Il modo di dire “Ci sarà pure un giudice a Berlino”, usato per indicare una giustizia imparziale è strettamente connesso alla vicenda del mugnaio Arnold che raccontiamo in questo articolo. Come è nata e come si è diffusa la frase è «una faccenda complessa», come ammetteva anche Umberto Eco, uno dei più grandi semiologi italiani. Provando a digitare la frase in un qualsiasi motore di ricerca della rete, in molti attribuiscono la frase a Bertolt Brecht, uno dei più importanti drammaturghi tedeschi. Si dice che la frase sia tratta da un suo racconto, ma nessuno cita il titolo del componimento. Anche chi ha letto tutti i suoi racconti fatica a ricordare dove si possa trovare la famosa frase. Ma, come specifica Eco, «la cosa è irrilevante perché in tal caso Brecht avrebbe semplicemente citato una vecchia vicenda». In realtà, La storia è narrata nel libro “Il Regno di Federico di Prussia, detto il Grande” scritto da Enrico Broglio nel 1880, politico italiano che fu prima Ministro dell’Istruzione e poi dell’Agricoltura e dell’Industria. Nel volume Broglio racconta la storia del mugnaio Arnold di Sans-Souci e della sua lotta per ottenere giustizia contro i soprusi di un nobile, ed è qui che troviamo la frase «ci sono de’ giudici a Berlino». Da quel momento l’espressione è usata per esprimere la speranza in una giustizia imparziale su cui può contare anche l’uomo comune.
La storia del mugnaio Arnold è una vicenda affascinante che risale al regno di Federico II di Prussia, noto anche come Federico il Grande. Arnold era un mugnaio che lavorava presso un mulino a Sans-Souci, una residenza reale a Potsdam. Il mulino di Arnold era stato affittato alla sua famiglia per generazioni, ma un giorno, nel 1770, il Barone Von Gersdorf deviò l’acqua che alimentava il mulino per costruire una peschiera privata.
Questo causò gravi problemi ad Arnold, che non riusciva più a macinare il grano e quindi a pagare l’affitto. Arnold cercò giustizia presso i tribunali locali, ma i giudici erano stati nominati dal Barone Von Gersdorf ed erano a lui fedeli e finirono per favorirlo dando torto al mugnaio. Disperato, Arnold decise di rivolgersi direttamente a Federico il Grande, il sovrano di Prussia. Federico esaminò il caso e diede invece ragione ad Arnold, La leggenda narra che Federico II non solo ascoltò le argomentazioni di Arnold, ma lo sostenne contro il nobile, dimostrando il principio che anche i più potenti sono soggetti alla legge. Il re avrebbe dichiarato che “in Prussia, anche un mugnaio povero può ottenere giustizia“. Alla fine, il mulino di Arnold ricevette l’acqua, mentre il nobile venne punito per abuso di potere, e vennero puniti pure i giudici corrotti. La sua storia è diventata famosa per la lotta di Arnold contro l’ingiustizia, un caso emblematico che viene spesso citato dalla giurisprudenza e dalla filosofia del diritto per illustrare il concetto di resistenza individuale alle ingiustizie di potere, particolarmente quando la dignità e i diritti di una persona sono in gioco.
Quali insegnamenti si ricavano da questa storia, vera o inventata che sia?
Supremazia della legge: la storia evidenzia il principio dello Stato di diritto, secondo cui tutti, indipendentemente dalla loro posizione sociale o potere, devono essere soggetti alla legge.
Giustizia sociale: la vicenda sottolinea l’importanza della giustizia accessibile anche per i più umili, un concetto fondamentale per le democrazie moderne.
Resistenza e dignità: Arnold rappresenta l’individuo che lotta per i propri diritti, anche di fronte a poteri apparentemente insormontabili.
La giustizia, come principio e istituzione, è teoricamente indipendente dal potere, in quanto la sua funzione è quella di interpretare norme e valori universali senza distinzione o influenza esterna. Tuttavia, nella pratica storica e contemporanea, è stato dimostrato che può essere distorta, asservita o manipolata dal potere politico, economico o sociale. Questa tensione tra giustizia e potere è stata oggetto di profonde riflessioni filosofiche, analisi giuridiche e studi storici. La giustizia, per essere autentica, deve rimanere indipendente e imparziale, un principio che può essere garantito attraverso un solido sistema di checks and balances, un’opinione pubblica vigile e istituzioni forti. Diversamente il rischio che essa venga asservita al potere resta presente, richiedendo un costante impegno per difendere i valori fondamentali dello Stato di diritto e della democrazia.
Preciso subito, però a questo punto, che non intendo qui riferirmi alle vicende segnalate dalla cronaca nazionale e al suo corollario di dibattiti e prese di posizione, esercizio che lascio ad altri, ma alla carenza di giustizia di fronte alle plurime inadempienze degli Stati, rispetto agli accordi internazionali sottoscritti. In particolare, agli accordi in materia di contrasto ai cambiamenti climatici e alle conseguenze che tali inadempienze provoca.
