Ci sono molti studi che suggeriscono che i super ricchi abbiano un impatto ambientale sproporzionato rispetto alla maggior parte della popolazione. Questo è legato principalmente al loro stile di vita, alle abitudini di consumo e agli investimenti. Ecco alcuni studi e rapporti rilevanti che analizzano l’impatto ambientale sproporzionato dei super ricchi: 1. Oxfam – “Confronting Carbon Inequality” (2020): il 10% più ricco della popolazione mondiale è responsabile di circa il 50% delle emissioni globali di CO2 tra il 1990 e il 2015. L’ 1% più ricco emette il doppio rispetto al 50% più povero della popolazione mondiale. I consumi dei super ricchi, inclusi jet privati, yacht e grandi proprietà, sono tra i principali responsabili di questo squilibrio. 2. Stockholm Environment Institute (SEI) – “Carbon Inequality in 2030” (2021): se non vengono prese misure, entro il 2030 il 1% più ricco sarà responsabile del 16% delle emissioni globali. Le emissioni individuali dei super ricchi superano di molto i livelli sostenibili per limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C. 3. Cambridge Sustainability Commission – “The Case for Limiting the Consumption of the Rich” (2021): lo studio evidenzia che il consumo eccessivo delle élite economiche è una delle principali cause di distruzione ambientale. Propone la tassazione dei beni di lusso e delle emissioni dei super ricchi come misura per ridurre l’impatto ambientale. 4. Transport & Environment – “Private Jets: Can the Super-Rich Supercharge Climate Change?” (2021): i jet privati emettono tra 5 e 14 volte più CO2 per passeggero rispetto a un volo commerciale e 50 volte di più rispetto a un treno. Nel 2019, i jet privati hanno emesso circa 2,1 megatonnellate di CO2 solo in Europa. 5. International Energy Agency (IEA) – “The Global Energy Perspective” (2023): le famiglie più ricche consumano energia in quantità sproporzionata rispetto alle più povere, a causa dell’uso di proprietà multiple, piscine riscaldate, auto di lusso e altri beni energeticamente intensivi. 6. Global Environmental Change – “Luxury emissions: The climate impact of the super-rich” (2022): il consumo dei beni di lusso (orologi, automobili di alta gamma, yacht, etc.) ha un’impronta ambientale nettamente superiore rispetto ai consumi di base. Lo studio suggerisce la necessità di politiche che ridistribuiscano il carico ambientale riducendo i consumi dei più abbienti.

 

Lasciamo per una volta le riflessioni generali sulle questioni che condizioneranno i nostri prossimi anni: la guerra e l’atteggiamento delle autorità verso il cambiamento climatico. I governi sono in una fase di grande crisi e pare che l’unica reazione di cui siano capaci è quella di limitare le azioni dei cittadini con restrizioni economiche e con leggi e mezzi più o meno coercitivi, cercando poi di ingraziarseli garantendo – a parole – sicurezza e riduzione delle tasse.

Primo piano delle mani femminili che contano le banconote in EURO l'inflazione mondiale dei soldi e il concetto di economiaTorniamo a considerare più da vicino i comportamenti individuali rispetto all’ambiente, analizzandoli innanzitutto in base al reddito poiché, in una società in cui il danaro muove i comportamenti, è fondamentale valutare ciò che le persone fanno rispetto all’ambiente in base alle possibilità che hanno.
Penso utile aprire una finestra sul comportamento delle persone che hanno accumulato grandi ricchezze e che vivono immerse (virtualmente) nella struttura centrale della società del pianeta, cioè nel motore industriale che genera ricchezza grazie al sistema finanziario che lo sostiene. Si tratta di una netta minoranza di persone rispetto agli otto miliardi (e passa) di abitanti che, con la possibilità che hanno di comportarsi al di sopra (spesso al di là) della legge e dei comportamenti della massa, condizionano la vita di tutti. Scopriremmo che essi condizionano non solo le persone ma anche l’ambiente, cioè tutti i viventi, animali e piante. Partiamo dall’analisi effettuati da Oxfam, organizzazione che analizza e confronta le diseguaglianze per “porre fine alla povertà e all’ingiustizia” poiché “un mondo più equo e migliore è possibile”, come recitano le parole scritte sul loro sito.
Il loro ultimo rapporto (a cui presta attenzione il settimanale Famiglia Cristiana) stigmatizza il comportamento dei miliardari, misurando i consumi di un miliardario-tipo: le ore di volo, il consumo dei super-yacht, dei jet e delle limousine private, il riscaldamento delle loro residenze, la quantità di tempo e di danaro utilizzato per attività apparentemente comuni a quelle degli altri mortali, come recarsi al lavoro, visitare le imprese di cui sono responsabili, avere dei momenti di relax, ma tutte svolte in stile multimiliardario.

