Attualmente, la green economy sta attraversando una fase di trasformazione spinta da diverse tendenze globali e cambiamenti normativi, in particolare nei settori della tecnologia e delle finanze sostenibili. Una delle priorità principali è la decarbonizzazione, incentivata dai recenti eventi climatici estremi e dall’impegno crescente di governi e istituzioni finanziarie verso un’economia a basse emissioni di carbonio. In questo ambito, si sta consolidando l’interesse per tecnologie come la cattura del carbonio, l’idrogeno verde e i combustibili sostenibili per l’aviazione. Anche il mercato delle infrastrutture di ricarica per veicoli elettrici e dei nuovi sistemi di stoccaggio energetico, come le batterie al metallo liquido, è in espansione per supportare la transizione energetica. A livello aziendale, si osserva una crescente attenzione alle pratiche di ESG (Environmental, Social, and Governance), nonostante le critiche e i dubbi su presunti “greenwashing”. Le direttive recenti dell’Unione Europea, come il Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), stanno spingendo le imprese verso una maggiore trasparenza nelle dichiarazioni ambientali, con nuove regole di rendicontazione che mirano a ridurre le pratiche scorrette e aumentare la fiducia degli investitori e dei consumatori. Questa transizione verso una rendicontazione sostenibile sta diventando essenziale anche per accedere ai finanziamenti. Infine, l’applicazione dell’intelligenza artificiale (AI) nella green economy sta aprendo nuove opportunità per monitorare e ottimizzare le prestazioni ambientali. L’AI può migliorare la raccolta e l’analisi dei dati ESG, con l’obiettivo di rendere più efficace la gestione delle risorse e supportare l’adozione di modelli di business circolari e sostenibili. Tuttavia, la strada da percorrere rimane complessa, poiché molte tecnologie necessitano ancora di finanziamenti consistenti per poter raggiungere una diffusione commerciale.
Non possiamo sempre guardare solo i fatti negativi che accadono intorno a noi. A guardare sempre il mondo con gli occhiali scuri si perde l’entusiasmo che è la molla principale per sviluppare l’iniziativa economica. Perché l’obiettivo di mitigare gli effetti del cambiamento climatico si dovrebbe raggiungere attraverso lo sviluppo d’iniziative che allargano le possibilità di reddito, di lavoro, di miglioramento delle condizioni di vita e lo fanno senza dissipare energia e consumare inutilmente risorse. Attualmente domina l’idea che si debba sostenere l’economia tagliando la spesa e risparmiando nello svolgere l’attività produttiva. Nella lettura quotidiana degli avvenimenti, le mancanze, le inadempienze, i reati piccoli e grandi e le tragedie tendono a sovrapporsi e coprire tutti gli altri fatti. Per questo, in un momento di difficoltà del sistema Italia, in cui con affanno si cercano le coperture per far quadrare i conti del Paese, è necessario guardare a quelle realtà che riescono a superare la crisi, ad ottenere migliori performance e a dare prospettive di continuità.
Siamo tra i fautori della transizione verde e pensiamo che essa sia la via d’uscita per migliorare le condizioni di vita, ma ci scontriamo contro pregiudizi, diffidenza e difficoltà che allontanano le persone dall’intraprendere questa strada. La reazione diffusa è cercare di difendere il livello di benessere e di produzione raggiunto senza cambiare il sistema d’impresa, cosa invece indispensabile per riuscire a conservarlo ed aprire anche nuovi spazi. Alcuni dati ci confortano per sostenere la nostra tesi, ma non sono sulle prime pagine dei media.
Così si deve andare nelle pagine interne del giornale economico italiano (Il Sole24ore) per trovare una sintesi del rapporto Symbola-Unioncamere sulla green economy e capire che, grazie alle iniziative di impresa sostenibili, qualcosa si muove in un sistema economico in stallo che, per bene che vada, crescerà il prossimo anno dello zero virgola qualcosa dopo avere ricevuto dalla UE (sotto forma di prestito) una quantità di aiuti inimmaginabile.