Sarà bene ricordare, allora, che gli Stati sovrani sono soggetti agli accordi internazionali che sottoscrivono, in base al principio di pacta sunt servanda, sancito dall’articolo 26 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969. Questo principio afferma che ogni trattato in vigore vincola le parti e deve essere eseguito in buona fede. Quando uno Stato firma e ratifica un accordo internazionale, esso assume un obbligo legale di rispettarne le disposizioni. Questo vale sia per trattati bilaterali che multilaterali. Negli ordinamenti che riconoscono il primato del diritto internazionale, le norme dei trattati possono prevalere su quelle interne. Firmando un accordo, lo Stato può accettare limitazioni alla propria sovranità in aree specifiche, come il commercio (WTO), i diritti umani (Convenzione europea dei diritti dell’uomo), o l’ambiente (Accordi di Parigi sul clima). La Costituzione italiana (art. 117) specifica che la legislazione deve rispettare gli obblighi internazionali, incluso il diritto comunitario europeo e i trattati ONU.
Ma quali conseguenze giuridiche produce il loro mancato rispetto (le conseguenze economiche e sociali sull’ambiente e gli ecosistemi sono sotto gli occhi di tutti)? Alcune sono previste dal trattato stesso (sanzioni, arbitrati internazionali o altre misure). Nell’ambito dell’Unione Europea, il mancato rispetto delle norme dei trattati può portare a procedure di infrazione da parte della Commissione Europea. Ma l’Accordo di Parigi non prevede sanzioni legali per gli Stati che non rispettano i propri NDC (gli NDC Nationally Determined Contributions, contributi determinati a livello nazionale, sono i piani d’azione climatici che ogni Paese firmatario dell’Accordo di Parigi sul clima è tenuto a elaborare e aggiornare periodicamente).
In altre parole, mi domando se c’è un “Giudice a Berlino” (o in qualunque altro posto) cui potranno rivolgersi gli alluvionati di Valencia, della Liguria, dell’Emilia Romagna, le vittime della siccità della Sicilia, dell’Africa settentrionale, le vittime dell’innalzamento dei mari, della desertificazione, degli uragani, e così via dicendo.
L’Accordo di Parigi non prevede meccanismi coercitivi o giudici specifici per punire gli Stati inadempienti, anche se esistono alcune istituzioni e strumenti giuridici che potrebbero essere utilizzati indirettamente per affrontare le violazioni o mancate azioni legate agli obblighi climatici, ma troppi sono i vincoli e le limitazioni.
La Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) potrebbe essere coinvolta in controversie climatiche; tuttavia, essa non ha un ruolo diretto nell’applicazione dell’Accordo di Parigi. La Corte Penale Internazionale (ICC) si occupa di crimini gravi, come genocidio e crimini contro l’umanità, ma non ha competenza diretta sulle inadempienze legate al clima. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) è stata coinvolta in casi climatici in cui i ricorrenti hanno sostenuto che la mancanza di azione da parte di uno Stato viola i diritti fondamentali, come il diritto alla vita (articolo 2) o il diritto al rispetto della vita privata e familiare (articolo 8), ma le pronunce non hanno avuto seguito.
Prevedere un sistema di sanzioni contro gli Stati e rafforzare il ruolo degli organismi internazionali di giustizia è quindi una necessità urgente per garantire il rispetto degli impegni presi nell’Accordo di Parigi e in tutti gli accordi climatici.
Un sistema di sanzioni potrebbe introdurre un elemento deterrente e stimolare una maggiore adesione agli obiettivi concordati, aumentando l’efficacia degli Accordi. Le sanzioni potrebbero essere modellate su meccanismi esistenti in altri ambiti del diritto internazionale, ad esempio: le sanzioni economiche o commerciali per Stati inadempienti, come tariffe sui prodotti provenienti da Paesi che non rispettano i loro obiettivi climatici. I fondi compensativi: Gli Stati inadempienti potrebbero essere obbligati a versare contributi a un fondo globale per il clima, destinato a sostenere progetti di mitigazione e adattamento nei Paesi vulnerabili. Accesso limitato ai mercati internazionali del carbonio, penalizzando i Paesi che non rispettano i requisiti stabiliti.
Ma sarà essenziale rafforzare gli organismi internazionali per aumentare l’efficacia degli accordi climatici e garantire l’applicazione delle sanzioni. La Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) potrebbe avere un ruolo nell’arbitraggio delle controversie climatiche, come già accaduto con controversie su risorse naturali. L’inclusione dell’ecocidio tra i crimini perseguibili dalla Corte Penale Internazionale (ICC) rafforzerebbe la capacità di giudicare gli impatti ambientali derivanti dall’inazione climatica o da politiche dannose. E, infine, promuovere la giustizia climatica a livello regionale e globale, con il coinvolgimento diretto di tribunali e meccanismi di risoluzione delle controversie nazionali, magari istituzionalizzando, a livello internazionale e/o interno, i tribunali per i Diritti della Natura (Earth Rights Tribunals) che oggi sono iniziative simboliche della società civile, non riconosciuti ufficialmente, che possono solo sensibilizzare sull’importanza della giustizia climatica e ambientale.
Ritengo che introdurre sanzioni e rafforzare il ruolo degli organismi internazionali potrebbe migliorare significativamente l’efficacia degli accordi sul clima, anche se tali misure dovranno essere accompagnate da incentivi positivi e meccanismi equi per garantire che tutti gli Stati, indipendentemente dal loro livello di sviluppo, possano contribuire agli obiettivi climatici globali.
Ci sarà un “Giudice a Berlino” anche per il clima, come per il mugnaio Arnold?
Giuseppe d’Ippolito
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