Recentemente, South Pole, un’azienda globale specializzata in soluzioni per il clima e la sostenibilità, ha reso pubblico un interessante rapporto. South Pole, fondata nel 2006 in Svizzera, si occupa di supportare aziende, governi e organizzazioni nel loro percorso verso la neutralità climatica, offrendo servizi di consulenza, sviluppo di progetti di riduzione delle emissioni e certificazione di crediti di carbonio. Nel proprio rapporto intitolato “Net Zero and Beyond”( in questa pagina trovate il link al rapporto), si evidenzia una tendenza emergente definita “greenhushing”, ovvero la scelta da parte di alcune aziende di non divulgare pubblicamente i propri obiettivi climatici allineati alla scienza. Secondo un’indagine condotta su oltre 1.200 aziende in 12 paesi, quasi un quarto delle organizzazioni intervistate ha deciso di non rendere pubblici i propri traguardi climatici oltre quanto richiesto dalle normative. Questo comportamento solleva preoccupazioni significative, poiché la mancata comunicazione dei progressi rende più difficile scrutinare e valutare l’efficacia delle strategie climatiche aziendali. Inoltre, limita la condivisione delle conoscenze sulla decarbonizzazione, potenzialmente portando a obiettivi meno ambiziosi e a opportunità mancate di collaborazione tra settori per affrontare il cambiamento climatico. Il rapporto di South Pole identifica diverse cause del fenomeno del greenhushing che qui di seguito saranno illustrate con le conseguenze che esse producono.

 

 

Negli ultimi anni, le aziende si sono trovate a navigare in un panorama sempre più complesso per quanto riguarda la comunicazione della sostenibilità. Il fenomeno del greenhushing, ovvero la scelta di non divulgare gli sforzi ambientali per evitare critiche o accuse di greenwashing (la falsa rappresentazioni di qualità ambientali in realtà inesistenti), è emerso come una tendenza preoccupante. L’ultimo rapporto di South Pole evidenzia come questa pratica stia crescendo, influenzata dall’incertezza normativa in Europa e dalla crescente ostilità politica nei confronti delle politiche climatiche, specialmente negli Stati Uniti, sotto la nuova amministrazione di Donald Trump. Le principali ragioni per cui alcune aziende scelgono di non comunicare i loro impegni climatici partono, innanzitutto dal timore di accuse di greenwashing. Molte aziende temono di essere criticate o accusate di pratiche ingannevoli (greenwashing), specialmente in un contesto in cui la regolamentazione e l’attenzione pubblica sulle dichiarazioni ambientali sono sempre più rigorose. Con un crescente scrutinio delle dichiarazioni ambientali, molte aziende preferiscono il silenzio piuttosto che rischiare di essere accusate di fare dichiarazioni infondate o esagerate.

Pinocchio per bambini: storia e morale - Nostrofiglio.itMa, il fattore che più sta caratterizzando questi ultimi mesi è l’incertezza normativa. L’evoluzione (o, meglio, l’involuzione) delle normative climatiche e ambientali, specie sui mercati europei e statunitensi, crea incertezza, spingendo le aziende a evitare dichiarazioni pubbliche per paura di non riuscire a rispettare futuri requisiti legali. Le continue revisioni delle regolamentazioni europee, ad esempio come le modifiche ai requisiti della Corporate Sustainability Reporting Directive (CSDR), stanno generando insicurezza tra le aziende su come comunicare in modo conforme. All’attenuazione delle ambizioni del Green Deal in Europa si aggiunge poi il ritorno di una politica negazionista, promossa dagli Stati Uniti, e questi fattori hanno portato molte aziende a rivedere le proprie strategie di sostenibilità, talvolta optando per una minore visibilità. Così, alcune imprese preferiscono comunicare solo internamente i loro obiettivi climatici anche e non solo per evitare potenziali pressioni da parte di investitori, ONG o attivisti. Le aziende temono sempre più di non riuscire a rispettare i target dichiarati e quindi scelgono di non divulgarli per evitare critiche qualora non riuscissero a mantenere le promesse.
Non va neppure nascosto, però, che alcune imprese considerano le proprie strategie climatiche un vantaggio competitivo e scelgono di non rivelarle pubblicamente per non dare informazioni ai concorrenti. Questo comportamento, sebbene mirato a proteggere le aziende, rischia di rallentare la transizione ecologica e di ostacolare la trasparenza necessaria per monitorare i progressi verso la neutralità climatica.

