Le Conferenze delle Parti (COP) sulla biodiversità sono incontri internazionali fondamentali per affrontare la perdita di biodiversità a livello globale. Questi eventi riuniscono i rappresentanti dei paesi aderenti alla Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD), un trattato internazionale adottato nel 1992 durante la Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo (nota anche come Summit della Terra) a Rio de Janeiro. La CBD è entrata in vigore nel 1993, con l’obiettivo di conservare la biodiversità, utilizzare in modo sostenibile i suoi componenti e condividere equamente i benefici derivanti dall’uso delle risorse genetiche. Le COP sono state istituite come meccanismo decisionale per monitorare e promuovere l’attuazione della Convenzione. Dal 1994, le COP si tengono regolarmente ogni due anni, con l’eccezione di alcune edizioni straordinarie. Ogni conferenza affronta temi specifici e adotta decisioni che influenzano le politiche ambientali globali. Le finalità delle COP sulla Biodiversità prevedono di valutare i progressi dei paesi nell’attuazione degli impegni presi per la conservazione e l’uso sostenibile della biodiversità. Adottare decisioni che orientano le politiche e le azioni globali in materia di biodiversità, inclusi strumenti finanziari e meccanismi di supporto. Favorire la cooperazione internazionale per affrontare le sfide comuni nella conservazione della biodiversità, facilitando lo scambio di conoscenze e risorse. Elaborare e adottare strumenti normativi, come protocolli e linee guida, per affrontare questioni specifiche relative alla biodiversità. Le COP sulla biodiversità rappresentano un forum cruciale per la comunità internazionale, consentendo di affrontare collettivamente le sfide legate alla perdita di biodiversità e promuovendo azioni coordinate per la sua conservazione e uso sostenibile.

 

La COP16 sulla biodiversità si è svolta a Roma dal 25 al 27 febbraio scorsi, presso la sede della FAO, rappresentando un momento cruciale per la comunità internazionale nella lotta contro la perdita di biodiversità. Questa conferenza ha avuto l’obiettivo di proseguire i negoziati avviati durante la COP15 e di affrontare questioni fondamentali per la protezione degli ecosistemi globali. La COP16 è stata convocata per affrontare le sfide emerse dalla precedente conferenza tenutasi a Cali, in Colombia, nell’ottobre 2024, che non aveva raggiunto un accordo su alcuni temi centrali. La Conferenza si riprometteva di raggiungere -appunto- un accordo sugli obiettivi principali falliti in Colombia.

COP16 Biodiversità riprenderà a Roma a Febbraio 2025 Materia Rinnovabile | Renewable MatterInnanzitutto, la definizione di un Fondo Globale per la Biodiversità stabilendo un meccanismo finanziario per sostenere la conservazione e il ripristino degli ecosistemi e con l’intento di mobilitare annualmente 200 miliardi di dollari entro il 2030. In proposito l’accordo raggiunto ha visto i paesi sviluppati rinnovare l’impegno a fornire finanziamenti adeguati alla biodiversità, ma l’accordo prevede solo di raggiungere la più ridotta cifra di 20 miliardi di dollari annui entro il 2025. È stato però istituito un nuovo fondo, il “Cali Fund“, destinato a sostenere la conservazione della biodiversità, con contributi provenienti sia da governi che da aziende private. Ma non sono state superate le divergenze tra paesi sviluppati e in via di sviluppo riguardo ai finanziamenti per la biodiversità, per cercare soluzioni che siano giuste ed efficaci.
C’era poi l’obiettivo di sviluppare metodi di monitoraggio per creare sistemi efficaci per valutare i progressi dei paesi nell’arrestare la perdita di biodiversità, garantendo trasparenza e responsabilità. È stato allora adottato un piano d’azione per sviluppare metodi di monitoraggio efficaci, al fine di valutare i progressi dei paesi nell’arrestare la perdita di biodiversità. È stata sottolineata l’urgenza di garantire finanziamenti adeguati alla protezione e il ripristino degli ecosistemi, con particolare attenzione alle esigenze dei paesi in via di sviluppo.
Si è poi discusso sull’importanza di integrare gli obiettivi della biodiversità con quelli di altri trattati ambientali, come l’Accordo di Parigi sul clima, per affrontare le sfide ecologiche in modo olistico. È stata riconosciuta l’importanza di coinvolgere le comunità locali e indigene nella gestione e conservazione della biodiversità, valorizzando le loro conoscenze tradizionali e pratiche sostenibili.

Colpo verticale di un fiume circondato da montagne e prati in ScoziaNonostante i (modesti) progressi, sono emerse alcune critiche. Alcuni osservatori hanno sottolineato l’assenza di obiettivi vincolanti per i paesi, temendo che ciò possa compromettere l’efficacia degli impegni presi.
È stata evidenziata la necessità di garantire che i finanziamenti siano distribuiti equamente, evitando che i paesi in via di sviluppo siano svantaggiati.
Ma la sfida principale rimane l’effettiva implementazione degli accordi raggiunti, monitorando i progressi e assicurando che gli impegni finanziari siano rispettati.
È importante sottolineare che la COP16 sulla biodiversità, ha rappresentato un’importante occasione per affrontare la perdita di biodiversità a livello globale. E, in questo contesto, la legge europea sul Ripristino della Natura (Nature Restoration Law) si inserisce come uno strumento chiave per raggiungere gli obiettivi stabiliti durante la conferenza.

