire per chiedere qualcosa di concreto per le prospettive della nostra agricoltura nella nuova politica agricola comunitaria (PAC). Il recente documento varato dalla Commissione di Bruxelles che propone le linee per la riforma della PAC sino al 2040 non offre chiare prospettive e concreti orizzonti al settore, in particolare per l’agricoltura italiana che, più delle altre, è costituita da prodotti locali con un potenziale qualitativo molto alto, su territori difficili e soggetti a facile erosione, con superfici coltivate di dimensione ridotta rispetto a quella di altri Paesi comunitari e con l’alta produttività per unità di superficie, spesso ai massimi mondiali, minata dalla siccità e dagli sbalzi climatici. Il documento redatto a Bruxelles sostenuto da voci autorevoli di settore in Italia ritiene prioritari per il futuro della PAC obiettivi quali l’aumento della produzione e la riduzione della burocrazia di settore. Ma una recente indagine sociologica condotta in Italia da un istituto europeo indicava come problema prioritario tra gli agricoltori intervistati il cambiamento climatico (e le sue conseguenze) seguito da quello economico, e solo successivamente quello della produttività, relegando all’ultimo posto quello della cosiddetta burocrazia.

Lo sottolineo perché questi aspetti dovrebbero spingere a prendere seriamente in considerazione la tutela del territorio, considerata con sospetto dal mondo agricolo; l’amministrazione e le principali organizzazioni agricole, al contrario, spingono gli agricoltori a ritenersi gli unici legittimati a tutelare il territorio attraverso pratiche agricole standardizzate (di dubbia efficacia dinanzi ai mutamenti climatici). La tutela ambientale e la rigenerazione del terreno sono viste più come una mania da “ambientalisti” che come una reale necessità. Si tratta di pregiudizi destinati ad amare smentite in un prossimo futuro quando, modificate le maglie dei controlli e ridotta la messa a riposo dei terreni agricoli, si capirà meglio che più quantità si produce e più il prezzo del prodotto finale si abbasserà, anche perché i terreni messi a riposo non sono quasi mai quelli più produttivi. Quanto costerà produrre un quintale in più di grano su terreni scarsamente produttivi, oggi considerati “aree verdi”, e che, senza le lavorazioni “da produzione”, ricevono lo stesso contributo comunitario dei terreni più validi? Certo è che, con i prezzi dei concimi e degli antiparassitari in costante salita, le lavorazioni non costerebbero meno se fatte su terreni meno produttivi.

Tramonto su un idilliaco prato di fattoria, bellezza naturale generata dall'intelligenza artificialeC’è un equivoco di fondo che vede le statistiche economiche dichiarare il settore in crescita, voce sostenuta dal coro delle grandi organizzazioni agricole, mentre le statistiche ambientali e i commenti degli agricoltori parlano di stato di profonda crisi in quasi tutti i settori, tanto da spingere taluni a chiedere la promulgazione dello “stato di crisi” a livello nazionale. In realtà le statistiche tengono conto del valore complessivo, condizionate dal valore dell’esportazione (in aumento) più che di quello delle quantità (in riduzione). Le parole del presidente di Confagricoltura Giansanti (ora presidente dell’associazione a livello comunitario, COPA-COGECA), sono state chiare con l’esaltazione delle esportazioni italiane e della loro affermazione nel mondo, offrendo un’interpretazione più vera della “sovranità alimentare” (italiana), sinonimo di conquista dei mercati (almeno quelli medio-alti) attraverso l’immagine del prodotto di migliore qualità e della cucina, buona per eccellenza: in parole povere, la nostra sovranità su quella altrui. Ma vorrei che si dicesse se questo orizzonte sarà ancora sereno con l’avanzare della guerra commerciale a livello globale e con la concomitanza dell’embargo sulle produzioni russe e dell’ingresso dell’Ucraina nell’area comunitaria. Se la soluzione prospettata è quella di accordi come quello trattato con il Mercosur, inviterei le autorità a non considerare più le contestazioni con la sufficienza sino ad ora dimostrata.

I grandi assenti dalla kermesse di Roma, accanto ai piccoli e medi agricoltori italiani sempre più in difficoltà per la crisi economica (non vedo come le piccole e medie imprese di un settore possano salvarsi dalla tendenza generale dell’industria italiana), sono proprio i consumatori che la crisi spinge verso l’unico risparmio praticabile per i ceti medio-bassi: quello alimentare. Verso di essi sarebbe necessaria l’alleanza; essa unificherebbe gli agricoltori italiani oggi divisi, orgogliosamente, in agricolture regionali con rivendicazioni diverse. Ma tutte le diverse agricolture sono affette dai medesimi problemi che hanno i consumatori in tutta Italia: il prezzo dei prodotti acquistati e la loro qualità. Affrontare questi problemi permetterebbe la risalita ai problemi di tutti, costituiti dai servizi (reti, sanità, infrastrutture) in gran parte assenti e dall’energia che con la fine del mercato tutelato ha scoperto l’enorme problema della “povertà energetica” comune a tutti i settori e in tutti i territori.
Se penso ad una nuova PAC, penso ad una PAC che tratti di questi problemi del territorio, che veda nella produzione e consumo locale di input, a partire da quello energetico per passare all’utilizzo dell’acqua e dei rifiuti, la chiave per consentire la risalita del mercato nazionale che langue e il consumo di prodotti del territorio. I Paesi stabili hanno sempre privilegiato il mercato interno ed il consumo dei prodotti nazionali prima di favorire le esportazioni. I Paesi che nel mondo non esportano le eccedenze, ma eliminano produzioni necessarie per sviluppare le esportazioni, sono Paesi in eterna crisi. Sono Paesi ricchi di risorse ma eternamente poveri, che alla fine sono costretti ad esportare anche il lavoro e le persone.

Bellissimo mercato di strada al tramontoL’Italia del dopoguerra, favorendo il mercato interno e l’accordo per un’area comunitaria, bloccò questa emorragia; ora si è ritornati su di una strada – quella della bilancia commerciale in attivo – che prelude ad un flusso verso l’esterno di prodotti e di persone ed ad un afflusso di prodotti di qualità inferiore a buon mercato, assieme ad un flusso di speculatori per l’acquisto di beni (soprattutto beni immobili), stimolati dal debito pubblico e dal basso reddito diffuso. Con buona pace del territorio e del clima.
Come recitavano le strofe finali della canzone di De Gregori, I muscoli del capitano, dedicata al capitano del Titanic:
“In questa notte elettrica e veloce
In questa croce di Novecento
Il futuro è una palla di cannone accesa
E noi la stiamo quasi raggiungendo
E il capitano dice al mozzo di bordo
“Signor mozzo, io non vedo niente”
C’è solo un po’ di nebbia che annuncia il sole
Andiamo avanti tranquillamente.

Gianfranco Laccone, agronomo, presidenza nazionale ACU Associazione Consumatori Utenti

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