Le elezioni presidenziali statunitensi del 2024 si sono tenute il 5 novembre. Dopo un’intensa competizione, Donald Trump ha sconfitto la Vicepresidente Kamala Harris, assicurandosi il ritorno alla Casa Bianca per un secondo mandato. La vittoria di Trump ha rappresentato un colpo di scena, essendo riuscito a ottenere ampi consensi in stati chiave come il Michigan, completando una rimonta nei cosiddetti “Blue Wall” states del Midwest, precedentemente vinti da Joe Biden nel 2020. Con la conquista di una maggioranza repubblicana anche al Senato, Trump ha ora una maggiore libertà legislativa per portare avanti il suo programma politico. Le reazioni dei commentatori autorevoli alla recente vittoria di Donald Trump nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2024 evidenziano una combinazione di preoccupazione e cautela. Molti analisti avvertono sulle possibili implicazioni globali, soprattutto in ambiti come la stabilità europea e i rapporti con la NATO. Ben Hodges, ex generale dell’esercito USA, ha sottolineato l’impatto che la politica estera di Trump potrebbe avere in Europa e in Ucraina, prospettando una potenziale riduzione del supporto americano verso la NATO e una maggiore pressione diplomatica per un riavvicinamento con la Russia, mettendo a rischio l’equilibrio geopolitico europeo. Sul piano interno, alcuni osservatori temono un ritorno di politiche divisive, mentre la reazione di ex funzionari pubblici come Bill e Hillary Clinton riflette una visione pragmatica, con l’auspicio che Trump e il vicepresidente JD Vance possano “governare per tutti”. Questo contesto critico si riflette anche nella decisione dell’ambasciatore australiano Kevin Rudd di cancellare commenti negativi su Trump, mostrando un adeguamento diplomatico post-elettorale alle nuove relazioni con l’amministrazione statunitense. Questi sentimenti si accompagnano a un clima di incertezza su temi come il cambiamento climatico e la sicurezza globale, mentre Trump si appresta a riaffermare una politica più isolazionista e orientata agli interessi nazionali, piuttosto che all’approccio multilaterale che caratterizzava le politiche dei suoi predecessori.

 

Anche noi non possiamo rinunciare a commentare l’elezione di Trump, perché sino ad ora l’argomento delle questioni ambientali è stato marginalmente preso in considerazione analizzando le intenzioni della prossima amministrazione statunitense. Sintomatico dell’atteggiamento che essa avrà verso le questioni di tutela è quello mostrato da Trump nella campagna elettorale sul tema di protezione dei consumatori/utenti, affrontato attraverso la lettura “trumpiana” della “rivalsa degli ultimi contro lo strapotere delle grandi compagnie”; rivalsa – aggiungiamo en passant – che dovrebbe essere condotta dalla compagine di miliardari chiamati a governare gli USA, secondo la composizione di governo prevista. La marginalità dei commenti sulla questione ambientale dopo le elezioni USA lascia il posto in questa settimana ad un affollarsi di previsioni ed opinioni mentre è in corso la COP 29 a Baku.

Risultato immagine per Make America Great AgainLa grande riunione planetaria segue il percorso nato dal protocollo di Kyoto (1997, anno della COP 3), che dovrebbe far avanzare gli accordi tra gli Stati per mitigare gli effetti del cambiamento climatico. Ancora una volta molti commentatori, come se cadessero dal pero, si meravigliano che la futura amministrazione statunitense si disinteressi bellamente del possibile accordo sull’ambiente con gli altri Paesi, perché non lo ritiene un fatto prioritario. Anzi, crede opportuno tirarsi fuori dal sistema degli accordi creato, perché lo ritiene limitativo per le sue possibilità economiche e inutile per la strada da percorrere per “far ritornare grande l’America” (Make America Great Again – MAGA).

Sembra che la parola d’ordine del prossimo responsabile dell’agenzia statunitense dell’ambiente, Led Zeldin, sia “deregulation!”, un programma semplice e chiaro per chi ha orecchie per intendere: fare gli affari che ci convengono come e con chi ci conviene, affidarsi alla buona sorte guidata dalla tecnologia e poi….. “si salvi chi può!”. Chi non ha memoria del “Titanic”, un enorme transatlantico simbolo del progresso, affondato nell’aprile 1912 dopo la collisione – non prevista – con un iceberg mentre viaggiava nelle gelide acque del nord Atlantico e diventato un film di grande successo con il giovane e belloccio Di Caprio? Ci si ricorderà che in quel caso tra i sopravvissuti sulle scialuppe di salvataggio si trovavano molti ricchi passeggeri. Essi pagarono con tutti gli averi a disposizione il posto che molti poveracci avevano trovato nelle scialuppe di salvataggio, grazie alla loro abilità o per caso, o per amore come ipotizzato dal film; la sorte di coloro che avevano pensato di scambiare il posto, è cosa (tragicamente) nota.

Risultato immagine per MUSKL’attitudine odierna dei super ricchi come Musk non è cambiata: trovare con il danaro le vie per la salvezza, innanzitutto di se stesso, è identica. La tecnologia attuale potrebbe permettere, nel caso di “naufragio” del pianeta, di inviare la scialuppa di salvataggio su Marte, come uno di essi ipotizza, e vi lascio indovinare chi ha pensato di costruirla e con quali viaggiatori.
Non siamo arrivati improvvisamente a questo punto e le preoccupazioni che molti mostrano di avere sulle prossime mosse di Trump, dovrebbero cedere il passo ad azioni concrete per contrastare questa idea trumpiana del “Make America Great Again” che, nel migliore dei casi, renderà la vita meno dura per la parte ricca e minoritaria degli abitanti degli USA. Ma peggiorerà nettamente quella delle altre persone sulla terra, in specifico degli europei che vivono nella UE, ancora la parte del pianeta complessivamente più ricca e con la ricchezza più diffusa. Un fatto che fa gola a molti e, certo, non tra i poveretti che approdano sulle nostre terre in cerca di fortuna, aiutandoci a produrre la nostra ricchezza. Molti non condivideranno queste mie opinioni “radicali”, ma l’idea affermata da Trump, è decisamente “radicale” e non potrà essere battuta se non con idee altrettanto radicali, specie se riguardanti l’ambiente e tenendo conto anche della martellante campagna propagandistica in loro favore a cui siamo sottoposti.

