Starlink è un progetto di SpaceX, l’azienda spaziale di Elon Musk, per fornire Internet ad alta velocità a livello globale attraverso una rete di satelliti in orbita terrestre bassa (LEO, Low Earth Orbit). L’obiettivo principale è colmare il divario digitale, garantendo connessione in aree rurali, remote o con scarsa infrastruttura. I satelliti Starlink operano a un’altitudine compresa tra 340 e 1.200 km, molto più vicina alla Terra rispetto ai satelliti tradizionali in orbita geostazionaria (circa 35.786 km). Sono progettati per ridurre la latenza e offrire connessioni Internet rapide, con velocità che attualmente variano tra 50 e 200 Mbps, ma che potrebbero aumentare con il miglioramento della rete. Attualmente, Starlink ha oltre 2.700 satelliti lanciati, con più di 2.450 operativi. SpaceX prevede di lanciare fino a 12.000 satelliti entro il 2027, con un’espansione potenziale fino a 42.000 satelliti nei prossimi decenni.
IRIS² (Infrastructure for Resilience, Interconnectivity, and Security by Satellite) è un progetto dell’Unione Europea lanciato nel 2022 e formalizzato nel 2023. Il programma mira a sviluppare una costellazione di satelliti di nuova generazione per garantire connettività sicura, resiliente e ad alta velocità. IRIS² è una risposta strategica dell’UE alle sfide geopolitiche, tecnologiche e digitali, nonché un’alternativa ai servizi satellitari offerti da aziende private come Starlink (SpaceX) e Kuiper (Amazon) IRIS² prevede il lancio di circa 290 satelliti entro il 2030. La costellazione sarà sviluppata e gestita da un consorzio di aziende europee, che includono leader del settore spaziale come Airbus, Thales Alenia Space e OHB. Il progetto ha un budget totale di circa 6 miliardi di euro. 2,4 miliardi di euro saranno finanziati direttamente dall’Unione Europea. Il resto sarà coperto da contributi degli Stati membri e investimenti privati, tramite partenariati pubblico-privati.
Il Progetto Kuiper è un’iniziativa ambiziosa di Amazon, annunciata nel 2019, che mira a creare una costellazione di satelliti in orbita terrestre bassa (LEO) per fornire connessioni internet a banda larga a livello globale, specialmente nelle aree rurali e scarsamente servite. Questa iniziativa pone Amazon in diretta competizione con altri grandi operatori di megacostellazioni satellitari, come Starlink di SpaceX. Gli obiettivi principali del programma sono quelli di offrire accesso a internet veloce e affidabile a comunità isolate, regioni rurali e paesi in via di sviluppo; espandere la presenza di Amazon nel settore delle telecomunicazioni e della connettività, sfruttando le sinergie con altri suoi servizi, come AWS (Amazon Web Services); integrare la rete satellitare con i dispositivi Amazon, inclusi Echo, Alexa e Kindle. Il progetto prevede il lancio di 3.236 satelliti, distribuiti su 98 piani orbitali a tre diverse altitudini: 590 km, 610 km e 630 km entro il 2029. Amazon ha impegnato oltre 10 miliardi di dollari per il progetto, rendendolo uno degli investimenti più significativi della società.
Il recente viaggio della presidente del consiglio in USA ha dato spunto all’introduzione di un tema, oggetto di scarsa riflessione pubblica sino ad oggi: colmare il divario digitale, garantendo connessione internet veloce in aree rurali, remote o con scarsa infrastruttura terrestre sia ad utenze private e civili che ad utenze pubbliche (ambasciate) e militari (presidi nel mondo). Il confronto tra i sostenitori delle tecnologie di SpaceX e quelli che invece sostengono il programma europeo IRIS² tocca vari temi: da quelli del monopolio e controllo sulla rete satellitare specie nell’uso militare e strategico, a quello dell’inclusività digitale, passando attraverso una valutazione dei tempi necessari e all’ampiezza della copertura satellitare (ricordo: 2.700 satelliti in orbita che diventeranno 42.000 nei prossimi decenni per Starlink, contro i 290 satelliti entro il 2030 di IRIS² e i 3.236 di Amazon entro il 2029). C’è un tema che, invece, in questi giorni è stato poco esplorato: quello della “sostenibilità spaziale” con quelli, connessi, della gestione dei detriti spaziali, dell’inquinamento luminoso e delle interferenze radio dell’affollamento satellitare. Argomenti più in linea con i confini tematici di questo portale e che sono al centro di un dibattito globale che coinvolge governi, organizzazioni scientifiche e aziende private.
