Janez Lenarčič, ex Commissario europeo per la Gestione delle crisi, ha sottolineato l’importanza di accelerare la transizione verde anziché rallentarla. In un’intervista del 16 dicembre scorso al portale Politico.eu, ha espresso preoccupazione per l’approccio dell’UE, che si basa eccessivamente su regolamentazioni dall’alto e sull’aumento dei costi dei combustibili fossili, senza offrire sufficienti incentivi positivi. Lenarčič ha avvertito che questa strategia potrebbe provocare reazioni negative, simili alle proteste dei “gilet gialli” in Francia, scatenate dall’aumento delle tasse sul carburante. Ha affermato: “Penso che i gilet gialli abbiano mostrato che non puoi punire le persone. Devi rendere le alternative attraenti”. Ha inoltre criticato l’affidamento dell’UE sulla carbon pricing come principale leva per ridurre le emissioni, suggerendo che potrebbe essere controproducente. Invece di rallentare la transizione verde, Lenarčič sostiene che dovremmo accelerarla, rendendo le alternative sostenibili più accessibili e attraenti per la popolazione, evitando di imporre oneri che potrebbero generare resistenze sociali. Questa posizione riflette una crescente consapevolezza della necessità di bilanciare le politiche climatiche con considerazioni sociali ed economiche, per garantire una transizione equa ed efficace verso un futuro sostenibile.
In una recente intervista, Janez Lenarčič (un diplomatico sloveno, noto per il suo ruolo come Commissario europeo per la Gestione delle Crisi, tecnico non politico, nella Commissione von der Leyen dal 1º dicembre 2019 al 31 ottobre 2024) ha affermato: “Invece di rallentare la transizione verde, dovremmo accelerarla” evidenziando un concetto cruciale nel dibattito sulle politiche climatiche: l’urgenza di affrontare la crisi climatica senza compromettere la coesione sociale ed economica. Approfondendo il contesto e le implicazioni di questa affermazione, emergono diverse considerazioni che qui propongo.
La necessità di accelerare la transizione verde
Lenarčič (nella foto) che è stato uno dei principali rappresentanti dell’Unione Europea in materia di aiuti umanitari e di risposta alle emergenze e gestione delle crisi, richiama l’attenzione sul fatto che il tempo per agire contro il cambiamento climatico è limitato. Il ritardo nell’implementazione di politiche ecologiche ambiziose potrebbe aggravare i rischi climatici, quali l’aumento della frequenza di eventi meteorologici estremi (alluvioni, siccità); la riduzione della sicurezza alimentare a causa della perdita di biodiversità e del degrado del suolo e l’incremento delle migrazioni climatiche, con pressioni sociali e geopolitiche crescenti. Questi rischi, già oggi evidenti, richiedono non solo politiche rapide, ma anche azioni strutturali che trasformino l’economia globale. Rallentare la transizione, per ragioni economiche o politiche, comporta un costo più elevato in futuro, sia in termini finanziari che sociali.
Critica all’approccio punitivo delle politiche climatiche
Lenarčič critica anche il modello “punitivo” adottato da alcune politiche climatiche, come l’aumento delle tasse sul carbone o sui carburanti fossili. Queste misure, pur necessarie per disincentivare l’uso di combustibili inquinanti, rischiano di colpire le fasce più vulnerabili della popolazione, generando reazioni sociali. E, a conferma, cita un caso emblematico: il movimento dei “gilet gialli” in Francia ha dimostrato come politiche climatiche percepite come ingiuste possano scatenare proteste diffuse, indebolendo il consenso politico verso la transizione verde. Lenarčič sottolinea che il focus dovrebbe essere sull’offrire alternative sostenibili e convenienti, anziché penalizzare i consumi tradizionali. Ad esempio: sviluppo di trasporti pubblici efficienti e accessibili; sostegni finanziari per la transizione energetica delle famiglie (come pannelli solari o isolamenti termici); incentivi per le aziende che investono in innovazioni verdi.
Carbon pricing e rischi per l’equità sociale
Il carbon pricing, cioè l’attribuzione di un prezzo alle emissioni di CO2, è una delle principali leve delle politiche climatiche. Sebbene sia efficace nel ridurre le emissioni, ha un impatto sproporzionato sulle classi meno abbienti, che spendono una quota maggiore del loro reddito in energia e trasporti. Lenarčič suggerisce che il carbon pricing dovrebbe essere integrato da politiche redistributive, come il ritorno delle entrate ai cittadini sotto forma di sussidi o incentivi. Le politiche devono essere percepite come giuste, altrimenti rischiano di minare il consenso pubblico, essenziale per una transizione di successo.
Come accelerare in modo equo la transizione verde
Secondo Lenarčič, per accelerare la transizione verde servono investimenti pubblici massicci. Soprattutto nelle infrastrutture verdi, come reti energetiche rinnovabili, sistemi di trasporto sostenibili e rigenerazione urbana. Coinvolgere le imprese in progetti sostenibili, incentivandole con sgravi fiscali o accesso al credito. Rendere i cittadini consapevoli dei benefici della transizione verde, per superare le resistenze culturali e sociali. La transizione deve essere globale, con una distribuzione equa delle risorse per evitare che i paesi meno sviluppati restino indietro.
