La recente Direttiva UE sulla qualità dell’aria, approvata dal Consiglio il 14 ottobre 2024, rappresenta un progresso sostanziale per la protezione ambientale, introducendo norme avanzate sull’accesso alla giustizia per i cittadini e le organizzazioni ambientaliste. Gli articoli 27 e 28 della direttiva ampliano il diritto a ricorsi amministrativi e giudiziari per violazioni delle norme, promuovendo la partecipazione attiva di individui e associazioni nel controllo delle misure di attuazione. In particolare, la direttiva consente a chi possiede un interesse sufficiente, incluse le organizzazioni sanitarie e ambientali, di intervenire nei casi di inosservanza degli obblighi di tutela della qualità dell’aria da parte degli Stati membri, con procedure che devono essere eque, tempestive e accessibili in termini economici. La nuova normativa prevede inoltre un sistema di sanzioni adeguate contro i trasgressori delle disposizioni, incluse misure compensative per i cittadini la cui salute è stata danneggiata da violazioni intenzionali o reiterate degli standard di qualità dell’aria. L’implementazione di tali disposizioni richiede agli Stati membri di mantenere un efficace quadro di sanzioni che tenga conto della gravità delle violazioni e dei benefici economici derivanti dal mancato rispetto delle norme. Ma bisognerà pur sempre aspettare il recepimento interno nel quale possono nascondersi insidie e trabocchetti.
Leggo di numerosi progetti sulla giustizia climatica e ambientale, così come di giudizi introdotti con il tentativo di raggiungere la condanna dello Stato o enti italiani, o loro rappresentanti, che purtroppo finora non hanno raggiunto obiettivi significativi sia dal punto di vista dei singoli coinvolti che da quello dell’ambiente e del clima. Ora le nuove norme europee, da ultimo la Direttiva sulla qualità dell’aria approvata il 14 ottobre scorso, introducono e affermano tra i propri obiettivi, il diritto dei singoli e dei gruppi all’accesso alla giustizia, apparendo come una garanzia per il successo dei relativi prossimi contenziosi giuridici.
Ma ahimè all’occhio del giurista non è tutto così semplice e scontato. Le disposizioni che ci interessano sono pur sempre delle “Direttive” che, come è noto, richiedono una trasposizione nel diritto nazionale cioè, richiedono agli Stati membri di adottare misure nazionali per raggiungere gli obiettivi stabiliti. In Italia, ciò avviene tramite leggi nazionali che devono essere emanate entro il termine stabilito dalla direttiva. Questo processo di trasposizione è fondamentale per l’efficacia della direttiva, poiché senza di esso la norma non può essere applicata. Ciò a differenza dei “Regolamenti” che sono direttamente applicabili in tutti gli Stati membri, inclusa l’Italia, senza bisogno di alcuna trasposizione interna. Solo alcune direttive possono avere un’efficacia diretta, il che significa che i cittadini possono invocarle direttamente nei procedimenti giuridici. Ma, affinché una direttiva abbia un’efficacia diretta, deve essere chiara, precisa e incondizionata (la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che i cittadini possono fare affidamento su disposizioni di direttive non attuate o mal attuate, solo a condizione che rispettino questi criteri). Ma non è questo il caso delle direttive che si occupano di accesso alla giustizia. Esse svolgono il loro ruolo nell’armonizzazione, nella promozione della responsabilità e nella protezione dei diritti fondamentali per il funzionamento dell’Unione Europea, stabilendo regole specifiche e anche principi di diritto che orientano le legislazioni nazionali. Ma pur sempre rinviano ai legislatori dei singoli Stati di stabilire procedure e procedimenti da cui, in molti casi, dipende l’efficacia dei principi. Direi anche che i recepimenti interni delle direttive, almeno nel nostro caso, possono depotenziare di gran lunga gli obiettivi di tutela dei diritti oggetto di tutela dalla direttiva, rendendoli del tutto nulli o inapplicabili.