È noto che la crescente presenza di satelliti nell’orbita terrestre ha reso lo spazio un elemento centrale delle nostre vite quotidiane, ma ha anche sollevato sfide ambientali e gestionali critiche.
La corsa allo spazio e l’affollamento satellitare
L’orbita terrestre bassa (LEO, Low Earth Orbit) è diventata un ambiente sempre più affollato. Secondo l’European Space Agency (ESA), nel 2023 erano operativi oltre 7.500 satelliti, con migliaia di altri in fase di sviluppo o lancio. Grandi progetti come Starlink di SpaceX, il Progetto Kuiper di Amazon e l’iniziativa europea IRIS² mirano a creare megacostellazioni per la connettività globale. Si prevede che entro il 2030 potrebbero esserci fino a 100.000 satelliti attivi nello spazio. Questa espansione offre enormi vantaggi, come l’accesso globale a internet e miglioramenti nella navigazione e osservazione terrestre, ma genera anche conseguenze negative.
Il problema dei detriti
I detriti spaziali, noti anche come “spazzatura spaziale“, rappresentano uno dei principali problemi per la sicurezza e la sostenibilità delle attività spaziali. Con l’espansione dell’industria satellitare e il crescente utilizzo dell’orbita terrestre bassa (LEO, tra 500 e 2.000 km di altitudine), la quantità di oggetti non funzionali o frammenti in orbita è aumentata esponenzialmente, minacciando la sicurezza delle infrastrutture spaziali e la sostenibilità a lungo termine delle operazioni nello spazio.
I detriti spaziali comprendono satelliti lanciati decenni fa che hanno esaurito il loro combustibile o sono stati disattivati, frammenti di satelliti, parti di razzi e altri materiali risultanti da collisioni o da missioni concluse. L’ESA stima che ci siano oltre 36.000 frammenti più grandi di 10 cm e milioni di frammenti più piccoli in orbita. Questi oggetti viaggiano a velocità superiori a 27.000 km/h, rendendoli pericolosi per i satelliti attivi e le missioni spaziali. Il fenomeno noto come “Effetto Kessler”, descritto dall’astronomo Donald J. Kessler nel 1978, prevede che una densità critica di detriti possa generare una reazione a catena di collisioni, rendendo alcune orbite inutilizzabili. Questo scenario rappresenta una grave minaccia per le attività spaziali future. La congestione delle orbite potrebbe rendere alcune aree dello spazio inutilizzabili, limitando il futuro sviluppo delle tecnologie spaziali. I rientri incontrollati di detriti nell’atmosfera terrestre possono generare rischi per le persone e le infrastrutture a terra, oltre a emettere particelle dannose durante la combustione.
Le strategie di mitigazione prevedono una “progettazione sostenibile”, cioè satelliti progettati per deorbitare al termine della loro vita utile, bruciando nell’atmosfera terrestre nonché l’uso di materiali facilmente degradabili. Esistono, poi, tecnologie di rimozione come RemoveDEBRIS: un progetto che utilizza reti e arpioni per catturare detriti e ClearSpace-1, una missione dell’ESA che prevede di rimuovere gli oggetti di grandi dimensioni dall’orbita entro il 2026. Le linee guida del Comitato delle Nazioni Unite per gli usi pacifici dello spazio extra-atmosferico (COPUOS) e dell’Inter-Agency Space Debris Coordination Committee (IADC), stabiliscono gli standard per ridurre la produzione di detriti. Infine, occorrono normative che richiedano la rimozione dei satelliti entro 25 anni dalla fine della loro missione (proposti da NASA ed ESA) con la progettazione di satelliti con sistemi di deorbiting, che li guidano verso un rientro controllato e l’utilizzo di materiali che si disintegrano completamente durante il rientro atmosferico. Ma la vera soluzione consiste nel limitare il numero di satelliti, almeno nelle orbite più trafficate, coordinando i piani di grandi costellazioni per ridurre il rischio di sovrapposizioni.
Inquinamento luminoso spaziale
Con l’aumento delle costellazioni di satelliti in orbita terrestre bassa (LEO), il problema dell’inquinamento luminoso sta emergendo come una questione centrale nelle discussioni sulla sostenibilità dello spazio. Questo fenomeno, originariamente legato alle luci artificiali a terra, oggi si estende anche alle tracce luminose e alla riflessione della luce solare causate dai satelliti. L’inquinamento luminoso spaziale ha implicazioni significative per l’astronomia, la biodiversità e persino per la percezione umana del cielo notturno.