Un equilibrio complesso ma necessario
La posizione di Lenarčič mette in luce un dilemma fondamentale: come coniugare l’urgenza climatica con l’equità sociale ed economica. La transizione verde non è solo una questione tecnologica o finanziaria, ma anche un processo politico e culturale che richiede una gestione inclusiva. Rendere la transizione attraente significa costruire un modello in cui i vantaggi siano immediatamente visibili e distribuiti equamente. Ad esempio, una maggiore diffusione delle energie rinnovabili può ridurre i costi delle bollette a lungo termine. Tuttavia, accelerare la transizione comporta sfide significative, tra cui il superamento delle resistenze di settori economici tradizionali e il contrasto ai gruppi di interesse che traggono profitto dall’attuale sistema basato sui combustibili fossili.
Le mie considerazioni
Le dichiarazioni di Janez Lenarčič possono essere interpretate come una critica indiretta verso alcune recenti tendenze e dinamiche delle politiche climatiche dell’Unione Europea, che sembrano oscillare tra ambizioni e compromessi.
È innegabile, infatti, che negli ultimi anni, alcune politiche dell’UE sulla transizione verde hanno incontrato ostacoli, in parte a causa delle pressioni economiche, geopolitiche e sociali. La guerra in Ucraina e la crisi energetica del 2022-2023 hanno portato molti Stati membri a favorire soluzioni temporanee che includono il ritorno al carbone e l’importazione di GNL (gas naturale liquefatto), mettendo in pausa alcune misure climatiche.
L’approvazione della Nature Restoration Law, che mira al ripristino degli ecosistemi, ha incontrato forti resistenze politiche, con accuse di eccessiva rigidità normativa.
L’attuazione pratica del Fit for 55, sebbene l’obiettivo sia ridurre le emissioni del 55% entro il 2030, è spesso oggetto di compromessi che ne diluiscono l’ambizione, con alcune proposte rinviate o ridimensionate.
Alcuni governi e partiti politici, anche in paesi influenti come Germania, Polonia e Italia, hanno espresso preoccupazioni sul fatto che le politiche climatiche dell’UE possano danneggiare l’economia. In particolare, settori come l’agricoltura, l’industria pesante e l’automotive sono sotto pressione per adeguarsi alle nuove normative.
Si sono esacerbate le disuguaglianze sociali: misure come la tassa sul carbonio o il phase-out delle auto a combustione sono percepite da alcune fasce della popolazione come punitive e inique. Questo contesto ha portato a un rallentamento nell’adozione di alcune misure, con proposte diluite per ottenere il consenso di Stati membri e imprese. Di contro, l’UE era e rimane leader mondiale nella lotta al cambiamento climatico, con l’adozione di pacchetti legislativi ambiziosi come il Green Deal europeo. Tuttavia, la loro implementazione pratica spesso manca della rapidità necessaria per rispettare l‘Accordo di Parigi. La necessità di bilanciare interessi diversi porta a compromessi che rischiano di rallentare la transizione. Questo contrasta con l’appello di Lenarčič a velocizzare l’azione. Quello che Lenarčič evidenzia è la necessità di un’accelerazione equa e inclusiva, ma la realtà politica e economica sembra deviare da questa visione. Alcuni Stati membri e gruppi industriali spingono per attenuare le normative, giustificando ciò con i costi economici e sociali. Questo rallenta la transizione, in netto contrasto con l’appello di Lenarčič. Inoltre, come sottolineato dall’ex commissario, il problema non è solo l’esistenza di misure punitive, ma l’insufficienza di incentivi tangibili per alternative sostenibili, un aspetto in cui l’UE potrebbe fare di più.
Ritengo, allora, che l’appello di Lenarčič inviti a una riflessione: invece di rallentare, l’UE dovrebbe trovare modi per accelerare la transizione, rendendo le sue politiche più eque e redistributive, restituendo i proventi delle tasse sul carbonio ai cittadini o investendo in infrastrutture sostenibili accessibili. Sostenendo maggiormente le tecnologie verdi e riducendo i costi delle soluzioni sostenibili per i consumatori. Rendendo le politiche climatiche un’opportunità economica e sociale, più che un peso per settori e famiglie.
Se questi sono i fatti degli ultimi mesi, di cui non credo si possa dubitare, le dichiarazioni di Lenarčič sono condivisibili proprio perché riflettono una tensione tra la visione ambiziosa del Green Deal europeo e la sua attuazione pratica, spesso rallentata da compromessi politici e ostacoli economici. Per rispettare l’Accordo di Parigi e preservare la leadership climatica globale, l’UE dovrà affrontare le sfide interne, promuovendo politiche che siano al contempo ambiziose e socialmente accettabili.
L’appello di Lenarčič è un promemoria importante: la transizione verde non può aspettare.
Giuseppe d’Ippolito