Chiarirò questi concetti riferendomi proprio alla “Directive of the European Parliament and of the Council on ambient air quality and cleaner air for Europe”, approvata il 14 ottobre scorso che richiederà, entro i successivi due anni dalla sua pubblicazione (ancora non avvenuta), una norma nazionale che la trasponga (recepisca) nel diritto interno. La Direttiva dedica tutto il Chapter VII (artt. da 27 a 29) allo “Access to justice, compensation and penalties”. Si afferma, all’art.27 che “Gli Stati membri provvedono affinché, conformemente al loro ordinamento giuridico nazionale, i soggetti interessati abbiano accesso a una procedura di ricorso dinanzi a un organo giurisdizionale o a un altro organo indipendente e imparziale istituito dalla legge, per contestare la legittimità sostanziale o procedurale di tutte le decisioni, atti o omissioni degli Stati membri riguardanti” i piani d’azione e le tabelle di marcia per raggiungere la qualità dell’aria (art.19) e le attività di monitoraggio, dettagliatamente previste negli allegati. Ancora, all’art.28: “Gli Stati membri provvedono affinché le persone fisiche che subiscono danni alla salute umana a causa di una violazione delle norme nazionali di recepimento (…) della presente direttiva, commessa intenzionalmente o per negligenza dalle autorità competenti abbiano il diritto di chiedere e ottenere il risarcimento di tale danno”. Considerato lo stato della qualità dell’aria in Italia di cui su questo blog si è più volte scritto citando anche i dati dell’Agenzia europea dell’Ambiente e quelli dell’OMS, sembrerebbe che, a recepimento avvenuto, scatterà un segnale verde per l’avvio di una cospicua serie di climate litigation sino ad oggi ostacolate dalla difficoltà di dimostrare il nesso causale tra il danno subito e la responsabilità delle istituzioni oltreché dalla ritenuta insindacabilità da parte di alcuni giudici delle scelte politiche (almeno questo profilo sarebbe superato dalla Direttiva).
Ma, prima di correre alle carte bollate, sarà meglio attendere il recepimento italiano della direttiva e anche, hai visto mai, i due anni per il recepimento, qualora l’aria in Italia riesca a rientrare nei parametri di qualità dell’OMS e magari profumi anche di gelsomino e lavanda. Poiché la seconda evenienza, benché quella più auspicabile, mi pare assai improbabile, esamino la prima dove si nascondono le insidie. Innanzitutto, sarà il legislatore italiano a dover determinare i “soggetti interessati”, portatori di un “interesse sufficiente”, che avranno diritto a proporre dei ricorsi (“Member States shall determine what constitutes a sufficient interest and impairment of a right consistently with the objective of giving the public concerned wide access to justice”). In Italia, i soggetti legittimati a intraprendere azioni giudiziarie in materia ambientale includono, oltre lo Stato, i Comuni e gli Enti Locali, anche le associazioni ambientaliste riconosciute dal Ministero dell’Ambiente e inserite in un apposito elenco ufficiale istituito e aggiornato dal Ministero stesso in base alla Legge n. 349 del 1986. Per essere riconosciute e legittimate ad agire, le associazioni devono dimostrare di avere una struttura organizzativa stabile, una certa diffusione territoriale e di perseguire esclusivamente finalità di tutela ambientale. Se fosse questo il criterio che sceglierà il legislatore italiano, resterebbero esclusi i comitati cittadini e le comunità locali che dovessero risentire di particolari danni quali, ad esempio, il superamento dei parametri di PM10 o PM2,5 nella loro particolare zona. Probabilmente, non si tratterebbe di una preclusione assoluta ma quest’ultimi dovrebbero fornire le prove di un “interesse sufficiente”, diretto, attuale e da cui dipende la lesione lamentata. Prove sottoposte all’apprezzamento del giudice, mentre non sono richieste ai soggetti inscritti nell’elenco ministeriale. Più difficile ipotizzare che con il recepimento venga concessa la legittimazione ad agire alle associazioni dei consumatori che potrebbero reclamare per i danni economici e alla qualità dei prodotti destinati ai consumatori, a causa del mancato rispetto dei parametri di salubrità dell’aria. Ma anche queste associazioni devono avere caratteristiche particolari ed essere iscritte in un elenco apposito tenuto e vigilato dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT), già Ministero dello Sviluppo Economico. E varrebbero le stesse limitazioni per gli altri soggetti già citati. In sintesi, un recepimento riduttivo e miope porterebbe ad escludere dalla possibilità di accesso alla giustizia, molti soggetti interessati e lo contingenterebbe in favore di coloro che sono soggetti ad un previo controllo amministrativo e a complesse procedure, nonostante la Direttiva specifichi (art.27) “Member States shall determine what constitutes a sufficient interest and impairment of a right consistently with the objective of giving the public concerned wide access to justice.”