L’incertezza normativa e il ruolo dell’Unione Europea
1. Gren Deal
L’Unione Europea aveva inizialmente impostato un quadro normativo ambizioso con il Green Deal e le direttive sulla rendicontazione ESG (ambientale, sociale e di governance). Tuttavia, recenti decisioni, come l’attenuazione di alcune misure del Green Deal e le incertezze sulla Corporate Sustainability Reporting Directive (CSDR) e sulla Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD), hanno creato un clima di instabilità per le aziende.
Il Green Deal europeo, lanciato nel 2019, mirava a rendere l’Europa il primo continente climaticamente neutro entro il 2050. Tuttavia, negli ultimi mesi, alcune misure chiave sono state ridimensionate o rinviate. Tra i casi più emblematici c’è il rinvio della legge sulla deforestazione. L’UE ha deciso di posticipare l’entrata in vigore della normativa che vieta l’importazione di prodotti legati alla deforestazione, cedendo alle pressioni dei settori agricoli e commerciali.
L’allentamento degli standard sulle emissioni auto (Euro 7) è poi un altro elemento di valutazione. Invece di introdurre limiti stringenti dal 2025, è stata concessa maggiore flessibilità ai produttori di veicoli, rinviando l’adozione di misure più severe per le emissioni di CO₂.
Infine, la ritirata sugli obiettivi di riduzione dei pesticidi. La proposta di dimezzare l’uso dei pesticidi entro il 2030 è stata bocciata dal Parlamento europeo, riflettendo le pressioni del settore agricolo e degli Stati membri più conservatori.
Questi segnali mostrano un evidente rallentamento della politica climatica europea, mettendo in discussione l’impegno dell’UE nella lotta contro il cambiamento climatico. Il pericolo è che l’Europa perda la sua leadership nella transizione ecologica, offrendo il fianco a narrazioni negazioniste e riducendo l’affidabilità delle proprie strategie di sostenibilità.

2. Incertezze sulla Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD): quale trasparenza per le aziende?
La CSRD, entrata in vigore nel 2023, obbliga le aziende europee (e non solo) a fornire report dettagliati sugli impatti ambientali, sociali e di governance (ESG). Tuttavia, l’attuazione della normativa è stata rallentata da dubbi interpretativi e dalla resistenza delle imprese, che lamentano costi elevati e un quadro regolatorio complesso. Le principali criticità includono l’eccesso di burocrazia: molte aziende temono che la CSRD introduca obblighi di reportistica eccessivamente onerosi, senza un chiaro valore aggiunto per gli investitori o i consumatori. Ma sono da considerare anche le divergenze tra Stati membri giacché alcuni governi chiedono un’implementazione più graduale, mentre altri spingono per requisiti più stringenti, creando incertezza tra le imprese.
Se l’UE non riuscirà a chiarire rapidamente gli aspetti più critici della CSRD, c’è il rischio che la normativa venga percepita come un freno piuttosto che un’opportunità per la transizione sostenibile.

3. La Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD): un altro compromesso al ribasso?
La CSDDD, che dovrebbe introdurre obblighi di due diligence sulle catene di approvvigionamento, è un altro dossier controverso. La direttiva punta a responsabilizzare le aziende per i danni ambientali e sociali causati dai loro fornitori, ma la sua attuazione è in stallo a causa di forti opposizioni.
Gli aspetti più controversi riguardano l’esclusione delle PMI. Per ridurre l’impatto burocratico, la direttiva potrebbe applicarsi solo alle grandi aziende, lasciando fuori migliaia di imprese con impatti significativi sulle catene globali di fornitura.
Poi c’è una definizione ambigua di responsabilità. Le aziende chiedono maggiore chiarezza sui criteri di responsabilità per le violazioni ambientali e sociali commesse dai loro fornitori. Infine, alcuni Stati membri stanno spingendo per limitare l’ambito della direttiva, riducendo il numero di aziende coinvolte e gli obblighi di controllo sulle filiere.
Se la CSDDD venisse modificata in una versione troppo annacquata, si rischierebbe di vanificare il suo obiettivo iniziale: garantire una maggiore responsabilità sociale e ambientale delle imprese europee.