Durante la COP16, i partecipanti hanno discusso misure concrete per fermare e invertire la perdita di biodiversità, con particolare attenzione alla protezione del 30% di terre e mari entro il 2030. La legge europea sul Ripristino della Natura mira a restaurare il 20% delle terre e dei mari dell’UE entro il 2030, con l’obiettivo di ripristinare ecosistemi degradati e migliorare la biodiversità.
La legge europea fornisce un quadro normativo vincolante che supporta gli impegni globali assunti durante la COP16. Implementando misure concrete per il ripristino degli ecosistemi, l’UE contribuisce al raggiungimento degli obiettivi globali di conservazione della biodiversità. Inoltre, la legge promuove la cooperazione tra gli Stati membri, le istituzioni europee e le parti interessate, facilitando l’attuazione di strategie di conservazione efficaci. Ecco perché la COP16 e la legge europea sul Ripristino della Natura sono strettamente interconnesse, con la legge che fornisce un quadro operativo per gli impegni assunti durante la conferenza, contribuendo così a un’azione globale coordinata per la conservazione della biodiversità.

Per questo ha destato preoccupazione la formazione della rappresentanza italiana. Il sottosegretario all’Ambiente e alla Sicurezza Energetica, Claudio Barbaro, ha presieduto la delegazione italiana, affiancato da esperti del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE), dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) e dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS). Tuttavia, alcuni osservatori hanno espresso dubbi sull’efficacia di una rappresentanza di livello ministeriale inferiore rispetto a quella di altri paesi, temendo che ciò potesse influenzare l’Italia nei negoziati. Secondo quanto riportato da Adista (un’agenzia di stampa indipendente italiana, fondata nel 1967), tra i 30 ministri e viceministri annunciati per la conferenza, non vi era alcun rappresentante di alto livello italiano. Questo ha portato a interpretazioni che suggeriscono un disinteresse del governo italiano per la protezione del patrimonio naturale e le questioni ambientali in generale. Inoltre, il WWF Italia ha espresso preoccupazione per l’assenza di una rappresentanza di alto livello, sottolineando l’importanza di un impegno concreto da parte del governo italiano nella protezione della biodiversità.
Queste critiche evidenziano la necessità di un impegno più deciso da parte dell‘Italia nella tutela della biodiversità, soprattutto considerando l’importanza della conferenza e la sua organizzazione nel nostro Paese.

Bellissimo scenario di un fiume immerso nel verde in una forestaLa COP16 sulla biodiversità ha quindi suscitato reazioni contrastanti tra i partecipanti e gli osservatori internazionali. Mentre alcuni hanno accolto positivamente gli sviluppi emersi, altri hanno espresso preoccupazioni riguardo a specifici aspetti delle discussioni e degli accordi raggiunti.
Alcuni partecipanti hanno sottolineato l’importanza di aver ripreso i negoziati interrotti durante la precedente conferenza a Cali, in Colombia, e hanno apprezzato l’impegno nel cercare soluzioni concrete per la protezione della biodiversità. In particolare, è stato evidenziato il riconoscimento del ruolo delle comunità indigene nella conservazione degli ecosistemi e l’istituzione del “Cali Fund“, destinato a finanziare iniziative di conservazione attraverso contributi da enti pubblici e privati.
Di contro, molti paesi in via di sviluppo hanno espresso insoddisfazione riguardo all’entità dei finanziamenti promessi, ritenendo che non siano adeguati per affrontare le sfide legate alla perdita di biodiversità. In particolare, è stato sottolineato che le risorse destinate alla conservazione sono insufficienti rispetto alle necessità globali. Alcuni osservatori hanno criticato l’assenza di obiettivi vincolanti per i paesi partecipanti, temendo che ciò possa compromettere l’efficacia degli impegni presi e ritardare l’attuazione di misure concrete per la protezione della biodiversità. Le divergenze tra paesi sviluppati e in via di sviluppo sono emerse chiaramente durante le discussioni, con i paesi più poveri che chiedono un fondo dedicato alla biodiversità e l’obbligo per le nazioni ricche di contribuire. Queste differenze hanno evidenziato le sfide nel raggiungere un accordo globale che soddisfi le esigenze di tutti i partecipanti.

La COP16 retoma su agenda pendiente en la sede de la FAO en RomaLa COP16 ha certamente rappresentato un passo importante nella protezione della biodiversità globale, stabilendo basi per una cooperazione internazionale più forte e per l’allocazione di risorse adeguate. Tuttavia, il successo dipenderà dalla volontà politica dei paesi di attuare gli impegni presi e dalla capacità di affrontare le sfide emergenti in modo tempestivo ed efficace.
Preoccupazione tutt’altro che infondata laddove si pensi che secondo Tasneem Essop, direttore esecutivo di Climate Action Network International (la più grande rete ambientale mondiale, composta da oltre 1.900 organizzazioni non governative in più di 130 paesi, impegnate nella lotta contro la crisi climatica -v. link sotto, in questa pagina), solo 13 paesi su 195, alla scadenza del termine dello scorso 10 febbraio, hanno consegnato ufficialmente alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfcc) i propri Nationally Determined Contributions (NDC), cioè i piani nazionali aggiornati ogni cinque anni per raggiungere l’obiettivi stabiliti nell’Accordo di Parigi del 2015.

Hèléne Martin

preload imagepreload image