Da questo rapporto apprendiamo che la transizione verde è un fattore di competitività e di resistenza alla crisi, contrariamente a quanto si crede. Infatti, le imprese che investono nella green economy sono in costante aumento, oltre 570.000 e sono in grado, numeri alla mano, di affrontare meglio le crisi. Uno degli elementi di forza è il dato occupazionale: il 13,4% del totale italiano con oltre tre milioni di persone occupate ed oltre 1.900.000 contratti attivati nel corso dello scorso anno che corrispondono al 35% ca. dei contratti totali del 2023. Un incremento complessivo di oltre centomila occupati che certifica l’esistenza di un interesse diffuso per la transizione ed un suo riscontro positivo nella società. Se poi analizziamo i settori dove lavorano le imprese che animano la dinamica, rileviamo che in quelli più interessati (logistica, progettazione e sviluppo, “aree tecniche”), si arriva ad un’incidenza sulla nuova occupazione dell’80% di nuovi occupati green. Insomma, le imprese che hanno avuto necessità o hanno deciso di cambiare nei tre settori citati, lo hanno fatto in grande maggioranza orientandosi verso un’economia verde.
I dirigenti delle associazioni che lavorano in questo meccanismo economico di “transizione”, esaltano il ruolo guida che svolgono le imprese green in alcuni settori economici del sistema italiano e sperano che i dati segnaleranno al governo nazionale e a quelli regionali una maggiore attenzione ed una più attiva ed efficace relazione con le imprese; in ultima analisi, maggiori finanziamenti ad un settore che dovrebbe reggere le sorti del sistema-paese nel cambiamento in corso. È necessario chiarire alcuni concetti di base, per capire come un sistema economico green possa guidare il cambiamento dopo che spesso lo si è dipinto come un sistema fasullo, pieno di inutili e costose azioni che è in grado di reggere il mercato solo quando viene finanziato.
Se consultiamo l’enciclopedia Treccani, troviamo la seguente definizione della green economy: un “modello teorico di sviluppo economico che prende in considerazione l’attività produttiva valutandone sia i benefici derivanti dalla crescita, sia l’impatto ambientale provocato dall’attività di trasformazione delle materie prime”: definizione che mette in evidenza la natura fluida di questo modello, in cui ciò che vale è la capacità di connettere l’attività produttiva e il mondo in cui essa interviene, sia nel come ci si procura le materie prime, sia nel come si organizzano facendo attenzione alle cose e alle persone, anche se questa azione di attenzione nelle due fasi potrebbe non riguardare principalmente il mondo che circonda l’impresa. La green economy non è necessariamente un’economia circolare, anche se i presupposti per coinvolgere il territorio esistono tutti e dovrebbero essere presi seriamente in considerazione, perché sono un punto dolente del processo di sviluppo dell’Italia che, ad esempio, agendo senza questa strategia locale, portò a costruire nel sud le cosiddette “cattedrali nel deserto”, cioè strutture produttive la cui attività non aveva alcuna connessione con il territorio circostante, né produttiva né di mercato. Nata dopo la presentazione nel 2006 del rapporto Stern sui cambiamenti climatici, l’economia verde mira a migliorare il benessere e a garantire le risorse, in tempi di scarsa disponibilità ed esaurimento delle materie prime, riducendo i rischi ambientali. Il tal modo, con quel rapporto, veniva raccolta quarant’anni dopo l’idea degli ecologisti degli anni Settanta di introdurre correntemente l’analisi ecologica in quella economica per valutarne gli impatti. Sino ad oggi la valutazione dell’impatto ambientale ha ancora un aspetto scarsamente dinamico e non segue, passo dopo passo, gli sviluppi degli interventi correnti, spesso si limita a valutare gli investimenti e la mancata connessione tra spese correnti e investimenti è uno dei punti dolenti dell’economia del nostro Paese.
