Gli accordi tra Paesi, già dagli anni Settanta e Ottanta, prevedono rapporti di collaborazione per realizzare un ampio sforzo internazionale per gestire i rifiuti nucleari in modo sicuro e sostenibile, minimizzando i rischi per l’ambiente e la salute pubblica. La legislazione europea impone però che tali rifiuti, quando sono stati trasferiti temporaneamente in altri Stati, devono essere restituiti al paese di origine entro un determinato periodo di tempo stabilito negli accordi bilaterali. Questi accordi sono stati parte di una strategia più ampia dell’Italia per gestire i rifiuti nucleari e il combustibile irraggiato proveniente dalle centrali nucleari dismesse. Con la chiusura delle centrali nucleari italiane a seguito del referendum del 1987, la gestione dei rifiuti nucleari è diventata una priorità, portando alla necessità di trovare soluzioni adeguate al loro trattamento e stoccaggio. L’Italia ha accordi con Gran Bretagna e Francia, sottoscritti e rinnovati nel corso degli anni e a scadenza tra cinque mesi, il 1° gennaio 2025. L’accordo con il Regno Unito è stato stipulato con l’impianto di riprocessamento di Sellafield e prevede il trattamento e il riprocessamento del combustibile nucleare irraggiato proveniente dalle centrali nucleari italiane dismesse. L’accordo con la Francia è stato firmato con l’impianto di riprocessamento di La Hague, gestito da Orano (precedentemente AREVA). Anche in questo caso, l’accordo riguarda il trattamento e il riprocessamento del combustibile nucleare irraggiato. Questi accordi sono stati stipulati per gestire in modo sicuro e controllato i rifiuti nucleari italiani, sfruttando le infrastrutture e le competenze presenti nei due paesi esteri, ma ora occorre pensare al loro rientro e l’Italia, come molti altri paesi, deve affrontare la sfida di trovare soluzioni sostenibili e sicure per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi a lungo termine.
Come se non bastassero le circa 1.400 tonnellate di combustibile nucleare esaurito, i 30.000 metri cubi di rifiuti a bassa attività e le diverse centinaia di metri cubi di rifiuti ad alta attività (dati SOGIN, Società Gestione Impianti Nucleari), che sono temporaneamente stoccati in attesa di una soluzione di smaltimento a lungo termine, altri rifiuti radioattivi (italiani) saranno in arrivo nei prossimi mesi, dall’estero. Nell’intervista concessa al nostro sito a inizio mese, il prof. Gianrossano Giannini aveva già messo l’accento sul fatto che, né nel PNIEC, né nelle dichiarazioni del Ministro dell’Ambiente italiano, si facesse alcun riferimento al problema delle scorie radioattive presenti sul territorio nazionale (“Intervista al prof. Gianrossano Giannini sul nucleare”, 4 luglio 2024, la trovate cliccando qui).
I rifiuti nucleari sono pericolosi principalmente a causa della loro radioattività, che può avere gravi effetti sulla salute umana e sull’ambiente. Le scorie radioattive emettono radiazioni ionizzanti, che possono danneggiare o distruggere le cellule viventi.
Le radiazioni possono causare mutazioni nel DNA delle cellule, aumentando il rischio di cancro; esposizioni elevate e acute alle radiazioni possono causare malattie da radiazioni, che includono nausea, vomito, diarrea, emorragie e danni agli organi interni. Anche esposizioni più basse ma prolungate nel tempo possono aumentare il rischio di tumori, problemi cardiovascolari e altri effetti negativi sulla salute.
Come già abbiamo avuto modo di leggere nell’intervista citata, alcuni isotopi radioattivi presenti nelle scorie nucleari hanno vite molto lunghe, che vanno da centinaia a migliaia di anni. Questo significa che la loro pericolosità rimane per periodi molto lunghi, richiedendo soluzioni di stoccaggio e smaltimento a lungo termine. Ma le scorie radioattive possono anche contaminare l’ambiente se non sono gestite correttamente: possono infiltrarsi nelle falde acquifere, contaminando l’acqua potabile; possono contaminare il suolo, rendendo le aree circostanti inabitabili o inadatte per l’agricoltura; le particelle radioattive possono essere disperse nell’aria, aumentando il rischio di esposizione per la popolazione vicina. E poi esistono vari altri rischi: incidenti durante il trasporto o problemi nei siti di stoccaggio possono portare a rilasci di materiale radioattivo; le scorie radioattive possono rappresentare un rischio per la sicurezza nazionale, poiché, laddove cadessero nelle mani di terroristi, potrebbero essere utilizzate per costruire “bombe sporche“, che disperderebbero materiale radioattivo in un’area vasta, causando panico e contaminazione.
