Per una volta la tutela dell’Ambiente e il climate change non
saranno il punto di partenza o le conclusioni dei nostri ragionamenti.
Lo saranno l’Economia e lo sviluppo sociale e i cambiamenti climatici
solo una conseguenza collaterale. Vogliamo, cioè, dimostrare quanto
l’opporsi alla transizione ecologica, al Green New Deal, all’Agenda
2030, alla decarbonizzazione globale al 2050, siano un danno per
quella che un tempo si chiamava economia reale di un paese.
E non il contrario, come una superficiale e aggressiva narrazione
propone da più tempo.
Vorrei provare a ribaltare uno dei teoremi negazionisti più in voga: perseguire gli obiettivi della decarbonizzazione globale contrasta con lo sviluppo economico e sociale italiano. Ricordo, ad esempio, il comizio di circa un anno fa, dell’attuale nostro presidente del Consiglio, a Marbella in sostegno di Vox:” Il Green New Deal ci porterà a perdere migliaia di aziende e milioni di posti di lavoro in Italia e in Europa”. Al contrario è proprio negando il climate chance e contrastando le politiche di adeguamento e mitigazione che si continuano a perdere posti di lavoro, non se ne creano di nuovi e si favorisce il crollo dell’economia, specie nel Belpaese.
Partiamo da uno dei settori che più interessano gli italiani attualmente in vacanza e che li interesseranno ancora di più al momento del rientro al lavoro: la mobilità. Sappiamo tutti che il Regolamento UE prevede che dal 2035 non si potranno più produrre e commercializzare automobili con motori endotermici alimentati a benzina o diesel, ma solo quelle ad alimentazione elettrica. Ora, a parte la continua speculazione su tali combustibili fossili che determinano l’impennata dei prezzi proprio nei momenti più critici, come si sta preparando l’industria dell’automotive?
Nell’ultimo (19 luglio) comunicato dell’ANFIA – Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica si legge (qui) “A giugno, le immatricolazioni di auto ad alimentazione alternativa aumentano del 34,5% e replicano un forte rialzo, in particolare, le auto BEV [auto elettriche con tecnologia Battery Electric Vehicle BEV, alimentate da un motore elettrico a batteria, senza l’utilizzo di combustibili fossili -ndr-] (+55,3%, con il 16,5% di quota; era 12,6% a giugno 2022) e le ibride tradizionali (+33,4% con una quota del 25,2%). A giugno, per la prima volta, la quota delle auto BEV supera quella delle auto diesel (11,8%). Nel complesso, sono state immatricolate 626.841 vetture ibride (di tutti i tipi) ed elettriche, che rappresentano insieme il 49,5% del mercato. Le auto ricaricabili (BEV e PHEV [Plug In Hybrid Electric Vehicle PHEV -ndr-]) raggiungono il 24,4% di quota (308.474 unità)” Ora è evidente che i produttori si stanno progressivamente adeguando all’elettrico ricaricabile e, se lo fanno, è perché cresce la domanda di elettrico nei consumatori, come conferma ANFIA.
Il mercato (il Dio Mercato, direbbe qualcuno) è quindi orientato sulla mobilità elettrica e tutti stanno correndo ad attrezzarsi. Praticamente con dodici anni d’anticipo, quasi la metà del mercato automobilistico è già formato da auto con alimentazione alternativa. Gli unici che sembrano non essersene accorti sono i negazionisti nostrani che non seguono il trend del mercato e non favoriscono le infrastrutture per l’elettrico (colonnine di ricarica, sviluppo delle aziende di componentistica, ricerca su nuovi componenti per le batterie, ecc.) e puntano tutto sul biocarburante o biofuel, un carburante per motori a scoppio tradizionali, ricavato da materie biologiche che contengono amido, zucchero o grasso/olio che, con la combustione, provocano ossido di azoto (NOx) il quale, per essere ridotto, richiede una riprogettazione dei motori diesel, che dovrebbero essere dotati di catalizzatori specifici. Per non parlare delle colture di mais, soia, di semi di rapa, della canna da zucchero o della palma, tutti alimenti commestibili.
Si investe, quindi, nell’automobile tradizionale che negli anni scomparirà (con i lavoratori addetti), si perdono i posti di lavoro legati all’innovazione tecnologica richiesta già oggi dai consumatori e dal mercato (la Ca’ Foscari di Venezia ha calcolato un incremento occupazionale legato all’elettrico del 6%), si perde la creazione di nuovi posti di lavoro nelle nuove attività e nelle iniziative manifatturiere collaterali al servizio di questa filiera. Si favorisce l’industria di altri paesi che si vorrebbe combattere. Si affossa la nostra economia (per non parlare dell’Ambiente).
Consigliamo la lettura del nostro intervento di febbraio scorso (“Stop alle auto inquinanti: verità e bugie sulle auto elettriche” qui). Complimenti!
