Prima o poi sarebbe successo, era solo questione di tempo. All’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare con sede a Parma, è arrivata la prima richiesta di autorizzazione per la cosiddetta “carne sintetica”. Si tratta della start-up francese Gourmey, che ha annunciato di aver presentato all’Autorità di regolamentazione Ue una richiesta di autorizzazione per il suo foie gras coltivato. Si tratta del primo caso nell’Unione europea, anche se l’azienda ha presentato la domanda per l’immissione in commercio anche a Singapore, negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Svizzera. (…) La legge Lollobrigida, approvata a grande maggioranza dal Parlamento, vieta la produzione e la vendita della “carne sintetica”. Come è evidente dalle norme comunitaria, qualora il foie gras coltivato -così come ogni altro prodotto cellulare- venisse autorizzato dall’Efsa, il divieto nazionale decadrebbe. Sarebbe, cioè, incompatibile con le norme europee e quindi disapplicabile. (da Il Foglio del 27 luglio 2024)

 

Potremmo dire che l’ora della verità è arrivata anche per la filiera della carne, elemento chiave per ridurre la produzione di CO2 sul pianeta e la distruzione degli habitat naturali. Nella maggior parte dei casi i grandi polmoni verdi del pianeta vengono progressivamente eliminati per impiantare allevamenti intensivi con l’obiettivo di produrre carne. È ovvio che eliminare gli allevamenti intensivi e con essi l’uccisione di milioni di animali, è un obiettivo che l’umanità dovrà perseguire per un corretto rapporto con se stessa ed il pianeta. Come spesso avviene nella vita, i piccoli passi aiutano a comprendere l’insieme del problema e ad avvicinarci all’obiettivo di eliminare la dominazione delle altre specie e di loro asservimento ai nostri scopi.

Quello che è avvenuto in questi giorni nel settore produttivo della carne è un piccolo passo verso la rottura di uno schema che, istituzionalmente, prevede di allevare (contro la loro volontà e spesso in condizione estreme) altri esseri viventi al fine di ucciderli e cibarsene. Infatti, è di alcuni giorni fa l’arrivo all’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) della prima richiesta di autorizzazione per la produzione (e commercializzazione) di carne coltivata, detta da noi con un nomignolo dispregiativo “carne sintetica”. Si tratta di una start up francese che, non a caso, per rompere il muro eretto dalle industrie della filiera della carne a difesa degli enormi interessi che collegano i mercati a monte e a valle degli allevamenti, ha richiesto l’autorizzazione alla produzione di foie gras coltivato.

Il foire gras è una delle produzioni più contestate, a causa della evidente tortura a cui sono sottoposte le povere bestie (oche e anatre) con l’alimentazione forzata; essa avviene attraverso l’iniezione (direttamente nello stomaco) di una miscela a base di mais, effettuata più volte al giorno durante le ultime due o tre settimane di vita che, neanche a dirlo, avviene in gabbie di confinamento. Tutto ciò al fine di giungere a far crescere al loro interno un fegato malato, di dimensioni abnormi, che porterà alla rapida morte degli animali ma al sicuro reddito dei produttori. Una pratica odiosa contro cui più volte si sono sollevate le organizzazioni animaliste, ricevendo ampi consensi e consentendo il divieto della produzione in molti Paesi. Attualmente nella UE questo allevamento è consentito ancora in 5 Paesi (Francia – che produce l’80% del totale di foie gras -, Bulgaria, Spagna, Ungheria e Belgio): tutto ciò nonostante la pratica di alimentazione forzata sia considerata ingiustificabile da buona parte dell’opinione pubblica anche negli stessi paesi produttori.

Anatra che vive la vita nella naturaLa produzione di foie gras può considerarsi il tallone di Achille degli allevamenti e delle filiere produttive di carne perché il mercato, molto particolare e collocato nella parte ricca dei consumi, più che rivolgersi alle “larghe masse” è riservato a nicchie particolari. Per tutti coloro che pensano di modificare radicalmente i metodi produttivi, passando da allevamento di animali in cattività a coltivazione di cellule animali a scopo alimentare, è più facile superare le barriere ideologiche di questo mercato che interessa una fascia ristretta di consumo, giustificato non da esigenze alimentari, ma dall’immagine di ricchezza che evoca in occidente.  In questo caso l’EFSA, che ha sede a Parma, ha la possibilità  di fare una analisi corretta ed equilibrata delle condizioni di coltivazione delle cellule produttrici di carne, prima dell’immissione sul mercato. Più che in altre situazioni, troverebbe un sostegno generale tra i cittadini, permettendo di effettuare una coltivazione con metodi sicuri e rispetto dell’equilibrio ambientale (pochi consumi non inquinanti) in luogo degli odiosi allevamenti intensivi di oche e anatre.

L’innovazione introdotta da questo nuovo metodo produttivo nel settore dell’allevamento, anche se viene fatta passare da molti come una pratica “sconvolgente”, è la prevedibile evoluzione di quella realizzatasi a seguito della scoperta e dell’impiego delle cellule staminali. La riproduzione in vitro di esemplari o di tessuti è una pratica corrente nelle più diverse branche della biologia applicata: perché non in quella della produzione animale? Evidentemente esiste un blocco culturale ed ideologico tra quanti accettano una tradizione di sottomissione degli altri animali, come cosa “normale”, anche per l’intreccio di interessi di mercato e di tradizione patriarcale. Rompere con questa visione è un po’ come non credere più che la terra sia al centro dell’universo.

Questa pratica è un reale mutamento d’orizzonte, anche se non elimina il consumo di tessuti animali dalla nostra alimentazione, come io preferirei si facesse. Qui la figura dell’animale assume caratteristiche diverse dal passato recente in cui la riduzione a cosa delle bestie negli allevamenti industriali era la premessa per il loro impiego e la loro uccisione. In questo caso l’animale deve essere vivo e in buone condizioni di salute; pochi esemplari sarebbero in grado di sostituire le migliaia destinati al mattatoio senza essere condannati necessariamente alla morte. Perché le caratteristiche del prelievo per la coltivazione cambiano secondo il tessuto che intendiamo moltiplicare e solo in alcuni casi l’animale deve subire le conseguenze peggiori, comunque dopo una vita vera e non priva di senso come avviene ora.  La moltiplicazione avverrà in impianti (bioreattori) che richiedono molto meno spazio degli allevamenti, non richiedono particolari zone produttive e possono situarsi a ridosso delle zone di consumo. Tutte caratteristiche che rendono questa produzione particolarmente interessante anche per le grandi imprese oggi impegnate nel commercio di prodotti alimentari a base di carne. Le multinazionali non hanno paura del futuro, ma cercano di impossessarsene e piegarlo ai loro fini.

Io sono per l’introduzione di questo alimento che ritengo più salubre e meno “corruttivo” di quello prodotto negli allevamenti che lo è da un punto di vista alimentare, morale, ambientale, economico. Sarebbe una delle molte vie attraverso cui si inizierebbe a prendere coscienza del ruolo degli animali e della inutilità dell’alimentazione a base carnea.

Spendo solo alcune parole sull’iniziativa del Ministro della sovranità alimentare che ha prodotto una legge che vieta questa produzione, legge definita dal giornale Il Fogliofuffa”. Infatti, il ministro ha vietato un prodotto che non esisteva sul mercato, e che risulta vietato sino a quando non ottiene l’autorizzazione dall’EFSA, ente autonomo, fuori dalla giurisdizione del Ministro, alle cui decisioni il ministro si deve attenere. Amen.

Gianfranco Laccone, agronomo, presidenza nazionale ACU Associazione Consumatori Utenti

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