Nel mese di ottobre, l’Italia ha affrontato una serie di alluvioni e frane che hanno colpito duramente diverse regioni, come la Lombardia, la Liguria, la Toscana e la Calabria. Le intense piogge torrenziali, alimentate da una perturbazione atlantica, hanno causato allagamenti nelle città di Milano, Genova e Lamezia Terme, interruzioni dei trasporti e danni significativi alle infrastrutture. A queste problematiche si sono aggiunti frane e smottamenti che hanno isolato intere comunità in zone collinari e montuose, in particolare nella Liguria e in Piemonte. Uno degli episodi più gravi è stato registrato nel comune di Rossiglione, dove una frana ha bloccato le vie di accesso, causando evacuazioni. Le cause di questi eventi sono state attribuite, da vari esperti climatici, all’aumento della frequenza e intensità dei fenomeni meteorologici estremi, in linea con il cambiamento climatico. Questo sta modificando i pattern atmosferici, rendendo episodi di piogge torrenziali e frane sempre più comuni in Italia e in altre parti d’Europa. Le regioni italiane maggiormente a rischio includono l’Emilia-Romagna, la Toscana, la Campania, il Veneto, la Lombardia e la Liguria. Più di 8 milioni di italiani vivono in zone ad alto rischio idrogeologico. Di questi, quasi 6 milioni risiedono in aree soggette a frane, mentre 2,4 milioni si trovano in zone vulnerabili alle alluvioni. Il governo italiano ha dichiarato lo stato di emergenza e stanziato fondi per far fronte a questi disastri naturali, ma gli esperti continuano a sottolineare la necessità di politiche preventive a lungo termine, piuttosto che rispondere solo in fase emergenziale. Questi eventi sottolineano l’urgenza di adottare misure di adattamento strutturale, come il miglioramento delle infrastrutture di drenaggio e una maggiore protezione delle zone a rischio, al fine di ridurre l’impatto del cambiamento climatico su un territorio già fragile dal punto di vista geomorfologico.

 

Quando leggerete questa breve riflessione probabilmente il problema sollevato dalle ripetute alluvioni, tutte nei medesimi luoghi ove erano avvenute nel recentissimo passato, sarà già relegato nelle pagine interne dei giornali, se non abbandonato del tutto. Sarà stato sommerso dalla inondazione (anch’essa ricorrente) di commenti sui migranti spediti in Albania (16 migranti “clandestini” di cui 4 mandati illegittimamente dal Governo e gli altri rispediti indietro da una sentenza della Corte Europea). Commenti che trasformano una tragica vicenda d’immigrazione in una grottesca partita di andata e ritorno dall’Albania tra articoli che parlano, come in passato, di interpretazioni, cavilli giuridici e scontro tra poteri dello Stato. Per le persone comuni il problema “immigrati” non è prioritario, ma è preceduto da altri ben più importanti: la sanità, la precarietà del lavoro – in genere mal retribuito -, le guerre e, non ultimo, i cambiamenti climatici, su cui l’attenzione dell’opinione pubblica aumenta, e se ne possono ben intuire i motivi. Problemi troppo difficili da risolvere: forse per questo si preferisce parlare di altro. È difficile dire che non ci sia un cambiamento climatico, visto il susseguirsi disordinato di settimane con temperature da Sahel e improvvisi nubifragi con quantità di acqua tali, in poche ore, da compensare i mesi siccitosi trascorsi. Troppa grazia sant’Antonio! Perché al disastro della calura si somma quello dello straripamento dei fiumi (ora detto “esondazione”) e quello dei danni collaterali come il ritorno in superficie dei fiumi “sommersi” dal cemento della moderna urbanistica, cosa che ha stupito molti: a mio avviso, irragionevolmente, perché ingabbiare le acque (e non vederle) è sempre pericoloso.

Il letto del fiume Waal in inverno in una giornata nuvolosa

La stampa italiana ha rilevato che in Romagna è il terzo disastro alluvionale in un anno (o poco più) ed anche noi siamo costretti a ripeterci ancora una volta anche se, facendolo, mi viene in mente il proverbio che ripeteva mia nonna: “a lavare la testa al ciuccio (asino), si perde acqua e sapone!”, cioè è inutile ripetere le medesime cose per fare cambiare opinione a un testardo. E qui i testardi sono molti e diffusi in tutte le strutture, presenti tra governo e opposizione – centrale e locali -, amministratori e politici: tutti uniti dal tentativo, fatto senza idee e costrutto, di salvare il salvabile di una economia industriale decotta che procede, accumulando debiti, a colpi di zero virgola qualcosa di crescita del PIL, tra alluvioni e arretratezza tecnologica, cercando di farci credere che tutto va bene e che le colpe risiedono in un passato lontano non ben identificabile, ad opera di “altri”.