L’inquinamento luminoso causato dai satelliti si manifesta principalmente in due forme:
1) riflessione della luce solare: i satelliti, specialmente quelli progettati per le comunicazioni e l’osservazione terrestre, sono spesso dotati di superfici riflettenti (come pannelli solari e corpi metallici). Queste superfici riflettono la luce solare, rendendo i satelliti visibili dalla Terra come punti luminosi. L’effetto è particolarmente evidente durante l’alba e il tramonto, quando la luce solare colpisce i satelliti sotto un angolo favorevole.
2) Tracce luminose durante l’osservazione astronomica: le costellazioni di satelliti, come Starlink di SpaceX o Kuiper di Amazon, appaiono come scie luminose nelle immagini astronomiche. Questi “artifacts” interferiscono con le osservazioni a lunga esposizione, oscurando stelle e galassie lontane.
Molti satelliti non sono stati inizialmente progettati con criteri di mitigazione della luminosità. Ad esempio, i primi satelliti Starlink erano particolarmente brillanti, raggiungendo magnitudini visibili a occhio nudo.
I satelliti in orbita terrestre bassa (LEO) sono più visibili rispetto a quelli in orbite più alte, poiché riflettono più intensamente la luce solare e passano più frequentemente sopra le aree popolate. Le tracce luminose interferiscono con le osservazioni astronomiche professionali e amatoriali. Gli osservatori terrestri, come il Very Large Telescope (VLT) in Cile o il futuro Square Kilometre Array (SKA), vedono le loro immagini contaminate da queste scie luminose. Le osservazioni astronomiche a lunga esposizione, fondamentali per studiare oggetti lontani come galassie e stelle deboli, sono particolarmente vulnerabili.
Interferenze radio e conflitti nelle frequenze
Le megacostellazioni satellitari utilizzano frequenze radio per comunicare con la Terra. Questo ha creato problemi di interferenza con le osservazioni radioastronomiche.
I radiotelescopi, come il Square Kilometre Array (SKA), diviso in due siti principali situati in Australia e Sudafrica, con il quartier generale presso il Jodrell Bank Observatory nel Regno Unito, sono particolarmente vulnerabili alle interferenze. Inoltre, le frequenze utilizzate dai satelliti possono sovrapporsi a quelle impiegate per servizi terrestri, creando conflitti. L’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (ITU) un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite che ha la sua sede a Ginevra, in Svizzera, è responsabile della regolamentazione delle frequenze radio, e sta segnalando che la proliferazione di satelliti richiede un aggiornamento delle norme per evitare sovrapposizioni. Ad esempio: l’obbligo dell’uso di filtri per ridurre le interferenze, creazione di aree protette, come nel caso dell’Osservatorio di Arecibo e partenariati per lo sviluppo di tecnologie che minimizzino le interferenze.
Ma esiste anche un problema di cultura e percezione umana del cielo. Il cielo notturno è un patrimonio culturale e scientifico per l’umanità. L’aumento delle tracce satellitari rischia di alterare irreversibilmente la visione del cielo stellato, compromettendo il legame millenario tra l’uomo e l’universo. Alcuni studi suggeriscono che la luce riflessa dai satelliti potrebbe influire su specie animali che dipendono dal ciclo naturale giorno-notte. Uccelli migratori, ad esempio, utilizzano il cielo stellato per orientarsi, e l’inquinamento luminoso spaziale potrebbe confonderli.
Verso una sostenibilità spaziale
La sostenibilità spaziale è diventata una priorità globale. Organizzazioni come l’ONU, l’ESA e l’ITU stanno lavorando per sviluppare un quadro normativo che bilanci lo sviluppo tecnologico con la protezione dell’ambiente spaziale. Tra le proposte principali: l’aggiornamento del trattato sullo spazio extra-atmosferico del 1967 per includere standard sulla sostenibilità; fondi per aziende che sviluppano tecnologie sostenibili e campagne per informare il pubblico sull’importanza della sostenibilità spaziale.
L’espansione delle attività spaziali offre opportunità senza precedenti, ma comporta anche responsabilità. La gestione dei detriti, la riduzione dell’inquinamento luminoso e il controllo delle interferenze radio sono sfide che richiedono collaborazione internazionale, innovazione tecnologica e regolamentazioni efficaci. Solo affrontando questi problemi in modo proattivo, l’umanità potrà garantire un uso sostenibile dello spazio per le generazioni future.
Ecco, questi sono solo accenni a problematiche di più vasta portata ma mi piacerebbe che il dibattito che in questi giorni, nel nostro Paese, sta interessando molti decisori politici fosse completato anche da un’approfondita riflessione sul tema della sostenibilità spaziale.
Giuseppe d’Ippolito