Il ruolo degli Stati Uniti e l’impatto della politica di Trump
L’elezione di Donald Trump ha inoltre segnato un cambiamento significativo nelle politiche climatiche globali. Il suo approccio negazionista ha avuto ripercussioni sulle aziende multinazionali che operano tra Europa e Stati Uniti. L’amministrazione del presidente Donald Trump ha intrapreso diverse azioni volte a minimizzare o oscurare la crisi climatica. Ecco le principali misure adottate.
– La rimozione di informazioni dai siti governativi. Numerosi riferimenti al cambiamento climatico sono stati eliminati o declassati dai siti web di dipartimenti governativi chiave, tra cui il Dipartimento della Difesa, il Dipartimento di Stato e la Casa Bianca. Questa operazione ha sollevato preoccupazioni tra gli scienziati, che temono una diminuzione della consapevolezza pubblica riguardo alla crisi climatica.
– Il congelamento dei finanziamenti per l’Inflation Reduction Act (IRA). Tra i primi ordini esecutivi dell’amministrazione Trump vi è stato il blocco dei fondi destinati all’IRA, considerata la più grande mobilitazione di risorse per il clima nella storia degli Stati Uniti. Questo atto ha rallentato l’espansione delle energie rinnovabili nel paese.
– L’uscita dagli Accordi di Parigi. Trump ha formalizzato il ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo sul clima di Parigi, indebolendo gli sforzi internazionali per limitare le emissioni di gas serra e contrastare la crisi climatica.
– La censura delle comunicazioni scientifiche. L’amministrazione ha imposto restrizioni alla comunicazione scientifica riguardante i cambiamenti climatici, limitando la diffusione di informazioni e ostacolando la ricerca indipendente.
– La revoca di finanziamenti internazionali. Il Dipartimento di Stato ha annullato quattro miliardi di dollari di finanziamenti precedentemente promessi al Fondo Verde per il Clima delle Nazioni Unite, riducendo il supporto finanziario internazionale per affrontare la crisi climatica.
– La promozione dei combustibili fossili. Sul fronte interno, Trump ha promosso l’espansione della produzione di petrolio, gas naturale e carbone, criticando le politiche energetiche verdi e favorendo l’industria dei combustibili fossili.

Conseguenze di queste incertezze
L’insieme di questi fattori sta generando un effetto boomerang sulla sostenibilità aziendale in Europa e nel mondo.
Prodotto cosmetico estetico da sogno con sfondo fresco– Disorientamento tra le imprese: le aziende, invece di accelerare la transizione, rimandano gli investimenti per paura di continui cambi normativi.
Perdita di credibilità dell’UE: l’Unione rischia di apparire incoerente, prima imponendo obiettivi ambiziosi e poi ritirandosi sotto la pressione di lobby industriali e politiche.
– Rischio di fuga degli investitori ESG: gli investitori orientati alla sostenibilità potrebbero spostare i capitali verso mercati più stabili e con regolamentazioni più chiare.
Se l’Europa vuole mantenere la leadership nella transizione verde, dovrà fornire un quadro normativo chiaro e stabile, senza cedere troppo facilmente alle pressioni economiche di breve periodo. Solo così potrà evitare il pericoloso effetto domino che minaccia gli obiettivi di sostenibilità a lungo termine.
La promozione dei combustibili fossili come pilastro dell’economia statunitense rappresenta un’inversione di tendenza che ha spinto molte aziende a ridimensionare o a nascondere le proprie politiche di sostenibilità per evitare conflitti con il nuovo quadro politico statunitense. La mancanza di chiarezza sui requisiti futuri sta spingendo ad evitare dichiarazioni pubbliche sul proprio impegno ambientale, temendo di dover rivedere le loro strategie in breve tempo.
Queste azioni riflettono un approccio che tende a minimizzare la gravità della crisi climatica, ostacolando gli sforzi nazionali e internazionali per affrontare efficacemente le sfide ambientali globali.

Prospettive future e l’importanza della comunicazione della sostenibilità
Nonostante le sfide, è fondamentale che le aziende continuino a comunicare i loro impegni ambientali in modo trasparente e credibile. Il greenhushing, sebbene possa sembrare una strategia difensiva nel breve termine, rischia di compromettere la fiducia dei consumatori, degli investitori e degli stakeholder nel lungo periodo. Le imprese devono trovare un equilibrio tra trasparenza e conformità normativa, utilizzando standard internazionali riconosciuti per garantire dichiarazioni affidabili.
L’Europa ha ancora un ruolo chiave nel definire un quadro regolatorio stabile e prevedibile che incoraggi le aziende a essere più aperte sulla loro transizione ecologica. Parallelamente, la società civile e i mercati finanziari devono continuare a premiare le aziende che dimostrano impegni concreti e verificabili in materia di sostenibilità.
Solo con una comunicazione chiara e responsabile sarà possibile mantenere la rotta verso un’economia più verde e resiliente.

Giuseppe d’Ippolito

 

 

 

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