Jet di lusso privato al terminal dell'aeroportoI dati sono implacabili: ad esempio, un miliardario tra i 23 più ricchi del mondo in un solo anno, calcolando solo quante volte (184 voli) e per quante ore (425) ha volato, emette una quantità di CO2 in atmosfera pari a quella che un altro essere umano, considerato nelle condizioni medie statistiche, emetterebbe in 300 anni! Con lo stesso criterio di calcolo annuale, gli yacht di 18 miliardari, oggetto di articoli di stampa non solo sui giornali specializzati in gossip, rilasciano una quantità di anidride carbonica pari a quella che il cittadino medio emetterebbe in 800 anni…..
Potremmo pensare che, considerando lo stile di vita, molti di essi potrebbero compensare questo danno con attività benefiche, azioni a favore del clima, interventi di protezione della fauna e delle foreste. Tutto questo avviene, ma serve solo a lavare le coscienze. Contrariamente a quanto pensano coloro che esaltano l’iniziativa libera a svantaggio degli interventi degli Stati e delle organizzazioni internazionali (ONU e sue correlate), l’analisi ci informa che il 40% degli investimenti degli ultra ricchi riguarda industrie altamente inquinanti.
Dal 1990 in poi la quantità di emissioni prodotta dalle scelte dei miliardari e dal loro stile di vita ha avuto conseguenze devastanti per il pianeta. Lo status di questa categoria è esecrabile analizzando ciò che ha causato in tre diversi ambiti:

– L’aumento delle diseguaglianze globali, che avrebbe causato un calo del PIL globale di 2.900 miliardi di dollari dal 1990 ad oggi, con un impatto maggiore proprio nei Paesi che hanno avuto meno responsabilità per l’emissione di CO2.
– La crescita della fame e della malnutrizione, poiché le emissioni di CO2 sono la causa di perdite di raccolto e di ridotta produttività che ha privato la popolazione, soprattutto nelle aree povere, della base del sostentamento.
– Le vittime dirette della crisi climatica, poiché l’aumento delle temperature e il caldo torrido in periodi prolungati hanno prodotto un numero di vittime sino al 78% del totale, avvenute soprattutto nei paesi medio-poveri, affetti da siccità cronica.
Se questi sono i dati, difficilmente contestabili, dovremmo concludere che il pianeta è in mano a un pugno di malvagi? Quindi, eliminati o controllati questi, saremmo in grado di ripristinare future condizioni migliori di vita? Questo modo di pensare può servire a realizzare una serie di film di successo, come “Guerre stellari”, ma ci porterebbe al di fuori della realtà. Il comportamento dei super-ricchi, nei fatti, è guidato da regole e comportamenti acquisiti da regole morali e sociali che guidano correntemente le nostre relazioni e che vedono sviluppare col tempo una particolare propensione in alcuni individui.
Si tratta di una visione del denaro come estensione di sé e di una sorta di delirio di onnipotenza che colpisce anche sotto altre forme, come quella dell’esercizio della politica come mestiere. Quando poi le propensioni si uniscono, abbiamo la nascita di personaggi che continuano a perseguire sino alla fine del loro ciclo di vita questo obiettivo, ma che poi lasciano le strutture e le persone su cui hanno avuto responsabilità in condizioni molto peggiori di quando le hanno acquisite. Non faccio nomi, ma sono facili da pensare….
Ad aiutarci nell’analisi dei super ricchi vi è un saggio/inchiesta scritto da Vance Packard nell’ormai lontano 1989: “I super ricchi (The Ultra Rich)”. Già allora, in pieno edonismo reganiano, l’autore – largamente conosciuto tra chi tutela i consumatori per un suo antico saggio del 1958 “I persuasori occulti” – si poneva il problema di cosa potesse succedere se più di un terzo della ricchezza di un Paese (gli USA) fosse nelle mani dell’uno per cento della popolazione: è un fatto moralmente e razionalmente giustificabile? È ammissibile in una società autenticamente democratica?

Marina, Oro, Bolla Di Sapone, ProiettileAnalizzando i possessori di oltre 330 milioni di dollari ed intervistandone trenta di essi, tracciava un quadro – a mio dire – stupefacente. La loro ricchezza non era da loro stessi realmente percepibile psicologicamente. Il loro trend di vita spesso era notevolmente al di sotto delle loro reali possibilità, ma persisteva in tutti l’esigenza dell’accumulazione in sé, che rappresentava la principale soddisfazione accanto alla generale propensione ad aggirare il fisco e le tasse. La ricchezza è il sostegno dell’Io, la prova di essere sempre in gara nell’acquisizione del potere e del prestigio, spesso con sistemi discutibili o disonesti: questo era il risultato delle interviste, anche nei casi in cui si trattava di filantropi. Leggendo il libro le vicende di molte telenovele dell’epoca (Dallas, Anche i ricchi piangono) risultano delle edulcorate favole per bambini. E, devo aggiungere, la stessa impressione ebbi quando nel lontano 1987 ebbi la ventura di assistere nella Trump Tower ad una presentazione del libro della allora moglie di Donald Trump.
Vance Packard, un esponente liberal del mondo americano, fautore di un libero mercato, proponeva allora soluzioni drastiche, rievocate negli avvenimenti europei di oggi, volte al ridimensionamento delle concentrazioni di capitale: l’instaurazione di una tassa patrimoniale, l’imposizione di un “tetto” alla ricchezza individuale con l’obbligo di spendere il capitale eccedente nell’interesse della comunità.
Certo, allora non si aveva cognizione delle conseguenze ambientali del comportamento dei super-ricchi, ma queste conclusioni a cui si giungeva nel 1989 dovrebbero farci pensare a quanto indietro è andata la nostra macchina sociale e quanto si deve fare per unire una visione ambientalista ad una consapevolezza sociale.

Gianfranco Laccone, agronomo, presidenza nazionale ACU Associazione Consumatori Utenti

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