Risultato immagine per TRUMPNon riesco a capire come l’idea di “fare grande un Paese” possa essere considerata un toccasana tra i suoi abitanti, dati gli esempi storici sino ad ora avvenuti, in primo luogo negli stessi Stati Uniti d’America, il cui benessere si è diffuso quando i grandi capitali sono stati tassati ed il Paese si impegnò al fianco delle nazioni per il ripristino della democrazia e la fine del colonialismo. Ancora meno lo capisco per gli altri abitanti del pianeta: se gli USA tornassero ad essere grandi, gli altri cosa ci guadagnerebbero?
Prevedo un futuro di lotte con tutti i mezzi per rendere grande gli USA, innanzitutto al suo interno. Perché se questo non si realizza con accordi e cooperazione, esiste solo il mezzo della forza per affermarlo. Parliamo, in specifico, delle azioni per l’ambiente che potremmo immaginare si debbano fare per ritornare ad essere il Paese guida su di un pianeta con risorse in via di esaurimento e con la popolazione in crescita proprio nei territori che subiranno le conseguenze peggiori del clima in evoluzione. Se non si programmano grandi interventi di cooperazione per la costruzione di benessere, di risanamento e di protezione del vivente, come si prevede di “tenere a bada” la massa di persone che sarà in pericolo o bisognosa di aiuto?

A chiarire ulteriormente la propensione, verso le persone e verso le altre specie animali, dei prossimi amministratori degli USA è la responsabile della sicurezza nazionale in pectore, la signora Kristi Noem: della sua biografia ha messo in evidenza sui social che ha eliminato personalmente un cane che non le ubbidiva e una capra di sua proprietà che puzzava e maltrattava i suoi piccoli. Ha dichiarato: “non era un lavoro piacevole, ma andava fatto.”
L’aumento dei conflitti locali ci mostra un probabile futuro e la volontà di Trump di svincolarsi dal diretto impegno in molti di essi ci dice solo che gli USA non hanno più la forza di occuparsi direttamente delle sorti dei loro alleati: che le loro classi dirigenti decidano di fare pagare a qualcuno queste spese, puntando sulla crescita trainata dall’industria bellica, come avverrà sempre più negli USA. Chi potrà permettersi di pagare il risanamento ambientale, le auto elettriche e le energie rinnovabili, lo faccia, gli altri si arrangino. Se poi qualche Paese cercherà di dare soluzioni ecologiche a basso costo (la Cina, ad esempio, per le auto elettriche) che mettono in discussione il sogno di mantenimento del potere degli USA, il primo strumento da usare saranno i dazi doganali, da aumentare come barriera commerciale. E poco interesserà che essi non agevoleranno la massa dei cittadini del Paese che li applicherà, come è avvenuto sostituendo la fornitura di gas nella UE che ha prodotto prezzi per i consumatori quattro volte più alti.

In quanto al rimedio per “bonificare” i territori nazionali dai fastidiosi oppositori del disegno, Trump lo ha individuato: deportazione, per pulire il luogo dagli indesiderabili, indicando gli immigrati “illegali” come prima causa del degrado. Un capro espiatorio abusato, che prevedibilmente crescerà rapidamente di numero con l’aggiunta di altri indesiderabili come gli ebrei, gli omosessuali, i funzionari poco collaborativi dell’amministrazione … ma chi lo ha enunciato non ha precisato gli effetti che produrrà tale pulizia. In Argentina lo stiamo vedendo, dopo l’elezione alla presidenza di un personaggio che per fare questa pulizia, simbolicamente, imbracciava una motosega.

Si tratta di una storia già vissuta in tutti gli imperi desiderosi di dominare e non di convivere, non avendone più la forza: nell’impero romano dopo l’imperatore Costantino, le truppe degli eserciti erano composte dalle stesse persone che si sarebbero dovute dominare, figli di popolazione immigrata o ex schiavi. Avrebbero dovuto condurre in porto questo disegno di ripristino dell’impero, ma essi, stanchi di essere solo le truppe al servizio dell’imperatore, decisero di governare i territori in cui erano stati inviati per ristabilire l’ordine per conto terzi: fu allora che nella nostra penisola si crearono i cosiddetti regni barbarici, inaugurando il periodo dell’Alto Medioevo che per noi non rappresenta certo una buona memoria.
La costruzione dell’immagine di Trump, del mito Trump per essere precisi, e dell’egemonia culturale che essa ha creato, partono da lontano e non accorgersene è stato un grave errore fatto da coloro che pensano ad un percorso diverso per il futuro del pianeta. Avremo modo di ritornare sulla costruzione di questa egemonia anche in campo ambientalista ma quello che è più evidente è che solo la radicalità di un progetto alternativo potrà produrre effetti benefici.
Nel frattempo, le contraddizioni che il progetto produrrà dentro e fuori gli Stati Uniti, ci esporranno ad un periodo di grande turbolenza, incertezza e difficoltà sociale.

Gianfranco Laccone, agronomo, presidenza nazionale ACU Associazione Consumatori Utenti

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