Gli obiettivi della green economy sono facilmente elencabili: conservare la biodiversità (soprattutto quella vegetale, perché le piante sono alla base della nascita della vita animale, cioè della nostra) e ridurre gli altri fattori (consumo energetico, inquinamento ambientale rifiuti generati, consumo di risorse). È facile immaginare perché le impese che fanno economia verde si concentrano in alcuni settori, dato che per raggiungere gli obiettivi elencati le azioni riguardano la mobilità sostenibile, l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, l’efficientamento energetico. Elementi che producono la rigenerazione urbana con il recupero delle aree dismesse, la creazione delle infrastrutture verdi e di opere di adattamento climatico; in sostanza, la creazione di eco investimenti e di economie circolari.
Sembra sottinteso che questo modello pone al centro la Persona e la Natura, ma non lo è. Non rendere espliciti i riferimenti a questi aspetti spesso porta a difficoltà nella costruzione del sistema d’impresa ed è una delle ragioni per cui le certificazioni ed i controlli che prima riguardavano solo gli aspetti tecnici e produttivi delle merci o dei servizi, ora sono allargati agli aspetti che toccano la giustizia, il rispetto, il benessere e la goverance. Le imprese, per riorganizzarsi dovranno mettere in conto tutto ciò e l’esempio di quelle dette imprese verdi dovrà essere studiato e valutato molto più di ora.
Perché la trasformazione comporta vantaggi e svantaggi. I vantaggi sono facilmente individuabili: un razionale uso di materie prime, riduzione dei costi produttivi, maggiore efficienza, riduzione della produzione di rifiuti e dei conseguenti costi di smaltimento e, come si vede dal rapporto sull’andamento nel 2023, la creazione di posti di lavoro. Un vantaggio complessivo che si racchiude nel miglioramento della qualità che comunque non significa un aumento della produzione.
Qui si presentano le dolenti note della trasformazione che ha i suoi svantaggi, perché implica una profonda trasformazione dentro e attorno all’impresa, più delle trasformazioni che hanno portato alla creazione della società industriale e dell’impresa fordista. Le aziende dovranno maturare una maggiore responsabilità sociale, in servizi e settori che non hanno spesso collegamento diretto con la produzione avviata. Sicuramente avranno costi più elevati e il rendimento sarà inferiore rispetto alle tecnologie tradizionali se il confronto si limiterà a valutazioni del momento.
Ma la loro efficienza si valuta nel medio lungo termine e questo aspetto è uno dei punti deboli del sistema Italia, in cui l’effetto a breve termine degli investimenti viene privilegiato rispetto agli altri. Si tratta di un sistema di valutazione che nel settore agricolo è stato ben sperimentato dalle aziende del settore biologico che, non a caso, superano meglio di altre le crisi produttive e di mercato.
Occorre guardare lontano, scrutare nel buio che ora ci circonda per immaginare il futuro. La società dei consumi e dell’automobile ha fatto il suo tempo e gli scricchiolii di sentono persino nella casa più solida di questo mondo industriale, cioè nella Germania dell’auto del popolo, la Volkswagen; l’Italia, che produce molto dell’indotto delle auto tedesche ha di che preoccuparsi. Uno dei punti necessari alla green economy per poter essere trainante, è trovare una via d’uscita da indicare a questo settore in crisi, in grado di contrastare gli indirizzi che sembrano venire dalle strutture amministrative pubbliche e dai governi che, con tagli ai costi e ai servizi sperano di gestire il cambiamento.
Esistevano, prima della illuminazione elettrica, le persone che armate di una lanterna attaccata a un lungo bastone, guidavano i pellegrini sui sentieri sconosciuti, cercando la strada migliore per il gruppo che guidava. Come quei pellegrini, qualche decennio fa alcune persone di questo Paese tentarono di avviarlo su di una strada diversa, meno effimera e brillante ma più solida. È un vero peccato che persone come Dino Frisullo e Tom Benetollo non ci siano più per continuare a mantenere alta la lanterna ed illuminarci nel buio.
Gianfranco Laccone, agronomo, presidenza nazionale ACU Associazione Consumatori Utenti