Ecco perché le scorie devono essere immagazzinate in contenitori sicuri e in depositi geologici profondi che devono essere progettati per isolare le scorie radioattive dall’ambiente per migliaia di anni e le strutture di stoccaggio e smaltimento richiedono una sorveglianza continua per garantire che non vi siano perdite o altri problemi richiedendo un impegno a lungo termine da parte di governi, enti regolatori e istituzioni scientifiche. Il prof. Giannini ci ha già raccontato il fallimento, negli Stati Uniti, del deposito a grande profondità di Yucca Mountain, proprio per gli alti costi necessari a garantirne la sicurezza.
L’Italia sta pianificando la costruzione di un Deposito Nazionale per i rifiuti radioattivi, destinato a ospitare i rifiuti a bassa e media attività in modo sicuro e controllato. Nel 2021 è stata pubblicata la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (CNAPI), che individua i siti che potrebbero ospitare il deposito, ma il processo di selezione del sito definitivo è ancora in corso.
Dopo la pubblicazione della CNAPI, è stata avviata una fase di consultazione pubblica per raccogliere osservazioni e proposte da parte delle comunità locali, delle autorità locali e delle altre parti interessate. Sono state organizzate conferenze nazionali per discutere delle osservazioni raccolte durante la consultazione pubblica e per valutare ulteriormente i siti proposti. Ma ancora vengono condotti studi dettagliati di fattibilità e valutazioni d’impatto ambientale per ciascuno dei siti individuati. Scartata l’opzione dell’autocandidatura, avanzata a gennaio e ritirata a marzo dal Comune di Trino, restano sul campo le 51 aree individuate da Sogin, la società pubblica per lo smantellamento della filiera atomica nelle province di Viterbo (che ne conta 22), Alessandria, Matera, Potenza, Bari, Taranto, Oristano, Sud Sardegna e Trapani.
In proposito, ha suscitato molte critiche, che riflettono le preoccupazioni di esperti del settore, associazioni ambientaliste e alcune parti politiche, che chiedono maggiore attenzione e interventi più efficaci per garantire la sicurezza nucleare e la protezione radiologica in Italia, la relazione che l’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin), l’autorità che deve sorvegliare la filiera dell’atomo in Italia, ha consegnato nei giorni scorsi al Parlamento (la trovate cliccando qui). Alcuni critici hanno sottolineato una percepita mancanza di trasparenza nella comunicazione dei rischi associati agli impianti nucleari e ai rifiuti radioattivi. È stato suggerito che l’Isin potrebbe fare di più per informare il pubblico in modo chiaro e comprensibile. E poi la gestione dei rifiuti radioattivi continua a essere un tema sensibile. Le critiche si concentrano sulla lentezza dei progressi nella costruzione di un deposito nazionale sicuro per i rifiuti radioattivi e sulle preoccupazioni riguardo alla sicurezza a lungo termine delle soluzioni attuali.
La scelta del sito definitivo richiederà infatti ulteriori valutazioni tecniche, ambientali e sociali. Il processo includerà la valutazione della sicurezza geologica e della disponibilità delle infrastrutture necessarie. Una volta selezionato il sito, verrà avviata la fase di progettazione dettagliata e successivamente la costruzione del deposito. Questo processo richiederà diversi anni per essere completato e altissimi costi per la successiva gestione. Nel frattempo, i rifiuti radioattivi continuano ad essere stoccati in strutture temporanee appositamente progettate per garantire la sicurezza fino alla realizzazione del Deposito Nazionale.
Adesso, con il rientro delle scorie parcheggiate all’estero sarà come se piovesse sul bagnato perché il processo per la creazione di un deposito nazionale sicuro per le scorie radioattive è -come si diceva- ancora in corso e la realizzazione di tale deposito, pur essendo una priorità, richiede tempo e un impegno significativo per garantire che tutte le misure di sicurezza siano rigorosamente rispettate. “Non abbiamo risolto il problema di dove collocare il deposito delle scorie nucleari. Non abbiamo concluso i lavori di smantellamento delle centrali chiuse dopo il referendum contro l’atomo del 1987. E non abbiamo neanche un piano sul da farsi”, ha scritto Luca Zorloni su Wired.
E ancora qualcuno pensa che il nucleare da fissione sia la soluzione ai problemi energetici del paese.
Hèléne Martin