Tanto per non restare nel vago pongo due problemi banali. Il primo riguarda l’impossibilità di arrestare o contenere un liquido senza intervenire sulla sua struttura, cioè l’acqua non può essere “bloccata” se non trasformandola in ghiaccio o vapore (che naturalmente non significa “bloccarla”). Ai percorsi delle acque si deve dare spazio e non è sufficiente quello dei miseri argini tra abitazioni, sia pure alzati in altezza, ma occorre rispettare quello che esisteva prima del grande e caotico sviluppo urbano-industriale, per riportare in margini di probabilità accettabili le piene disastrose, almeno gestibili in tempi di condizioni climatiche “regolari”. Perché molte piogge, che riempiono d’acqua i sottovia e i parcheggi urbani in Italia, non sono frutto di eventi catastrofici ma di inadempienze, di occlusione di tombini, di cattiva o carente manutenzione. Senza tutto ciò la situazione sarebbe men catastrofica e, anche nel peggio, più gestibile. Ora che l’irregolarità dei flussi è diventata la regola, servirebbe dare spazio al corso del fiume, creando alvei più larghi, eliminando cemento e abitazioni dai suoi lati.

Il secondo problema è il senso comune, secondo cui, il fiume è ciò che vediamo nascere dalle montagne e scendere al mare. Invece il corso delle acque ha una natura propria complessa, che occorre vedere in tutte le sue dimensioni: nel sottosuolo, in superficie, nell’atmosfera,  poiché solo così si capisce l’effetto dell’innalzamento delle temperature. Se la terra è più calda le nuvole si condenseranno ad un’altezza superiore e modificheranno l’altitudine e la quantità di pioggia distribuita sulla superficie. Soprattutto nelle zone vicine ai tropici e all’equatore questo significherà fine delle coltivazioni nelle aree sino ad ora fertili, arrivo delle piogge nelle aree prive di vegetazione in grado di trattenerla, scorrimento a valle di acqua e fango, distruzione della vegetazione presente a valle indebolita dallo scarso apporto idrico ricevuto. Ho detto soprattutto, perché non serve guardare i filmati provenienti dal Brasile o dall’Africa per capire gli effetti della diversa distribuzione delle acque: basta vedere quello che succede sulle pendici dell’Appennino in Italia.

Fiume Danubio, Onda, Onda Del DanubioServe ricordarsi delle origini della terra: il pianeta è una palla coperta di acqua proveniente dai gas esterni ad essa con le terre che emergono solo dopo che le acque si sono depositate sul pianeta; l’organizzazione dei flussi, nelle acque e nell’atmosfera esisteva, precedentemente all’emersione delle terre e si è mantenuta anche dopo. Le acque tagliano le montagne e riprendono la loro strada se qualcuno le blocca; dovremmo ricordarci che i loro tempi non sono quelli umani, non conta tra quanto tempo le acque riprenderanno il loro corso, ma conta che questo avverrà se non le assecondiamo.

Per venire al nostro piccolo mondo, fa meraviglia che si attendano ancora oggi aiuti per ricostruire quello che è stato distrutto lì dove esisteva (parlo per tutti gli eventi catastrofici) senza tenere conto delle cause che hanno portato alla distruzione.  Nel parlare della finanziaria emanata, accennavo alla assenza di logica nel non dare priorità ai Piani della lotta al cambiamento climatico; a posteriori, posso dire che lo facevo con una qualche ragione. Non si ha bisogno della sfera di cristallo per capire che, se non si cambiano le priorità d’intervento, l’effetto dei finanziamenti sarà quello di rifinanziare ogni anno l’emergenza negli stessi posti. Ancora di più ci si deve meravigliare per l’assenza di un’azione di revisione totale dei piani operativi del PNRR e di non avere chiamato tutti i responsabili degli uffici tecnici al riesame delle pratiche in corso almeno nei territori alluvionati. Ci si dovrebbe chiedere quanti investimenti necessitano di essere modificati per non avere tenuto in debito conto il cambiamento climatico delle aree d’intervento e perché manca il coordinamento effettivo tra tutti gli investimenti per le infrastrutture. Per fare un piccolo esempio, le ferrovie puntano ad un potenziamento del trasporto merci, ma non vedo nemmeno ipotizzata nei Piani strategici una riduzione parallela del sostegno e delle agevolazioni per il trasporto su gomma. Si continuano ad acquistare (e a produrre) camion a gasolio e si cerca di allargare le strade in cui dovrebbero transitare, senza iniziative finanziarie che rendano conveniente il trasporto in ferrovia.

Colonia, Alluvione, Piovere, Centro

Lo stesso discorso vale per il trasporto urbano con mezzi pubblici e/o collettivi; non parliamo del settore edilizio con l’affossamento dell’unica iniziativa (il bonus 110%) che, invece, si sarà costretti riprendere, anche se in altre forme, per adeguare la massa del patrimonio edilizio alle nuove condizioni ambientali.
Sarebbe ora che le persone dotate di buonsenso trovino le strade per far valere un minimo discorso di tutela della propria vita e di quella dei figli e spingano alla revisione dei piani di intervento e di investimento locali in maniera sostenibile. Come si spende il danaro del PNRR non è solo un problema relativo agli anni d’intervento, ma è il problema delle prossime generazioni. La loro vita sarà condizionata dagli effetti di questa spesa, come lo fu quella della mia generazione dagli interventi straordinari degli anni Sessanta. Se si vuole invertire la rotta che porta all’emergenza ad ogni temporale, deve iniziare l’opera di autocritica a partire dalle realtà locali, portando alla de-cementificazione del territorio.

Può sembrare utopistico dirlo nel Paese degli abusi edilizi e dei condoni, ma non c’è altra via. Più passa il tempo e più dolorosa sarà la revisione da effettuare.

Gianfranco Laccone, agronomo, presidenza nazionale ACU Associazione Consumatori Utenti

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