Cambiamo tema, ma affrontiamone uno sempre di grande interesse per gli italiani: le case green. Il 14 marzo 2023 il Parlamento europeo ha approvato il testo sulla direttiva EPBD (“case green”), un pacchetto di norme proposto dall’Unione Europea finalizzato a promuovere la ristrutturazione degli edifici esistenti e la costruzione di nuovi edifici ad alta efficienza energetica. Si utilizza il termine “case green” proprio per indicare gli immobili con risparmio energetico ed emissioni di gas nocivi pari o vicini allo zero (obiettivo della direttiva UE: ridurre del 55% entro il 2030 le emissioni nocive). La misura UE, votata nell’europarlamento e non ancora definitiva, prevede l’obbligo d’efficientamento energetico degli edifici che dovranno avere, entro il 2030, la classe di prestazione energetica E e, entro il 2033, la D. Apriti cielo! L’Italia s’è messa di traverso, i partiti sovranisti hanno votato contro e il nostro ministro dell’ambiente ha dichiarato: “Gli obiettivi temporali, specie per gli edifici residenziali esistenti, sono ad oggi non raggiungibili per il nostro paese”. Allora acceleriamo, verrebbe da dire. Macché! Meglio bloccare tutto.
Disporre di un’abitazione di buona qualità a un prezzo accessibile è fondamentale per il benessere e la partecipazione sociale di ciascuno. Tuttavia, trovare alloggi a prezzi accessibili sta diventando sempre più complicato. La crisi ha posto un freno alla costruzione di nuove case specie se popolari. In Italia vi è una forte carenza di alloggi sociali e privati in locazione che siano adeguati ed economici (ricordate gli alloggi per gli universitari?). Per le persone senza dimora l’accesso alla casa è quasi inesistente poiché i meccanismi di assegnazione degli alloggi sociali raramente le favoriscono.
Cosa si finge di ignorare, allora, a parte la non definitività del testo di legge? A) L’esenzione dall’obbligo per le seconde case, le case vacanza e quelle che vengono utilizzate per meno di quattro mesi l’anno, nonché per gli immobili di pregio storico o artistico (anche se seconde case e immobili storici, interessano poco le classi sociali più svantaggiate). B) Prevede poi la legge (e questo si che interessa tutti) che gli interventi di ristrutturazione dovranno avvenire con un cospicuo contributo pubblico (le banche si stanno già attrezzando). C) Gli edifici efficientati aumenteranno di molto il loro valore di mercato e, cosa più importante, chi li abita vedrà ridursi la bolletta energetica di almeno dieci volte. In pratica si investe entro i prossimi dieci anni (con forti contributi pubblici) e si ammortizza tutto nei pochi anni successivi e si aumenta stabilmente il proprio valore immobiliare (per non parlare dell’Ambiente). Maggiore efficienza energetica, maggiori risparmi e minore inquinamento.
Ed invece, sono stati appena definanziati tutti gli interventi previsti nel PNRR per la rigenerazione urbana e residenziale, rischio idrogeologico, verde pubblico, ecc. (dal dossier: Le Proposte del Governo per la Revisione del Pnrr e il Capitolo Repower Eu, 31 luglio 2023 pag.25, qui) per un totale di 15,9 miliardi. Quanto incidono sull’occupazione queste modifiche al PNRR? “Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) porterà un rilevante impulso all’occupazione nel settore delle costruzioni, con un aumento stimato di 62mila lavoratori all’anno nel periodo tra il 2023 e il 2026” secondo uno studio condotto dalla Banca d’Italia. Tutti perduti! Tutti sacrificati sull’altare dell’opposizione al Green New Deal. E che dire delle aziende manifatturiere, costola dell’economia italiana, rovinate da eventi alluvionali (vedi Emilia-Romagna), per la cui mitigazione nulla si è fatto e nulla si farà visto che si definanziano tutti gli interventi. Ancora Complimenti!
E potrei continuare con altri esempi: a partire dagli ostacoli allo sviluppo dell’industria nazionale sulle rinnovabili, con la perdita di posti di lavoro in settori innovativi (e il perdurare della dipendenza dal fossile). Dai rischi da subsidenza generati dall’inutile ricerca del gas che non c’è, con la ripresa delle trivellazioni nell’Adriatico e la conseguente perdita di territori. Dalla paventata sommersione di intere regioni costiere, a partire da Venezia, come recentemente segnalato dall’UNESCO, per l’innalzamento dei mari. Dal miope voto contrario dell’Italia alla Nature Restoration Law approvata a Strasburgo e dei conseguenti danni allo sviluppo agricolo, stimati in 12,5 miliardi/anno, anche a causa della mancanza di interventi di mitigazione climatica per l’aumento della temperatura globale.
Sempre per tali mancati interventi, potrei citare, ancora, i danni al sistema economico che ruota intorno al turismo, uno dei fondamentali del PIL nazionale, dai 17 ai 52 miliardi anno, La piattaforma Fewo Direkt, specializzata in case vacanze, fa sapere che la sua clientela è sempre più orientata verso mete turistiche in aree più temperate. La previsione dei grandi tour operator, che in tal senso si stanno attrezzando, è che Scandinavia, Danimarca e Olanda diventeranno mete estive più attraenti dell’Italia.
Potrei aprire il delicato capitolo dei non disinteressati suggeritori.
Ma lo spazio è finito (per ora) e non vorrei aver già troppo turbato le vostre vacanze (per non parlare dell’Ambiente).
Giuseppe d’Ippolito