Quanto, invece, all’accesso alla giustizia da parte dei singoli danneggiati (art.28.1: “Member States shall ensure that natural persons who suffer damage to human health caused by a violation of the national rules transposing […]”) la Direttiva è, per fortuna, più stringente per gli Stati. “Member States shall ensure that national rules and procedures relating to claims for compensation are designed and applied in such a way that they do not render impossible or excessively difficult the exercise of the right to compensation for damage” (art.28.2) e “Member States may establish limitation periods for bringing actions for compensation as referred to in paragraph 1. Such periods shall not begin to run before the violation has ceased and the person claiming the compensation knows, or can reasonably be expected to know, that he or she suffered damage from a violation as referred to in paragraph 1” (art.28.3). Ma si tratta pur sempre di intervenire con una legge nazionale su alcuni capisaldi dei nostri codici di procedura: l’accesso alla giustizia, almeno quella civile, nel nostro paese è generalmente oneroso: questo potrebbe costituire una difficoltà eccessiva? Così come il calcolo della prescrizione dei diritti è un tema complesso e con molte sfaccettature su cui il metter mano non è impossibile, ma è certamente difficile se si vuole garantire un’omogeneità a tutto il sistema dei risarcimenti.
Infine, le sanzioni: “Member States shall lay down the rules on penalties applicable to infringements of national provisions adopted pursuant to this Directive (…) The penalties provided for shall be effective, proportionate and dissuasive” (art.29.1). E qui la direttiva pone paletti precisi giacché si prevede che le sanzioni debbano tenere debitamente conto delle seguenti circostanze: a) la natura, la gravità, l’entità e la durata della violazione; b) l’impatto sulla popolazione, compresi la popolazione sensibile e i gruppi vulnerabili, o sull’ambiente interessato dalla violazione, tenendo presente l’obiettivo di conseguire un elevato livello di protezione della salute umana e dell’ambiente; c) il carattere ripetitivo o singolare della violazione, compresa la precedente ricezione di una sanzione di ammonimento o di qualsiasi sanzione amministrativa o penale; d) i vantaggi economici derivanti dalla violazione da parte della persona fisica o giuridica ritenuta responsabile, nella misura in cui ciò possa essere determinato. Ma i criteri per determinare la gravità, l’impatto, il carattere ripetitivo e le conseguenze economiche di una violazione, potrebbero venir determinati in sede nazionale con l’intrusione di una scelta politica condizionante.
In conclusione, credo appaia ormai chiaro che io propendo per un accesso alla giustizia universale e gratuito, senza limiti e condizioni e, tantomeno, senza controlli amministrativi precedenti sui soggetti legittimati, lasciando al solo giudice di verificare, caso per caso, l’esistenza delle condizioni che legittimino l’esercizio dell’azione e l’ampiezza della violazione lamentata. Ma è evidente che, pur muovendosi nel solco tracciato dalla Direttiva, molto spazio è lasciato al legislatore nazionale in fase di recepimento per dare maggiore o minore efficacia agli obiettivi della Direttiva.
Se mi è consentito dare un consiglio ai tanti che parlano di climate and environmental justice, nei corsi, nei webinar, sui social, sui media, suggerirei di non dimenticare mai che la fase del recepimento interno può svuotare i contenuti di funzionamento di una direttiva e quello che quindi non deve mancare mai, è il nostro “fiato sul collo” del legislatore nazionale.
Giuseppe d’Ippolito